Ambiente

Sei mesi in Europa – 2ndo semestre 2018

Non è uscito fuori nessun vincitore dalle elezioni in Svezia, con il voto nel paese scandinavo che è stato l’ultima consultazione di un paese dell’Unione prima delle elezioni europee del maggio 2019. C’era grande attenzione per la situazione in Svezia anche alla luce degli ultimi sondaggi che davano in forte crescita il partito di destra dei Democratici Svedesi. I risultati però parlano di una situazione di sostanziale impasse. Visti i risultati e considerando che al Riksdag vengono eletti 349 parlamentariL’Alleanza dei quattro partiti di centrodestra (Moderati, Partito di Centro, Cristiano Democratici e Liberali) con 143 seggi sarebbe davanti al duo Socialdemocratici-Verdi che non vanno oltre i 126 seggi. E’ la prima volta che Svezia un governo viene sfiduciato; dove i socialdemocratici sconfitti alle elezioni del 9 settembre in 101 anni hanno inventato un modello solidale e ipercompetitivo invidiato dal mondo e che fu il primo paese a legalizzare la libertà di stampa. Il premier socialdemocratico uscente Stefan Löfvén, nella seduta di ieri del nuovo Riksdag, si è visto costretto a lasciare, sconfitto da un voto di sfiducia. Sfiducia di 204 dei 349 legislatori. Quindi per la débacle di Löfvén e delle sinistre è stato decisivo che anche il nuovo partito sovranista, gli Sverigedemokraterna del giovane ex ultrà Jimmie Akesson, gli abbia votato contro. Perché il centrodestra storico ha 143 seggi (uno in meno di socialdemocratici, verdi ed ex comunisti). Quindi niente maggioranza senza patti. Comincia una difficile, probabilmente lunga fase negoziale, e col freddo d’autunno inquietanti ombre di instabilità quasi mediterranea oscurano il futuro nordico. Si aggrava in Svezia la crisi politica aperta dai risultati delle elezioni parlamentari del 9 settembre scorso, la governabilità appare sempre più difficile e si può avvicinare la prospettiva di elezioni anticipate nella potenza-guida del Grande Nord. Il leader dei conservatori (NyaModeraterna) Ulf Kristersson, che aveva ricevuto l’incarico di formare il governo, ha annunciato oggi che ogni suo negoziato e tentativo di trattativa per formare una coalizione è fallito, e ha quindi rinunciato al mandato.sta al potere col governo sfiduciato e di minoranza.

Il partito filorusso Armonia ha vinto le elezioni legislative in Lettonia, ma anche questa volta difficilmente andrà al governo visti i buoni risultati delle forze europeiste. Armonia ha il 20% dei voti, i populisti di Kpv il 14,1% e il Nuovo Partito Conservatore, che fa della lotta alla corruzione il suo cavallo di battaglia, il 13,6%. I tre partiti dell’attuale coalizione di governo hanno perso metà dei voti rispetto alle ultime elezioni e l’Unione dei Verdi e dei Contadini del premier Maris Kucinskis ha ottenuto solo il 10%. Concordia, che ha nella minoranza russa il proprio elettorato di riferimento, dovrebbe ottenere 24 seggi su 100. Nonostante i tentativi di affievolire la posizione filo-Cremlino, però, solo i populisti di Kpv sarebbero disponibili ad allearsi coi filorussi che fino al 2017 avevano un accordo di cooperazione col partito di Putin Russia Unita. Appare quindi improbabile che i filorussi entrino nel nuovo governo e la politica estera della Lettonia, Paese Ue e Nato, non dovrebbe subire scossoni. Ma l’avanzata dei populisti, oltre alla conferma delle divisioni su base etnica della politica locale, segna comunque un nuovo tassello nel trend internazionale di affermazione dei movimenti sovranisti e antieuropei.

Il ritorno-rivincita al potere, in Lussemburgo, dei cristianodemocratici (Csv) dell’ex premier e ora presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker non c’è stato. Il dato emerge con sufficiente chiarezza. Sebbene il partito di centrodestra che candida Claude Wiesler si aggiudichi la maggior parte delle circoscrizioni, il risultato non è all’altezza dei sondaggi della vigilia, dove il Csv era dato in testa alle intenzioni di voto, col 35%. Il partito sembra piuttosto piombato al 28%, il peggior risultato di sempre. E di certo servirà una coalizione per formare il nuovo governo. Anche il Dp, la formazione di stampo liberale del premier uscente Xavier Bettel, appare in peggioramento rispetto alle consultazioni precedenti, e potrebbe perdere qualche seggio. I numeri non sembrano così confermare la possibilità di ripetere l’attuale coalizione di governo blu-rosso-verde guidata da Bettel, anche se i Verdi avanzano, e potrebbero conquistare un seggio in più, mentre i socialisti (Lsap) si trovano oltre il 16%.

Marjan Sarec

Dopo più di tre mesi dalle elezioni di giugno e un prolungato stallo politico che lasciava intravedere le ombre di un voto anticipato in autunno, il 13 settembre ha prestato ufficialmente giuramento il nuovo governo a guida Marjan Sarec. Un esecutivo nato debole, ma non debolissimo, sostenuto da una coalizione parlamentare piuttosto eterogenea, che vede oltre alla presenza della Lista Marjan Šarec (13 seggi), i Socialdemocratici (10), il Partito del Centro Moderno (10), il partito Alenka Bratušek (5) e il partito dei pensionati (5), con appena il sostegno di 43 parlamentari su 90. Diventa cosi decisivo l’appoggio esterno, o almeno la non belligeranza, degli esponenti della minoranza italiana (1) e ungherese (1), e sopratutto de La Sinistra che con i suoi 9 seggi potrebbe ostacolare l’azione di governo, specialmente su quei temi caldi quali riforma sistema sanitario, riforma pensionistica e privatizzazione su cui i punti di contatto sono quasi inesistenti.
Da osservatori esterni, sembra che a tenere assieme la compagine governativa, e i suoi sostenitori esterni, più che un comune progetto di politica economica, si ha la volontà di marginalizzare l’ex primo ministro e leader del Partito Democratico Sloveno, Janez Janša, già condannato a due anni di reclusione per corruzione nel 2013.

