Europa

Sei mesi in Europa – 2ndo semestre 2017

Elezioni legislative in Austria. La Ovp, il partito dei popolari guidato da Sebastian Kurz, è in testa con il 31,6% dei voti, oltre sette punti in più rispetto alle ultime elezioni. Al secondo posto arrivano i socialdemocratici del cancelliere uscente, Christian Kern, con il 26,9% dei voti. Ma la destra nazionalista, islamofoba ed euroscettica di Heinz-Christian Strache, è balzata di cinque punti al 26% dei consensi. Batosta per i Verdi, finiti al momento sotto la soglia di sbarramento del 4%, al 3,9%, dunque fuori dal Parlamento. Mentre i Neos e la lista di Peter Pilz, nata da uno scissionista dei Verdi, si assestano rispettivamente al 5,1% e al 4,3%. Efficace il commento di Strache, che con un ghigno, dopo aver promesso che “parleremo con tutti”, ha detto che “una cosa è chiara: quasi il 60% degli austriaci ha votato per il programma della Fpo”. Il riferimento è alla decisa svolta a destra impressa da Kurz ai conservatori austriaci, attraverso il pugno duro sui profughi. Il ministro uscente degli Esteri ha rivendicato di essere l’architetto del blocco austro-ungarico dei confini, durante l’arrivo dei milioni di rifugiati siriani tra il 2015 e il 2016. Kurz, dal canto suo, ha esultato per un voto che segnalerebbe “la volontà di cambiamento del popolo”.

Vince la Merkel, ma non convince.

Vince la Merkel, ma non convince.

Elezioni legislative in Germania. Una vittoria a metà per Angela Merkel e la sua Cdu, un trionfo per l’estrema destra dell’Afd, una sconfitta secca per i socialdemocratici di Martin Schulz. La Germania esce dal voto per il Bundestag con meno certezze, con un partito xenofobo per la prima volta in Parlamento e che si afferma come terza forza, e si dirige verso un governo retto da una maggioranza spuria (centristi più liberali più verdi) che rischia di non essere d’accordo su molti punti del programma di governo. La Cdu di Angela Merkel si conferma primo partito con il 32,9% dei consensi e 246 seggi, ma perde più di 8 punti percentuali rispetto a 4 anni fa. Brutto risultato per la Spd, che supera di poco il 20% (era al 26%) e si ferma a 153 seggi. Per entrambi i partiti storici – attualmente alleati di governo – è il risultato peggiore dal 1950 a oggi. L’estrema destra dell’Afd prende il 12,6% (erano sotto il 5%). Successo anche per i liberali dell’Fdp, al 10,7%, ma in netto recupero rispetto a quattro anni fa, quando rimasero fuori dalla Camera. Tengono la Linke (sinistra) e i Gruenen (verdi), sulle stesse percentuali del 2013. Il fatto che siano sei i partiti ad entrare in Parlamento è una novità nel sistema politico tedesco, novità che spezzetterà la maggioranza e potrebbe costringere Merkel a una difficile ‘navigazione’. Scontata la conferma di Merkel come cancelliera, anche se non è chiaro quali partiti sosterranno il suo governo.

Rep. Ceca, Babis, nuovo premier

Andrej Babis

Elezioni legislative in Repubblica Ceca. Svolta a destra alle elezioni parlamentari anticipate svoltesi ieri e oggi nella Repubblica ceca, uno dei piú avanzati e prosperi paesi del centro-est europeo, membro di Unione europea e Nato. Il “Trump ceco” o “Babisconi”, il 63enne miliardario Andrej Babis, stravince le elezioni: il suo partito Ano (Sì in ceco) ha ottenuto il 29,7 per cento dei consensi che vale 78 dei 200 seggi della camera bassa. Al secondo posto, per un pelo, il centrodestra storico (Ods) con l’11,3 per cento. Dietro il Partito dei pirati con il 10,8 e una formazione radicale, xenofoba, antieuropeista, il Partito della libertà e della democrazia diretta (Spd) guidata da un leader di origini miste ceco- giapponesi, Tomio Okamura, che si è attestata al 10,7 per cento. Peggio che mai vanno i socialdemocratici (Cssd), il partito di maggioranza uscente del premier dimissionario Bohuslav Sobotka, che crollano al 7,5 per cento nel loro peggior risultato storico assoluto. Il presidente della Repubblica Ceca Milos Zeman ha ufficialmente conferito al miliardario Andrej Babis – leader del movimento “Azione dei cittadini scontenti” (Ano), vincitore delle scorse elezioni politiche – l’incarico di formare il nuovo governo. Il neo-premier è dunque al lavoro per costituire un esecutivo di minoranza.