Il governo di minoranza del miliardario Primo ministro ceco Andrej Babis ha vinto giovedì un voto di fiducia parlamentare, diventando la prima amministrazione dal crollo del comunismo nel 1989 a fare affidamento sul sostegno del Partito comunista. Babis ha impiegato nove mesi per formare un governo dopo aver vinto le elezioni dello scorso ottobre, con potenziali partner che inizialmente lo hanno evitato per le accuse di frode sui sussidi dell’UE, tra le altre preoccupazioni. Alla fine ha raggiunto un accordo di coalizione di minoranza con i socialdemocratici a giugno, ma con solo 93 seggi devono fare affidamento sul sostegno del Partito comunista, che controlla 15 seggi. “Il parlamento ha espresso fiducia nel gabinetto”, ha detto l’oratore del parlamento Radek Vondracek giovedì mattina dopo una sessione di maratona della durata di oltre 16 ore. Un totale di 105 legislatori su 196 presenti nel parlamento da 200 posti hanno votato a favore del gabinetto di minoranza di Babis, mentre 91 erano contrari.

Charles Michel

Crisi nell’esecutivo belga. Il ministro degli Interni Jan Jambon – della Nuova alleanza fiamminga (N-VA) – ha confermato che si dimetterà, così come gli altri ministri del partito. Dietro questa scelta c’è la decisione del governo di approvare il Global Compact per la migrazione, che verrà firmato a inizio settimana a Marrakech, durante la conferenza Onu. Il premier Charles Michel ha preso atto delle dimissioni, ma non farà marcia indietro, come ha sottolineato in conferenza stampa: “Prenderò un volo per Marrakech, in quanto capo del governo di una coalizione responsabile. Devo assumere le mie responsabilità da primo ministro e assicurare continuità, responsabilità e stabilità“. ll premier belga Charles Michel ha annunciato le sue dimissioni in un discorso in parlamento, spiegando che comunicherà la sua decisione al Re Filippo. Nei giorni scorsi il Global compact sui migranti aveva provocato una spaccatura nell’esecutivo. “Prendo la decisione di presentare le mie dimissioni e la mia intenzione è di recarmi immediatamente dal re”, ha annunciato Michel, sotto la minaccia di una mozione di sfiducia depositata dalla sinistra. Ora le dimissioni dovranno essere accolte dal sovrano, che – riferiscono i media locali – potrebbe congelare la situazione in attesa di ulteriori sviluppi. Se invece Filippo dovesse accettarle, i belgi potrebbero tornare alle urne in un’elezione federale all’inizio del prossimo anno, in anticipo sulla scadenza naturale del governo prevista per la primavera. Re Filippo sta tenendo le consultazioni dopo la crisi governativa. Vlaams Belang reagisce dispiaciuto perché il partito non è stato invitato, il re Filip si riserva il licenziamento del governo. Ci si aspetta che ti faccia sapere domani se accetterà le dimissioni. Quando ciò accade, il governo entra negli affari correnti.

È Pablo Casado, 37 anni, il nuovo leader della destra spagnola: è stato eletto alla presidenza del Partito Popolare con il 57,2 per cento dei voti dei circa tremila delegati al congresso straordinario convocato per designare il successore di Mariano Rajoy, che ha abbandonato la politica dopo essere stato estromesso dalla guida del governo con il voto di sfiducia che ha portato alla Moncloa il socialista Pedro Sánchez. Casado, che negli ultimi anni ha svolto il ruolo di vice-segretario e portavoce del Pp, ha sconfitto Soraya Sáenz de Santamaria, che per sette anni era stata la vice-premier nel governo Rajoy e che si era imposta con stretto margine alle primarie in cui sono stati designati i due candidati al ballottaggio congressuale. La scelta di Casado, vicino alla vecchia guardia di José Maria Aznar, rappresenta una chiara svolta a destra della formazione conservatrice spagnola.

Elezioni Baviera: Boom dei Verdi, crollo Csu, disastro Spd. Afd e Fdp entrano, Linke fuori.
Katharina Schulze e Ludwig Hartmann

Alle elezioni bavaresi, la Csu è prima ma crolla al 35,5% (47,7% nel 2013) e perde la maggioranza assoluta, stando agli exit poll delle 18 divulgati da Ard. Trionfano i Verdi con il 18,5% (8,6% nel 2013). Ottimo risultato anche per i Freie Waehler 11,5% (9). Precipitano i Socialdemocratici con il 10% (20,6%). Alternative fuer Deutschland, che non era ancora rappresentata nel parlamento regionale conquista l’11%. I liberali raggiungono il 5% (3,3) la Linke è fuori con il 3.5 (2,1). Alle urne si è registrata una affluenza molto alta, con il 72,5% della partecipazione, rispetto al 63,6% del 2013. È quanto emerso dai dati divulgati da Ard. Al voto di oggi sono stati chiamati 9,5 milioni di elettori. L’Assia ha votato per le elezioni regionali, ma quello di oggi è soprattutto un test per la cancelliera e la stabilità dell’esecutivo a Berlino. Crollo vertiginoso per la Cdu, il partito di Angela Merkel, e per il suo alleato al governo, la SPD. Mentre volano i Verdi. I cristiano-democratici restano il partito più forte, ma si fermano al 28% o meno, perdendo oltre il 10% rispetto alle elezioni del 2013, dove era arrivata al 38,3%. Allo stesso modo, l’Spd è testa a testa con i Verdi, veleggiando sotto il 20%, ma segna una perdita di oltre 10 punti rispetto a cinque anni fa, quando era al 30,7%. Nel nuovo parlamento del Land di Wiesbaden, che è anche la regione di Francoforte, capitale finanziaria del Paese, entra per la prima volta l’ultradestra dell’AfD, che dai sondaggi è data a oltre il 12% e conferma, anzi migliora il risultato nazionale del voto per il Bundestag dell’anno scorso. La sinistra della Linke è al 6,6, secondo le prime proiezioni, i liberali dell’Fdp al 7,5%.

Ue: al via la commissione Junker
Jean-Claude Junker

In Macedonia è fallito il tanto atteso referendum sull’accordo con la Grecia per il nuovo nome del Paese ex jugoslavo (Macedonia del nord). L’affluenza alle urne non ha raggiunto il quorum del 50% più uno: l’ultimo dato diffuso dalla commissione elettorale parlava di una partecipazione di appena sopra il 34% alle 18.30, mezz’ora prima della chiusura dei seggi. A metà dei voti scrutinati, si sa però che oltre il 90,8% dei votanti ha scelto il cambio di nome, rispetto al 6,18% dei no. Il premier socialdemocratico Zoran Zaev, europeista convinto e grande fautore della consultazione, pur avendo subito una sconfitta politica, non si scoraggia e promette di continuare a battersi per garantire al Paese balcanico l’integrazione in Nato e Ue. E non esclude elezioni anticipate nel caso di difficoltà nell’iter parlamentare per l’approvazione dell’accordo con Atene. Sul fronte opposto, esultano i conservatori contrari al cambio del nome, con persone riversate nel centro di Skopje per festeggiare con musiche tradizionali e slogan antigovernativi. Il Parlamento europeo condanna il presidente Ungherese Viktor Orban. Ora tocca ai leader europei decidere. Il Parlamento chiede di aprire la procedura contro l’Ungheria per violazione delle norme sullo stato di diritto. L’assemblea ha approvato la risoluzione di Judith Sargentini sulla situazione in Ungheria, chiedendo di aprire la procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato in caso di violazione dei diritti fondamentali come democrazia, Stato di diritto e diritti umani. Il testo è stato approvato con 448 voti a favore, 197 contrari e 48 astenuti Per attivare la procedura dell’articolo 7, che potrebbe portare a sanzioni, era necessaria una maggioranza dei due terzi dei voti espressi, oltre alla maggioranza assoluta dei deputati europei. Jean-Claude Juncker ha dubbi sulla capacità della Romania di assumere la presidenza di turno dell’Ue. Il presidente della Commissione europea lo ha detto senza termini in un’intervista al quotidiano tedesco Die Welt. Sebbene il Paese sia “tecnicamente ben preparato”, Juncker ritiene che “il governo di Bucarest non abbia ancora compreso appieno cosa significhi presiedere i Paesi dell’UE”. La Romania si trova ad affrontare una crescente crisi politica e questo pochi giorni prima che il paese assuma la presidenza di turno dell’Unione Europea. Il parlamento è chiamato a votare una mozione di sfiducia contro il governo presentato dall’opposizione, nel frattempo, l’esecutivo di sinistra sta cercando di far passare un controverso decreto che perdonerebbe i politici corrotti, preparando il terreno a nuove proteste di massa e un nuovo scontro con Bruxelles.

Europee 2014: vincono Renzi, Merkel, Le Pen, Tsipras e Farage. Ppe primo partito

Dopo averlo respinto il 5 giugno, gli eurodeputati avevano proposto una vasta serie di emendamenti al testo. Oggi hanno approvato alcune modifiche proposte dal relatore Axel Voss agli articoli 11 e 13 della proposta di direttiva sul Copyright, che erano stati contestati in una campagna a favore della libertà di internet. Il via libera della plenaria apre ora la strada ai negoziati con il Consiglio. Immediate e di segno opposto le reazioni alla notizia. “La direttiva sul diritto d’autore è una vittoria per tutti i cittadini”, dice il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani.

«Non lo si crederebbe, ma l’Unione europea è un nostro nemico». Ben più di Cina e Russia. Donald Trump lasciando la Gran Bretagna getta la maschera, afferma quello che davvero pensa del Vecchio Continente. Lo fa in un’intervista alla Cbs registrata prima di volare a Helsinki, dove domani incontrerà Vladimir Putin. Gli risponde il presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk (a Bruxelles ribattezzato “Il nostro Donald”): «L’America e l’Europa sono amici, chi dice il contrario diffonde solo fake news». Che le due sponde dell’Atlantico siano amiche è evidente da un secolo, ma che Trump abbia deciso di trattare l’Unione come un nemico è ormai altrettanto chiaro. Il presidente Usa è impegnato a smantellare tutti le organizzazioni ed entità politiche che da decenni governano il globo, dandogli stabilità. Accordo tra Usa e Unione europea, per scongiurare una guerra commerciale. Lo hanno raggiunto i presidenti Trump e Juncker, durante il loro incontro di ieri alla Casa Bianca. In base all’intesa, le due parti lavoreranno per abbassare le tariffe reciproche sui prodotti industriali, aumentare le esportazioni di gas liquefatto e soia americana nel Vecchio Continente, e allineare gli standard regolatori delle apparecchiature mediche, affinché abbiano accesso più facile nella Ue. Questo dovrebbe bloccare la minaccia di Trump di imporre dazi del 25% sulle importazioni di auto anche se Trump ha ribadito che i «zero dazi» non riguarderanno l’industria automobilistica. La questione del gas invece si lega alla sicurezza energetica dell’Europa, di cui il capo della Casa Bianca aveva parlato al vertice Nato, perché rappresenta un’alternativa alle forniture russe di Nord Stream 2, e si lega al gasdotto Tap che dovrebbe portare in Italia le risorse del Mar Caspio. La riduzione reciproca delle tariffe sui prodotti industriali era stata proposta dal segretario al Commercio Ross.