Pahor riconfermato presidente Slovenia

Borut Pahor

Il ballottaggio per decidere il nuovo capo della Repubblica slovena si è concluso con la conferma del presidente uscenteBorut Pahor, che già nel primo turno elettorale aveva ottenuto quasi il doppio delle preferenze del suo avversario Marjan Sarec, forte del 47,2% ottenuto lo scorso 22 ottobre contro il 24,7% dell’ex comico attuale sindaco di una città del nord del Paese, Kamnik. Pahor questa volta “solo” con il 53% dei consensi rimarrà in carica per il prossimo quinquennio e si (re)insedierà il 23 dicembre. «La mia rielezione è il segnale che i cittadini vogliono forze e idee politiche che uniscono. Questo risultato è uno dei pochi in Europa, nel quale viene confermata la fiducia a chi ha già svolto un mandato. Gli elettori cercano stabilità», sono state le sue prime parole alla fine della competizione. Dopo esser stato criticato in campagna elettorale per non essere intervenuto su questioni rilevanti per i cittadini, il nuovo presidente ha dichiarato che farà sentire in modo più chiaro la sua posizione.

Mateusz Morawiecki, è il nuovo premier polacco. Ha presentato il suo esecutivo e, con i ministri, ha giurato davanti al Capo dello Stato. L’atteso rimpasto del Pis, il partito governativo, è stato selettivo e limitato: l’uscita di Beata Szydlo, la premier che si è dimessa tre giorni fa. Szydlo diventa vicepremier senza portafoglio del nuovo esecutivo, e potrebbe ottenere la delega degli affari sociali. Altri cambiamenti sono attesi a gennaio. Domani Morawiecki presenterà il programma in Parlamento e chiederà la fiducia.

Anna Kinberg Batra si è dimessa da leader del Partito moderato svedese il 25 agosto 2017. Il 1 ° settembre 2017 Ulf Kristersson ha deciso pubblicamente di candidarsi come leader. È diventato leader del partito il 1 ° ottobre 2017. Il partito ha visto un netto aumento del sostegno nei sondaggi, rispetto al numero record di vittorie sotto il suo predecessore Batra.

Uk, Vince Cable nuovo leader LibDem

Vince Cable

Come avvenuto per i conservatori lo scorso anno, anche la sfida alla leadership dei liberaldemocratici britannici si è conclusa per il ritiro di tutti i contendenti. A essere incoronato è stato Sir Vince Cable, personaggio atipico e piuttosto di rottura rispetto ai suoi predecessori, Tim Farron e Nick Clegg. Nato a York da una famiglia tory, a ventisette anni si candidò al parlamento con i laburisti, con cui successivamente diventò consigliere comunale a Glasgow, dove ottenne un dottorato. Alla politica affiancò la carriera da economista, lavorando con il governo kenyano, quello britannico, il Commonwealth e la Shell. Nel 1982 si unì ai Social Democrats, che dopo varie fusioni andranno a formare i libdem.

Hanno Pevkur ha confermato che non ha intenzione di candidarsi alla presidenza del Partito riformatore estone nelle sue prossime elezioni interne a gennaio. Nel frattempo Kaja Kallas, che ha dato la mancia al suo successore, dice che ha bisogno di tempo per decidere. “Ho proposto a Kaja di candidarsi come presidente del partito, e questo significa che non sto correndo, non è così”. Anche se Kallas ha detto che è stata una sorpresa per lei, Pevkur ha detto che le aveva effettivamente parlato prima di fare il suo annuncio. Pevkur ha anche commentato che la vita di Kallas era a Bruxelles al momento, con un bambino che andava a scuola anche lì. Naturalmente sarebbe meglio avere il leader del partito qui in Estonia, ma questa è stata la sua decisione, ha detto.

Francia: Wauquiez confermato leader dei Repubblicani

Laurent Wauquiez

Laurent Wauquiez è stato eletto oggi nuovo presidente del partito dell’opposizione di destra in Francia, Les Républicains, con il 74,64% dei voti, rendendo inutile il ballottaggio. Lo ha annunciato il segretario generale, Bernard Accoyer. I Républicains voltano pagina. Addio all’era Sarkozy-Fillon, soprattutto – questo è l’auspicio dell’opposizione di destra – basta con le sconfitte a ripetizione. Dopo il 2012 con François Hollande e il 2017 con Emmanuel Macron, l’obiettivo è ora spostato al 2022. E l’uomo nuovo scelto per guidare il riscatto è un ‘falco’, Laurent Wauquiez, che ha stravinto il primo turno della consultazione con il 74,64% dei voti, rendendo inutile il ballottaggio.