Mentre la guerra commerciale si arricchisce quotidianamente di nuove tariffe e minacce, con l’epicentro alla Casa Bianca di Donald Trump, l’Europa e il Giappone firmano a Tokyo l’accordo di libero scambio, il maggiore mai negoziato tra le due aree economiche. A firmare, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e il premier giapponese Shinzo Abe. Una sigla che arriva all’indomani della visita della delegazione del Vecchio continente in Cina, dove altri impegni – molto meno stringenti, ma politicamente rilevanti – sono stati presi.

Italia e Ue cercano un'intesa sulla manovra.
Jean Claude Juncker e Giuseppe Conte

L’agenzia Moody’s taglia il rating dell’Italia a Baa3, ultimo gradino prima del livello “spazzatura”, da Baa2 con outlook stabile. La decisione di Moody’s di tagliare il rating dell’Italia è legata a un “cambio concreto della strategia di bilancio, con un deficit significativamente più elevato “rispetto alle attese”. Alla base della decisione di Moody’s di tagliare il rating dell’Italia c’è la “mancanza di una coerente agenda di riforme per la crescita”, e questo “implica” il prosieguo di una “crescita debole nel medio termine”, si legge nella nota, sottolineando che i piani del governo non rappresentano un “coerente programma di riforme” che può spingere “la mediocre performance della crescita su base sostenuta”. Le possibilità di un’uscita dell’Italia dall’euro sono al momento “molto basse”, ma potrebbero aumentare “se le tensioni fra il governo italiano e le autorità europee” sulla manovra e sugli impegni sui vincoli bilancio “dovessero subire una ulteriore escalation”, scrive ancora Moody’s. Il reddito di cittadinanza, il rilancio dei centri dell’impiego e la riforma della legge Fornero sulle pensioni da sole, costeranno uno 0,8 per cento del Pil per ognuno dei prossimi tre anni. L’attesa bocciatura alla fine è arrivata: la Commissione Ue ha deciso di respingere il Documento programmatico di bilancio italiano e di chiederne uno nuovo, che dovrà essere inviato entro tre settimane a Bruxelles. Lo ha stabilito il collegio dei commissari: dall’esecutivo europeo è giunta la richiesta “di sottomettere di nuovo il Documento programmatico di bilancio”. Il vice presidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, insieme al commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, in conferenza stampa ha ufficializzato il passo: “E’ con molto dispiacere che sono qui oggi, per la prima volta la Commissione è costretta a richiedere ad uno Stato di rivedere il suo Documento programmatico di bilancio. Ma non vediamo alternative. Sfortunatamente i chiarimenti ricevuti ieri – con la lettera del ministro Tria – non erano convincenti”. Un passo che secondo il ministero dell’Economia “era ampiamente previsto” e al quale “risponderemo nei tempi previsti”. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte partecipa al Consiglio Europeo a Bruxelles. Apertura di un dialogo tra Italia e Unione Europea con l’incontro tra Giuseppe Conte e il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker sulla manovra economica per la legge di bilancio. Il governo gialloverde fa marcia indietro sul deficit a Bruxelles e, sui social, è evidente la delusione di tanti sostenitori, che non mancano di palesare a premier e vicepremier rabbia e indignazione. “Dal 2,4 siamo scesi al 2,04 e questo ci consente di portare avanti il negoziato con l’Ue. Abbiamo messo sul tavolo una proposta seria e siamo fiduciosi che si concluderà con una soluzione positiva per i cittadini italiani. Le misure entreranno in vigore entro quanto preannunciato, non ci saranno ritardi”, ha affermato il premier Conte a Bruxelles. “Il dialogo è molto proficuo. Il deficit calerà e la crescita sarà superiore alle nostre aspettative”.

Uk a sorpresa al voto (l'8 giugno)
Theresa May

Il giorno più lungo di Theresa May si conclude con un buon risultato, almeno per lei: mantiene il posto. I ministri “ribelli” che minacciavano di dimettersi, e poi di chiedere un voto di sfiducia per detronizzarla sostituendola con uno di loro, non si sono dimessi. La premier li ha rinchiusi con sé per dodici ore a Chequers, sua residenza di campagna ufficiale, confiscando i telefonini all’ingresso onde evitare fughe di notizie e distribuendo biglietti da visita di agenzie di taxi locali: per fare capire agli eventuali dimissionari che avrebbero perso immediatamente l’auto ministeriale e sarebbero dovuti rientrare a Londra a proprie spese. Il momento di trionfo di Theresa May è durato poco: venerdì la premier britannica era all’apparenza riuscita a convincere tutti i suoi ministri a sostenere la sua strategia su Brexit. Oggi invece May si trova su un crinale pericoloso, “grazie” a una doppia defezione che ne indebolisce ancora di più la posizione. Davis ha dato le dimissioni in una lettera alla May ieri sera, spiegando di non poter sostenere una strategia che, secondo lui, fa troppe concessioni all’Unione Europea e sottrae troppi poteri al Parlamento britannico. Johnson lo ha seguito a strettissimo giro, anche se al momento non ha divulgato commenti sulla sua scelta. Al posto del ministro dimissionario degli Affari Esteri Boris Johnson è stato nominato Jeremy Hunt, ministro della Sanità, che a suo tempo aveva sostenuto la permanenza del Regno Unito nell’Unione europea ed è considerato un moderato. L’ex sindaco di Londra Johnson era fautore di una “hard” Brexit, e dopo le dimissioni si è detto rammaricato del fatto che il sogno della Brexit “stia per morire”. L’altro dimissionario è David Davis, ministro per la Brexit, euroscettico convinto incaricato proprio di gestire il processo di uscita di Londra dalla Ue due anni fa, dopo il risultato dello storico referendum. Al suo posto è stato nominato Dominic Raab, più flessibile. Il ministero di Raab dura dopo, dimessosi dopo quattro mesi insieme ad altri due ministriRaab dichiara: “Non posso sostenere l’accordo con l’Ue”. Raab, figura chiave nell’ultima fase dei negoziati e ‘brexiteer’ convinto, afferma di non poter “sostenere in buona coscienza i termini dell’accordo con l’Ue proposto”. Nella sua lettera di dimissioni indirizzate alla premier Theresa May afferma di “comprendere” i motivi per i quali il governo abbia deciso a maggioranza di sposare la bozza d’intesa e di “rispettare il diverso punto di vista” espresso che ha spinto la premier e “altri colleghi” a dare il via libera al testo “in buona fede”. Il successore di Rabb al ministero Brexit è Stephen Barclay, 46 anni, sottosegretario alla Sanità, sostenitore del Leave non una figura di primo piano con un passato come direttore della Barclays Bank. Caratteristica di Barclay è che è un ultralealista, non si è mai ribellato al governo quindi la signora May sembra stavolta andare sul sicuro. Barclay è il terzo ministro di Brexit dopo Davis e Raab. Torna al governo Amber Rudd come neoministro del Lavoro, in sostituzione della dimissionaria Esther McVey, l’altra uscita di scena in polemica con l’accordo sulla Brexit. Al contrario di Barclay, Rudd è una Remainer cioè voleva rimanere nella Unione europea ma è anche considerata fedele alla primo ministro. L’annuncio arriva da Downing Street, e si completa così il minirimpasto. Rudd è stata ministro dell’Interno e per le si tratta di un ritorno al governo.

Regno Unito, Corte Supema conferma l'Alta Corte su Brexit: dovrà esssere votata da Parlamento
Regno Unito, Brexit

E’ stato raggiunto un “accordo tecnico” sulla Brexit tra Londra e Bruxelles. Lo riferiscono i media britannici. Gli ambasciatori dei Paesi Ue si vedranno mercoledì per studiare il testo, che è stato inviato a Londra, dove nel pomeriggio si riunirà il governo guidato da Theresa May. Due anni e mezzo dopo il referendum, e dopo diciotto mesi di intensi negoziati, l’Unione europea ha approvato questa mattina l’accordo sulla Brexit. L’annuncio arriva dal summit dei 27 leader dell’Unione riuniti a Bruxelles, dove ieri sera era arrivata anche Theresa May per discutere gli ultimi dettagli dell’intesa. Il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk è stato il primo a comunicare l’approvazione del patto con un tweet. Poco prima lo stesso Tusk aveva citato un verso di Freddie Mercury, il cantante dei Queen morto 27 anni fa, per riassumere lo storico momento: “Friends will be friends, right till the end”. Gli amici resteranno amici sino alla fine. l lavoro di Theresa May non è finito. L’ultimo passaggio per completare la Brexit richiede ulteriori rassicurazioni dall’Unione europea, dice la Premier britannica. Nei prossimi giorni i colloqui si concentreranno sulla questione del “backstop” per l’Irlanda del Nord, la soluzione provvisoria di garanzia per evitare in tutti i casi il ripristino di una “frontiera dura” con la repubblica d’Irlanda. Il secondo referendum sulla Brexit ha più del cinquanta per cento delle probabilità di venire indetto. Lo ha sostenuto nel corso di una intervista a Euronews l’ex premier britannico Tony Blair. L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è diventata a tutti gli effetti una corsa a ostacoli. Ora lo ammette anche Liam Fox, ministro del Commercio e soprattutto brexiter della prima ora. Avvertendo che se il piano May verrà bocciato dal Parlamento di Westminster, a gennaio, c’è un buon 50% di possibilità che il 29 marzo non ci sia nessun divorzio.