Verso la variazione dell'accordo di Dublino

Verso la variazione dell’accordo di Dublino

Francia e Spagna si dicono pronte a sigillare i loro porti, l’Austria a schierare l’esercito al Brennero. Sono poco concilianti le risposte europee alle richieste d’aiuto italiane, alla vigilia dell’incontro dei commissari. “L’Italia intera è mobilitata nell’accoglienza dei migranti e chiede condivisione in questa opera, necessaria se l’Europa vuole mantenere fede ai propri principi, storia e civilità e necessaria all’Italia per evitare che la situazione divenga insostenibile e alimenti reazioni ostili nel nostro tessuto sociale che finora ha reagito in modo esemplare dimostrando capacità di accoglienza e coesione”, ha detto il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, alla Conferenza Fao. L’accordo di Dublino, che regola l’accoglienza dei richiedenti asilo in Europa è destinato a cambiare. La commissione Ue ha raggiunto a maggioranza l’accordo politico per modificarne le norme principali: tutti i paesi dell’Unione dovranno accettare i ricollocamenti, sparirà l’obbligo di domanda di asilo nel paese di approdo e chi non accetterà queste condizioni si vedrà decurtare i fondi comunitari. La riforma però non entra subito in vigore: ora le linee guida dovranno essere confermate dall’assemblea di Strasburgo e recepite dai singoli governi. Il nuovo regolamento è stato approvato con 43 voti a favore e 16 contrari. «Il sistema europeo di asilo è una delle questioni chiave che determinano lo sviluppo futuro dell’Europa. In qualità di relatrice, il mio obiettivo e’ creare un sistema d’asilo veramente nuovo basato sulla solidarietà, con regole chiare e incentivi a seguirle, sia per i richiedenti asilo che per tutti gli Stati membri – ha sottolineato Cecilia Wikstroem, eurodeputata svedese, relatrice del provvedimento approvato nella Commissione per le libertà civili del Parlamento europeo.

Particolari anche i rapporti tra Austria e Italia sul fronte immigrazione. «Serve più sensibilità nei confronti dell’Italia». Lo ha detto il cancelliere austriaco Christian Kern al quotidiano viennese Presse am Sonntag dopo una telefonata con il premier italiano Paolo Gentiloni. Il leader dei socialdemocratici ha ammonito il suo ministro degli Esteri e leader dei popolari Sebastian Kurz: <Così non va, non possiamo posizionarci contro l’Italia», ha affermato, anche in riferimento alla funzione tutrice di Vienna nei confronti dell’Alto Adige. Kern ha poi definito «comprensibile» il rammarico di Roma. Il cancelliere austriaco ha detto che il tema migranti, «va tenuto fuori dal dibattito pubblico e dalla campagna elettorale austriaca». In Austria si voterà il prossimo 15 ottobre. «La politica estera e la diplomazia vanno fatte a porte chiuse», ha aggiunto. Kern ha comunque criticato il sindaco di Lampedusa, definendo «inaccettabile» il paragone del ministro degli Esteri Sebastian Kurz con “un naziskin”. I fatti sono un’altra cosa. Settanta militari austriaci arrivano al Brennero, al confine con l’Italia, per coadiuvare la polizia nei controlli, anche sull’immigrazione. Dopo le minacce (l’ultima nei primi giorni di luglio) arriva l’annuncio del comandante militare territoriale Herbert Bauer. «Ciò non significa – tiene a precisare il capo della polizia locale Helmut Tomac – che al Brennero saranno messi in azione i panzer».