L'Ungheria sbandiera l'alleanza con l'Italia
Matteo Salvini e Viktor Orban

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha ricevuto durante la mattina a Palazzo Chigi il Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’ONU per la Libia, Ghassan Salamé. A Tripoli si è invece recato il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani per colloqui con il primo ministro, Faiez Serraj, che nei giorni scorsi aveva già ricevuto Moavero.  Al centro di tutti i colloqui “il processo politico in Libia, l’attuazione del piano delle Nazioni Unite e gli ultimi sviluppi nella zona della Mezzaluna petrolifera”, ha riferito la Missione di assistenza Onu in Libia (Unsmil). La “road map” delle Nazioni Unite in Libia prevede un referendum sulla Costituzione, una conferenza nazionale aperta a tutte le parti politiche libiche ed elezioni entro la fine del 2018. Questi sforzi, tuttavia, vengo ostacolati dalla recente decisione del generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, di consegnare i terminal petroliferi nell’est del paese alle autorità non riconosciute nell’est della Libia. “Vi sono molte cose che contrassegnano l’Ue e la sua storica integrazione ma due ne esprimono appieno l’anima: Erasmus e Schengen”. È “poco responsabile” mettere “a rischio” la libertà di movimento degli europei. Lo dice il presidente della Repubblica Sergio Mattarella rispondendo a una domanda sulla possibile chiusura dei confini dell’Austria come reazione all’arrivo di migranti. Budapest sottolinea le convergenze con Roma sulla strategia in materia di immigrazione. “Nella politica d’immigrazione dell’Ungheria e dell’Italia ci sono punti di convergenza” afferma il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto, alla radio pubblica Mr. “La difesa dei confini dell’Europa consiste nella gestione dell’immigrazione. L’Ungheria ha già dimostrato che i confini di terraferma possono essere difesi. L’Australia e l’Italia hanno dimostrato che anche i confini marittimi possono esserlo”. Parole che giungono a pochi giorni dall’incontro alla Farnesina fra lo stesso ministro e l’omologo italiano Enzo Moavero Milanesi, quando l’Ungheria rispose picche alla richiesta italiana di accogliere una parte dei migranti salvati in mare della nave Diciotti. Moavero ha spiegato come la visione italiana presenti punti di dissonanza da quella ungherese. Matteo Salvini ha invece sottolineato nei giorni scorsi la condivisione fra Italia e Ungheria della visione sulla chiusura delle frontiere esterne del Vecchio Continente. L’Italia ha cercato sponde in unione europea per la sua nuova visione dell’immigrazione. Praga dice no ai ricollocamenti dei migranti. Non ne accetteranno neanche uno. L’incontro tra il premier Giuseppe Conte e il premier ceco Andrej Babis è servito soltanto a rimarcare la distanza delle rispettive posizioni sulla politica dei ricollocamenti. Fiasco anche con l’Irlanda. Leo Varadkar non è riuscito a raggiungere un accordo con il primo ministro italiano sul progetto di portare 600 migranti in Irlanda. Lo stato si era impegnato a prendere i migranti come parte di un programma di reinsediamento concordato nel 2015, ma nessuno è ancora arrivato a causa di una disputa tra i governi irlandese e italiano sui controlli di sicurezza. Il Dipartimento di Giustizia aveva dichiarato che voleva valutare i migranti in Italia prima che potessero essere autorizzati a viaggiare in Irlanda. K.O. anche a Bruxelles. “E’ deplorevole che l’idea di un censimento dei Rom ritorni nel discorso pubblico degli Stati membri dell’Unione”. Così la commissaria dell’Unione europea alla Giustizia, Vera Jourova, di fronte alla plenaria dell’Europarlamento riunita a Strasburgo ha condannato la recente idea del ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini. Intanto il Tribunale supremo spagnolo ha condannato il governo di Madrid perché non ha rispettato l’impegno, assunto nel 2015, con l’Unione europea per la ricollocazione di 19.449 profughi provenienti da Italia e Grecia. È la prima volta che un tribunale europeo condanna il proprio Paese per questo tipo di violazione. Per il Tribunale supremo quelli presi erano impegni “vincolanti e obbligatori” e la Spagna li ha assolti solo parzialmente. Ha accolto, infatti, appena 2500 profughi (1875 dalla Grecia e 625 dall’Italia), pari al 12,85% della quota fissata.

No Salvini day
No Salvini day

Il CdM, su proposta del Presidente Conte e del Ministro Salvini, ha approvato un decreto-legge (denominato Decreto Sicurezza e Immigrazione o Decreto Salvini) che introduce disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, di sicurezza pubblica e misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, nonché in materia di giustizia sportiva e di regolare svolgimento delle competizioni sportive. L’aula della camera ha votato la fiducia posta dal governo sul dl sicurezza. A votare per la fiducia al governo sul decreto sicurezza sono stati i deputati M5s e Lega, più 3 del gruppo Misto (Maie) (Salvatore Caiata, Antonio Tasso e Catello Vitiello), come risulta dai tabulati della Camera. Contrari alla fiducia: Fratelli d’Italia, Pd, LeU, Forza Italia ed esponenti del gruppo misto. Non hanno partecipato al voto 3 deputati della Lega e uno del Movimento 5 stelle, mentre gli assenti, perché in missione, sono stati uno del Carroccio e 7 dei 5S. In tutto 12 deputati della maggioranza. A Milano, Roma, Napoli si è tenuto il corteo “No Salvini day” organizzato dagli studenti in aperta contestazione con il vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini. I temi della protesta sono “le diseguaglianze e l’alternanza scuola lavoro, la legge di bilancio, l’edilizia scolastica e gli investimenti, il numero chiuso universitario e le scuole sicure”. Il consiglio dell’isola di Maiorca, in Spagna, riunito in plenaria ha approvato una mozione per dichiarare il ministro dell’Interno Matteo Salvini persona “non grata” sull’isola. Secondo quanto riporta il sito del Diario de Mallorca infatti il consiglio dell’isola delle Baleari motiva la decisione di “chiudere le frontiere” al leader della Lega con “xenofobia e disprezzo per la vita”. La mozione è stata presentata dai partiti Podemos, Més e PSIB e ha ricevuto l’approvazione all’unanimità dopo due emendamenti proposti da altri partiti. Il Partito popolare ha espresso anche la volontà di includere nel testo una denuncia contro l’idea prospettata del ministro dell’Interno italiano in merito al censimento dei Rom.

Gilet gialli all'attacco di Macron
Gilet gialli all’attacco di Macron

Guardando in lontananza l’Arco di Trionfo avvolto da fumogeni colorati sembrerebbe quasi di assistere ai festeggiamenti per la vittoria della Francia ai mondiali di questa estate, ma non appena ci si avvicina lo spettacolo è ben diverso, con violente scene di guerriglia alternate a momenti di panico generale. e immagini di Parigi in fiamme, i saccheggi, l’Arco di Trionfo preso d’assalto e avvolto dai gas lacrimogeni hanno fatto il giro del mondo. Ma sono anche ingannevoli. I gilet gialli sono un movimento diffuso, senza leader o portavoce e con esigenze molto diverse. Sia l’estrema destra che la sinistra hanno cercato di appropriarsene, o almeno di mostrare il loro sostegno.

Il terrore torna a scuotere la Francia con un attacco ai mercatini di Natale del centro storico di Strasburgo, nell’est del Paese, cuore dell’Europa e casa del Parlamento europeo. L’ultimo bilancio aggiornato è di tre morti, 13 feriti – tra cui 8 gravi – e un livello di allerta attentati in tutto il Paese. Tra le vittime, secondo le Figaro, ci sarebbe un turista thailandese di 45 anni mentre la moglie sarebbe rimasta ferita.  Procuratore: il killer ha gridato Allah Akbar  Al momento “deploriamo il decesso di due persone. Una terza si trova in stato di morte cerebrale”. Lo ha detto il procuratore di Parigi, Remi Heitz, aggiungendo che l’aggressore ha gridato ‘Allah Akbar’. “Il terrorismo ha nuovamente colpito il nostro territorio”, ha dichiarato in conferenza stampa. Heitz ha confermato che quattro persone vicine all’aggressore sono attualmente in stato di fermo. Tra i fermati il padre e 2 fratelli dell’attentatore  Il padre e i due fratelli del presunto killer di Strasburgo, Cherif Chekatt, sono tra le persone fermate dagli inquirenti francesi. Lo riferiscono fonti di polizia citate da Bfm-Tv che aggiunge che alcuni membri della famiglia sono noti per essere radicalizzati. Cherif Chekatt è fuggito in taxi Alle 20 di ieri, il 29enne Cherif Chekatt, già segnalato con il “fiché S” per radicalizzazione, ha aperto il fuoco in rue Orfe’vres, uccidendo tre persone – secondo quanto ha riferito il ministro dell’Interno Christophe Castaner – e ferendone 13. Tra loro anche un giovane giornalista italiano, in condizioni molto gravi. “Quando tutti i capi di stato e di governo dell’Unione europea sono riuniti insieme per commemorare le vittime dell’attentato di Strasburgo c’è un solo assente, uno solo. Una sola sedia vergognosamente vuota. L’assente è il premier italiano Conte. Che arriva a Bruxelles, vede Juncker e gli altri, fa la conferenza stampa. Ma poi all’improvviso decide di prendere l’aereo di stato, tornare indietro a Roma, andare in trattoria con Salvini e Di Maio, e ripartire il giorno dopo per Bruxelles”. Lo scrive su Facebook il senatore Pd, Matteo Renzi.

Per anni sotto tutela, con i conti in disordine e la necessità di barattare la propria autodeterminazione con gli aiuti dei programmi di salvataggio, la Grecia ha approvato martedì “la prima legge di bilancio di un Paese libero” . Così l’ha definita il primo ministro Alexis Tsipras. “Entro la fine del 2018 il paese avrà completato due anni di crescita positiva, 1,5% l’anno scorso e più del 2% quest’anno. Nel 2019 – ha detto Tsipras – ci aspettiamo una crescita ancora più grande”. Ma, secondo il leader del principale partito di opposizione Kyriakos Mitsotakis, la Grecia si risolleva a spese delle classi meno abbienti che vedono peggiorare la propria qualità della vita.

Genova, crolla il Ponte Morandi
Genova, crolla il Ponte Morandi

“Stamane a Genova è accaduta un’altra tragedia tanto inaccettabile quanto annunciata. L’ultima di una lunga serie: il crollo del ponte Morandi certifica l’assoluta assenza di controlli e comprova lo stato pietoso dei viadotti nel nostro Paese, che – purtroppo – troppi cittadini hanno già pagato con la vita o con danni gravissimi. Ora, mentre speriamo che il bilancio del crollo sia contenuto il più possibile, è evidente – afferma Francesco Di Lieto del Codacons. È stato costruito tra il 1963 e il 1967 dalla Società Italiana per Condotte d’Acqua. Il viadotto Polcevera è in realtà conosciuto come ponte Morandi per via del progettista, l’ingegnere Riccardo Morandi. A causare il tragico crollo nella mattinata di martedì potrebbe essere stato un cedimento strutturale, avvenuto nel tratto che sovrasta via Walter Fillak, nella zona di Sampierdarena. Uno degli argomenti destinati ad alimentare le polemiche politiche dei prossimi giorni è la questione della Gronda di Genova, una nuova autostrada che avrebbe dovuto collegare Genova con le autostrade del nord per alleggerire il traffico sul viadotto dell’A10 e sul ponte Morandi, tragicamente crollato il 14 agosto. Un progetto fortemente osteggiato dai comitati “No Gronda” del Movimento 5 stelle, e solo pochi giorni fa, in continuità con questa opposizione, il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli aveva inserito quest’opera tra quelle destinate ad essere ridiscusse, o cancellate, dopo che a settembre 2017 il decreto del ministro Delrio, che lo ha preceduto alle Infrastrutture, aveva approvato il progetto dichiarandolo di pubblica utilità. Il decreto per Genova è legge. Il provvedimento, che contiene anche disposizioni su altre emergenze, è stato approvato a tre mesi dal crollo del ponte Morandi, che ha causato la morte di 43 persone. Il testo è stato approvato dal Senato con 167 voti favorevoli, 49 contrari e 53 astensioni. Il provvedimento era passato alla Camera il primo novembre, dopo una seduta notturna.

La Corte Costituzionale rumena sancisce che le famiglie lgbt devono avere gli stessi diritti di quelle etero
La Corte Costituzionale rumena sancisce che le famiglie lgbt devono avere gli stessi diritti di quelle etero

In Germania arriva la terza opzione di genere sui certificati di nascita. I bambini “intersessuali”, che cioè hanno tratti che non si adattano perfettamente a una tipica definizione di maschio e femmina, potranno essere registrati come sesso “vario”. La novità stabilita da una legge appena approvata, secondo il governo della cancelliera Angela Merkel, era «attesa da tempo». In Romania la Corte Costituzionale ha sancito che le coppie gay devono avere gli stessi diritti delle famiglie eterosessuali e che devono poter «beneficiare, nel lungo periodo, dal punto di vista legale del riconoscimento dei loro diritti e obblighi». L’elettorato era stato chiamato a decidere se modificare o meno l’articolo 48 della costituzione rumena, che definisce il matrimonio come ‘unione spontanea fra coniugi’. I promotori del referendum, volevano modificare il testo mettendo ‘unione spontanea fra uomo e donna’ rendendo praticamente impossibile il riconoscimento delle unioni fra persone dello stesso sesso anche sul lungo termine.  Il referendum è stato promosso dalla Coaliția pentru Familie, la Coalizione per la Famiglia, formata da organizzazioni di destra e vicine alla Chiesa, ma davanti al quale il Partito Socialdemocratico al governo non ha certo fatto opposizione. In settembre il Senato ha votato a larga maggioranza per mandare avanti la consultazione popolare, che ha ottenuto il via libera anche dalla Corte Costituzionale.  È durante un comizio che il leader del primo partito polacco, Jarosław Kaczynski, ha paragonato l’estensione dei diritti civili in Europa ad una «malattia» da cui la Polonia deve «difendersi». Il riferimento era ai diritti civili per donne e coppie gay. In Polonia le famiglie gay non godono di alcuna protezione civile e le donne non hanno alcuna libertà di scelta sul proprio corpo.