Vertice Gentiloni-Merkel-Macron: su migranti serve politica condivisa

Angela Merkel, Emmanuel Macron e Paolo Gentiloni

A Parigi si svolge un vertice tra la cancelliera tedesca Merkel, il presidente francese Macron e il presidente del Consiglio Gentiloni riguardo l’emergenza migranti. Si cerca di stabilire un regolamento comune ai finanziamenti alle ONG e al loro comportamento e viene proposto di applicare alle loro imbarcazioni il divieto di entrare in acque libiche e lanciare segnali luminosi lungo le coste. “Piena intesa”. C’è l’accordo dopo un vertice durato due ore e mezza fra Italia, Francia e Germania per affrontare con nuova forza l’emergenza migranti, in vista della riunione informale dei ministri degli interni dell’Ue giovedì 6 luglio a Tallinn, in Estonia. Tra i punti qualificanti la regolamentazione delle azioni e dei finanziamenti delle Ong e più fondi per consentire alla Libia il controllo delle coste, implementando una sorta di esternalizzazione delle frontiere europee nel Paese africano. E poi un rilancio del piano di ricollocamento, riscrivendone i termini per permettere di sbarcare i migranti in altri Paesi. A pochi giorni dal G20 di Amburgo, i leader di Italia, Francia e Germania hanno avuto un nuovo incontro a Trieste. Paolo Gentiloni, Emmanuel Macron e Angela Merkel si sono ritrovati per un trilaterale a margine del vertice sui Balcani nella città del Friuli Venezia Giulia. All’incontro, che si è svolto sulla nave scuola Palinuro della Marina Militare, si è parlato soprattutto di migranti. “L’Italia chiuda i suoi porti“, consiglia l’Ungheria. E ipotizza: se Austria e Germania ripristineranno i controlli ai confini, tutti i migranti che arrivano da sud resteranno in Italia. “No alle minacce e alle improbabili lezioni“, replica Paolo Gentiloni. Sale la tensione tra Roma e i Paesi che in Europa si rifiutano di collaborare nel ricollocamento e nell’accoglienza dei richiedenti asilo. “Dai nostri vicini, dai Paesi che condividono il progetto europeo abbiamo diritto di pretendere solidarietà – la risposta di Gentiloni – non accettiamo lezioni né parole minacciose. Serenamente ci limitiamo a dire che noi facciamo il nostro dovere e pretendiamo che l’Europa faccia il proprio senza darci improbabili lezioni”. Il rappresentante del governo ungherese ha detto che i recenti sviluppi relativi alle Ong in Italia hanno confermato la posizione del governo ungherese sul fatto che le organizzazioni finanziate dall’estero “promuovendo la migrazione” non dovrebbero essere autorizzate a mantenere le loro attività segrete e devono agire in maniera trasparente. Le attività e i finanziamenti delle Ong “pro-migrazione” sollevano molte domande “non solo nell’area del Mediterraneo, ma anche nel resto d’Europa, inclusa l’Ungheria”, ha detto Bakondi. Se Bruxelles avesse ascoltato il primo ministro ungherese e le proposte del governo per rafforzare la protezione delle frontiere e sul fatto che le richieste di asilo dei migranti dovrebbero essere valutate al di fuori delle frontiere dell’Unione europea, si sarebbe riusciti da tempo ad arginare la migrazione illegale di massa e non ci sarebbero state le migliaia di vittime causate dal traffico di esseri umani, ha aggiunto Bakondi. A Roma coltivano un auspicio: che l’impronta al vertice l’abbia data Angela Merkel. “Tutti in Europa devono accettare che il vecchio sistema-Dublino non è sostenibile – ha detto alla vigilia la cancelliera in una intervista alla Welt am Sonntag – non può essere che Grecia e Italia debbano sopportare da sole tutto il carico, soltanto a causa del fatto che la loro posizione geografica è tale che i profughi arrivano da loro. Per questo i profughi vanno distribuiti in modo solidale”. In attesa di vedere cosa ne pensino l’Austria e i Paesi del Gruppo di Visegrad, a Parigi si è aperto il vertice sull’immigrazione voluto dal presidente francese Emmanuel Macron.

Cdm approva invio di truppe e mezzi militari italiani in Niger, allo scopo di sostenere il governo nigerino nelle politiche migratorie.

Il forte Madama, al confine con la Libia, dove sarà inviata parte del contingente italiano in Niger

Il presidente del Consiglio Gentiloni annuncia l’invio di truppe e mezzi militari italiani in Niger, allo scopo di sostenere il governo nigerino nelle politiche migratorie. Nelle prossime settimane una missione militare italiana sarà inviata in Niger con lo scopo di combattere il traffico di migranti diretto in Libia e di addestrare l’esercito nigerino. La missione, di cui si parla da mesi, è stata annunciata ufficialmente ieri dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni al termine del G5 Sahel, un incontro che si è tenuto a Parigi tra i capi di stato e di governo di Francia, Germania e Italia e quelli dei cinque paesi del Sahel: Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania e Niger. «Ci impegneremo per l’addestramento di forze che possano contribuire alla stabilità e alla lotta contro il terrorismo in Sahel. Partiremo con un’operazione bilaterale con il Niger che ha un interesse specifico pure per quello che riguarda i flussi migratori verso la Libia e verso il Mediterraneo. Dietro questo impegno c’è anche quello al contrasto del traffico di esseri umani», ha detto Gentiloni, aggiungendo che saranno inviati 470 militari e 150 veicoli.