Il decreto dignità è una legge che riguarda il settore del lavoro in Italia. Il provvedimento include un pacchetto fisco “light” con ritocchi al redditometro, lo slittamento della scadenza dello spesometro al 28 febbraio (dal 30 settembre) e lo stop allo split payment solo per i professionisti. Rivista la norma sulle delocalizzazioni che farà scattare multe da 2 a 4 volte il beneficio ricevuto per le imprese che delocalizzano “entro cinque anni dalla data di conclusione dell’iniziativa agevolata”. La stretta resta per chi lascia l’Italia per un Paese extraeuropeo mentre è dubbio che sia applicanile a chi trasferisce l’attività, anche in parte, in uno dei Paesi dell’Unione. Il beneficio pubblico, inoltre, andrà restituito con gli interessi maggiorati fino a 4 punti percentuali. La Camera dei Deputati approva la conversione del disegno di legge del Decreto Dignità con 312 favorevoli, 190 contrari e 1 astenuto. Il Senato approva in via definitiva la conversione in legge del Decreto Dignità con 155 si, 125 no e un astenuto. L’Assemblea di Palazzo Madama, ha approvato definitivamente il disegno di legge che converte il decreto legge 12 luglio 2018, n. 87. Il testo, denominato da più parti “Decreto Di Maio” o “decreto Dignità” era stato varato dal Governo per introdurre “disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle impres”.

Ungheresi da quattro giorni in piazza contro "legge schiavitù"
Ungheresi da quattro giorni in piazza contro “legge schiavitù”

Migliaia di ungheresi sono scesi in piazza contro le politiche del premier conservatore e nazionalista, Viktor Orbàn, in particolare contro la riforma del codice del lavoro, che alza a un massimo di 400 ore l’anno il numero delle ore di straordinario legali. Sindacati e partiti politici di opposizione hanno mobilitato circa 10.000 persone. Molti manifestanti indossano indumenti bianchi, a testimoniare la natura non violenta della marcia.”Buon Natale, signor Primo Ministro”, è lo slogan della protesta in riferimento alle parole usate da Orban durante il dibattito parlamentare, nei confronti dell’opposizione che lo interrogava su quella che i contestatori definiscono la “legge della schiavitù”, che aumenta da 250 a 400 il numero massimo di ore di straordinario consentito all’anno, dando in pratica il via libera ai datori di lavoro a costringere i dipendenti a lavorare sei giorni a settimana. Nuova mossa del premier sovranista Viktór Orbán in Ungheria. Il Parlamento della capitale Budapest ha approvato con 130 voti favorevoli contro 52 contrari la riforma del codice del lavoro magiaro che alza a un massimo di 400 ore l´anno il numero delle ore straordinarie legali. I contestatori, a cominciare dai sindacati, definiscono la svolta “legge sulla schiavitù”.

Per la Corte d’Appello tedesca, l’ex Presidente catalano, Carles Puigdemont, potrà essere estradato in Spagna per malversazione, l’uso irregolare di fondi pubblici, ma non per quello di ribellione. Il politico catalano, che intanto resta a piede libero, per evitare di essere perseguito dalla magistratura spagnola, a fine 2017 era fuggito in Belgio, salvo poi essere fermato in Germania mentre cercava di raggiungere la Finlandia. Venticinque anni di carcere per l’ex vicepresidente catalano, Oriol Junqueras, 17 per la presidente del parlamento Carme Forcadell, 17 per i leader delle associazioni della società civile indipendentista. Poco meno per gli altri ex membri del governo Puigdemont.

Cop 24, tante promesse, niente di concreto
Cop 24, tante promesse, niente di concreto

L’obiettivo minimo è stato raggiunto, ma nulla di più. I quasi 200 Paesi che avevano firmato l’accordo di Parigi nel 2015 hanno chiuso la Conferenza Onu sul clima (Cop24) a Katowice, in Polonia, con un accordo poco ambizioso. Nonostante i recenti moniti degli scienziati sull’urgenza di agire per frenare il climate change, perché – avvertono – ci rimane una dozzina di anni prima che si verifichino eventi naturali estremi, non è stato facile mettere d’accordo tutti i Paesi, da quelli produttori di petrolio a quelli meno sviluppati e più vulnerabili. Così la risposta non sembra ancora all’altezza della sfida.

La Nuova Caledonia rimarrà francese
La Nuova Caledonia rimarrà francese

La Nuova Caledonia rimarrà un territorio francese d’oltremare. Al referendum che si è tenuto nella notte italiana tra sabato e domenica hanno vinto i “No” all’indipendenza dalla Francia, ottenendo il 56,4 per cento dei voti e confermando la tendenza rilevata nei sondaggi delle ultime settimane. L’affluenza è stata molto alta, dell’81 per cento. Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha tenuto un discorso domenica mattina in cui ha confermato la vittoria del “No”. La Nuova Caledonia è un arcipelago che fa parte della Melanesia, una delle regioni che compongono l’Oceania, abitato da circa 260mila persone.

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