L’Agenzia europea del farmaco, assegnata ad Amsterdam per sorteggio contro Milano dopo una giornata di vorticose votazioni a Bruxelles, non è come il seggio non permanente al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Non si può dividere in due, quest’anno all’Italia, l’anno prossimo all’Olanda. L’Ema trasloca da Londra causa Brexit e si trasferisce ad Amsterdam. Milano e il sistema Italia sono fuori: per la seconda volta in una settimana. Le voci che a sera tentano di spiegare come sono andati i voti segreti al consiglio Affari generali di Bruxelles indicano Spagna e Germania come responsabili. Ci sono le loro impronte sulla sconfitta italiana: non hanno appoggiato Milano.

Ema ed Eba a Olanda e Francia

Ema ed Eba a Olanda e Francia

Certo, le qualificazioni per i mondiali sono cosa ben diversa dalla gara per ottenere la sede dell’Agenzia europea del farmaco: 900 dipendenti per un indotto di un miliardo e 700 milioni di euro. Ma il fatto di aver perso al sorteggio, dopo un pari Milano contro Amsterdam alla terza votazione, aggiunge azzardo alla competizione e toglie gioco diplomatico. Avvicina insomma la corsa per Ema ad un evento sportivo, la allontana da quello che doveva essere: un processo democratico. E però sono amare entrambe le eliminazioni. Quella dai mondiali, con il terremoto che hanno giustamente scatenato nel mondo del calcio. E quelle dalla gara per l’Ema. Benché, come spiegano da Palazzo Chigi senza però riuscire a contenere l’amarezza: “Milano abbia resistito fino all’ultimo e abbia perso con la migliore in gara, in quanto Amsterdam è candidatura valida dal punto di vista tecnico-politico”. Eppure il meccanismo che oggi ha incoronato Amsterdam e Parigi (anche sull’Eba è finita a sorteggio) l’Italia l’aveva contestato, nei mesi scorsi di preparazione delle candidature. In quanto è un meccanismo che “non valorizza il lavoro di selezione fatto dalla Commissione Ue, rafforza candidature meno valide a fronte di quelle più adatte…”, dice una fonte di governo. Anche l’Olanda l’aveva contestato. Ma alla fine ha avuto la fortuna dalla sua. L’Italia no: ha perso nella contestazione delle procedure e nel sorteggio finale. Ma soprattutto nella ricerca degli appoggi diplomatici che l’avrebbero messa al riparo dalle ‘scommesse’. Del resto, con l’Olanda la fortuna è stata già tentata una volta alla semifinale degli Europei 2000. E andò bene: l’Italia vinse 3 a 1 ai rigori, per poi perdere la finale con la Francia. La seconda volta – seggio Onu – è finita in pareggio, diciamo. La terza, male. Se ci si affida al caso, questo è il rischio.

Barcellona, il Parlamento catalano approva l'indipendenza. E il Senato spagnolo commissaria la regione

Barcellona, il Parlamento catalano approva l’indipendenza. E il Senato spagnolo commissaria la regione

La Catalogna decide di fare un referendum per la secessione dalla Spagna; ma il governo di Madrid non apprezza e manda agenti della Guardia Civil nelle sezioni dove si deve votare. E’ stato arrestato Josep Maria Jové, braccio destro del vice presidente catalano, insieme ad altre 13 persone tra funzionari ed esponenti del governo regionale, in quanto principali organizzatori del referendum non riconosciuto da Madrid e previsto per il primo di ottobre. Fra gli arrestati il direttore del dipartimento di attenzione ai cittadini del governo Jordi Graell e il presidente del Centro delle telecomunicazioni Jordi Puignero. IL referendum è stato votato da 2.262.000 persone, mentre i chiamati alle urne erano circa 5.300.000. I SI’ sono stati 2.020.000 pari al 90%, mentre i NO si sono fermati a quota 176.000, cioè il 7,8%. In Catalogna hanno perso tutti. Perdono le autorità locali che hanno radicalizzato il referendum con un “piano” per la dichiarazione dell’indipendenza in 48 ore dopo il referendum. Perdono i partiti catalani, che hanno sempre rispettato la Costituzione mandando i propri rappresentanti al Parlamento e partecipando a diversi governi nazionali. Non come i partiti collegati a ETA nei Paesi bachi, che una volta eletti i loro parlamentari non si presentavano a Madrid perchè non riconoscevano lo Stato Spagnolo. Perde lo Stato spagnolo, incapace di riaprire il dialogo costruttivo con i catalani e ridotto a reprimere anche violentemente. Uno Stato presieduto dal governo dallo stesso Partito Popolare che nel 2010 era riuscito a fare saltare in aria lo Statuto di autonomia catalana, concordato e votato, con ricorsi alla Corte Costituzionale. Esce sconfitta l’Europa, che si è limitata a dire che “rispetta la legalità” , senza mai offrirsi come sponda per ricomporre la frattura. Più che minacce, Junker avrebbe dovuto offrire dialogo e mediazione. In Spagna in realtà sono in gioco due modelli di Stato, la monarchia costituzionale con autonomie locali che si è insediata dopo la morte di Franco e la repubblica federale. Non a caso il Re, capo dello Stato, è muto. Ha ben capito la portata della vicenda. La Catalogna dichiara l’indipendenza. Ma la sospende subito. Il primo ministro Mariano Rajoy così decide di applicare, per la prima volta nella storia della Spagna, l’articolo 155 della Costituzione. In pratica revoca l’autonomia alla regione catalana. “Non era nostro desiderio ma nessun governo può accettare che la legge venga violata”, ha spiegato il premier spagnolo che ha poi aggiunto: “La Catalogna ha cercato lo scontro avviando un processo unilaterale e illegale. Ci hanno obbligato ad accettare un referendum indipendentista che non potevamo accettare”. Quattro gli obiettivi della scelta: “Tornare alla legalità, recuperare la normalità e la convivenza, continuare con la ripresa economica e andare a nuove elezioni in Catalogna”. Il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani esclude l’ipotesi di riconoscere la regione autonoma spagnola come Stato. “Sia chiaro: nessun Paese europeo riconoscerà la Catalogna come Paese indipendente”.

Elezioni in Catalogna, vincono i secessionisti. Boom di Ciudadanos.

Elezioni in Catalogna, vincono i secessionisti. Boom di Ciudadanos.

L’ex presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, si trova a Bruxelles. con cinque suoi ministri, assieme ai quali intende chiedere l’asilo politico al Belgio. Lo hanno reso noto fonti del governo spagnolo. Il viaggio è stato confermato appena un’ora dopo l’annuncio del procuratore generale dello Stato, Jose Manuel Maza, che presenterà una richiesta di incriminazione dinanzi l’Audiencia Nacional per i reati di sedizione, ribellione e malversazione, contro di lui e il resto del Govern; e contro la Mesa del Parlament, la capigruppo che permise di mettere ai voti la dichiarazione di indipendenza, dinanzi al Tribunal Supremo. Maza ha accusato i responsabili della Generalitat (insieme a Puigdemont, anche il suo vice, Jorge Junqueras, e gli altri componenti del Govern) di aver “prodotto una crisi istituzionale che è sfociata nella dichiarazione unilaterale di indipendenza con totale disprezzo della nostra Costituzione, lo scorso 27 ottobre”. I membri del governsaranno chiamati a rispondere in tribunale; mentre i parlamentari, a cominciare dalla presidente del parlament, Carme Forcadel, dovranno difendersi dinanzi al Tribunale Supremo. La procura ha indicato anche la necessità di fissare cauzioni per i soggetti che verranno incriminati e un sequestro cautelare di beni pari a 6,2 milioni di euro, legati ai costi per la celebrazione del referendum.  L’Adiencia Nacional ha accolto le richieste della procura dello Stato e ha deciso la carcerazione preventiva senza cauzione per gli otto ministri del governo regionale catalano accusati di ribellione, sedizione e malversazione di fondi pubblici. Sono tutti lì, a Madrid, tranne Puigdemont. Il vicepresidente catalano Oriol Junqueras e 8 ex ministri del Governo destituito da Madrid si trovano nella Audiencia Nacional dove sono interrogati per presunta ‘ribellione’, che comporta pene fino a 30 di carcere. Con la stessa accusa devono essere interrogati da un giudice del Tribunale supremo la presidente del Parlament Carme Forcadell e sei membri della presidenza. Il Presidente Carles Puigdemont si trova invece a Bruxelles con i ministri Meritxell Serret, Toni Comin, Clara Ponsati e Lluis Puig. L’Audencia Nacional di Madrid, accogliendo le richieste della Procura di Stato, ha ordinato la carcerazione preventiva senza cauzione per il vice di Carles Puigdemont e altri 7 ex ministri del governo regionale della Catalogna accusati di ribellione, sedizione e malversazione di fondi pubblici. Il tribunale speciale, inoltre, per gli stessi capi d’accusa, ha chiesto un mandato di arresto europeo per il presidente destituito della Catalogna e per i 4 ex ministri che si trovano attualmente in territorio belga. Carles Puigdemont e i suoi 4 ministri hanno terminato le loro deposizioni davanti al giudice istruttore della procura di Bruxelles. E alla fine il magistrato belga ha concesso all’ex presidente catalano e a Maria Serret, Antoni Comin, Lluis Puig e Clara Ponsati la libertà condizionata. Sono stati ritirati i loro passaporti e hanno l’obbligo di dimorare a Bruxelles o informare la polizia su dove si troveranno nei prossimi giorni in Belgio per la prosecuzione dell’esame della richiesta iberica di arrestarli e trasferirli a Madrid. Un altro membro delle istituzioni catalane finisce in carcereCarme Forcadell, presidente del Parlamento catalano, è stata arrestata dopo un interrogatorio gestito dal gip Pablo Llarrena e legato alla dichiarazione di indipendenza della regione catalana dopo il referendum del primo novembre. Insieme agli altri membri del governo, Forcadell è accusata di sedizione, malversazione e ribellione.  Forcadell ha trascorso la notte nel carcere Alcalà-Meco di Madrid per uscirne a mezzogiorno, dopo aver pagato una cauzione di 150mila euro. Ad aspettarla fuori, un’automobile grigia che le ha permesso di allontanarsi velocemente sfuggendo ai reporter. La sua cauzione è stata pagata dall’Assemblea nazionale catalana che ha invitato tutti gli indipendentisti a contribuire. “La cauzione per Forcadell è stata depositata, manca l’ordine di scarcerazione del giudice”, aveva dichiarato, dopo la notizia dell’arresto, un portavoce della Corte suprema spagnola. A meno di due mesi dalla proclamazione della ‘Repubblica’ e dall’immediata decapitazione da parte di Madrid delle istituzioni catalane, la regione ribelle ha votato di nuovo per il campo indipendentista infliggendo un sonoro schiaffo politico al premier spagnolo Mariano Rajoy.  Le tre liste del fronte repubblicano – Erc del vicepresidente Oriol Junqueras in carcere a Madrid, JxCat del President Carles Puigdemont ‘in esilio’ a Bruxelles e gli antisistema della Cup – riconquistano insieme la maggioranza assoluta con 70 seggi su 135 nel nuovo Parlamento di Barcellona. L’altro grande dato politico è il successo di Ciudadanos, il partito più duramente unionista, che diventa la prima formazione catalana vampirizzando il Partido Popular di Rajoy. La lista della ‘andalusa’ Inés Arrimada, capitalizzando sulla crescita del nazionalismo spagnolo anche in Catalogna, ottiene 36 seggi, e arriva prima in voti. JxCat del President ‘in esilio’ Carles Puigdemont è secondo con 34 seggi, davanti a Erc del ‘detenuto politico’ Junqueras con 32. Il terzo partito indipendentista, la Cup, si ferma a 4 seggi. Nel campo unionista arrivano secondi i socialisti di Miquel Iceta con 17 deputati, mentre il Pp crolla dagli 11 seggi uscenti a 4, e al 4% dei voti.

Brexit: Ue, c'è l'accordo. Può partire la seconda fase.

Theresa May e Jean Claude Junker

Theresa May e il governo britannico decidono la data precisa della Brexit. Sarà un venerdì, quello del 29 marzo 2019, alle ore 23, quando a Bruxelles sarà mezzanotte. Lo ha fatto scrivere nero su bianco in un emendamento alla Withdrawal Bill (o Repeal Bill), la legge che dovrebbe dare le linee guida del divorzio dalla Ue. “Non tollereremo alcun tentativo di bloccare la nostra uscita dall’Unione”, spiega la leader conservatrice in un editoriale pubblicato dal Telegraph intitolato “Avrete la miglior Brexit possibile” dove insiste: “Brexit is happening”, la Brexit sta accadendo. Torna in campo Tony Blair per riportare la Gran Bretagna nella Ue. In una intervista a Bbc Radio, l’ex premier laburista afferma che “i britannici si meritano un secondo referendum perchè è ormai chiaro che la promessa dei sostenitori del ‘leave’ che, senza la Ue, il Servizio Sanitario Nazionale avrebbe avuto 350 milioni di sterline in più ogni settimana è chiaramente falsa” “Quando i fatti cambiano – ha affermato Blair – i cittadini hanno il diritto di cambiare idea. La volontà delle persone non è qualcosa di immutabile. Se le circostanze cambiano, le persone possono cambiare idea”. Si è lavorato tutta la notte per trovare un accordo sulla Brexit. E alla fine è arrivato. Lo ha annunciato il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker dopo l’incontro di prima mattina con la premier britannica Theresa May a Bruxelles. “È stato un negoziato difficile, ma ora abbiamo una prima svolta, sono soddisfatto dell’accordo equo che abbiamo raggiunto con la Gran Bretagna”, ha dichiarato Juncker, che ha sottolineato che è giunto ora il momento di “guardare al futuro in cui la Gran Bretagna è un amico e un alleato”, con un “periodo di transizione”, ma “faremo un passo dopo l’altro”. “Ora ci stiamo tutti muovendo verso la seconda fase sulla base di una fiducia rinnovata”. “Abbiamo lavorato duro” per arrivare a un accordo sulla Brexit, “non è stato facile per entrambe le parti”, ma ora ci siamo, è stato il commento di May, che ha assicurato che quello raggiunto rappresenta “un miglioramento significativo” rispetto a quanto era stato concordato lunedì scorso ed “è nel migliore interesse del Regno Unito”.

Attentato a Londra

Attentato a Londra

Anche in questo semestre parecchi attentati. Il terrorista che ha seminato panico e morte a Turku, in Finlandia, prendendo a coltellate i passanti prima di essere fermato dalla polizia con un colpo di pistola a una gamba e arrestato. Oggi gli investigatori finlandesi, dopo le prudenze iniziali, hanno indicato esplicitamente la pista jihadista come movente dell’attacco e hanno rivelato che l’aggressore è un 18enne marocchino. Come marocchini sono i quattro arrestati in un blitz notturno delle forze dell’ordine nel quartiere di Varissuo, dove vivono numerosi immigrati. E come marocchini sono i membri della cellula che ha attaccato Barcellona, tanto che l’Europol sta indagando sulle possibili connessioni tra i due attentati. L’attacco di Turku è costato la vita a una signora di 67 anni e a una ragazzina di 15. Attentato a Londra. È di 29 feriti, nessuno in pericolo di vita, il bilancio dell’esplosione avvenuta questa mattina alle 8.20 in un vagone della metropolitana di Londra, presso la stazione Parsons Green, vicino a Fulham. E se in mattinata la polizia aveva definito l’accaduto “un atto terroristico”, in serata è arrivata la conferma: l’Isis ha rivendicato il gesto attraverso un comunicato diffuso su Amaq, l’agenzia di propaganda dello Stato islamico. I feriti sono stati trasportati in quattro ospedali della capitale. Alcuni sono ustionati, altri sono stati calpestati dalla calca. La premier Theresa May ha annunciato il dispiegamento di militari al fianco e in sostituzione della polizia nel pattugliamento di luoghi sensibili del Paese nell’ambito dell’operazione “Tempora”. La misura, già pianificata da tempo, è entrata in vigore in serata parallelamente alla decisione di elevare il livello di allerta da “severo” a “critico”, il più grave nella scala dei rischi, che presuppone la possibilità di nuovi attacchi “imminenti”. Attentato a Barcellona.  Il bilancio provvisorio all’alba di oggi è di 13 morti e oltre 100 feriti ma non è finita: nella notte un nuovo attacco dai contorni ancora da chiarire è avvenuto a Cambrils, cittadina sulla costa a poco più di 100 chilometri da Barcellona. Secondo i primi resoconti la polizia catalana avrebbe ucciso 5 terroristi che in un’auto si erano lanciati sulla folla. Gli uomini uccisi indossavano cinture esplosive, dice la polizia. Nelle prime ore del mattino la radio catalana ha riferito di un altro arresto. Un altro attacco contro la folla Sei civili e un agente sono rimasti feriti e cinque terroristi sono stati uccisi a Cambrils, nel nuovo attacco poche ore dopo la strage sulla Rambla del capoluogo catalano. Due dei civili feriti sono in gravi condizioni. Lo ha riferito la polizia, mentre i servizi di emergenza parlano di un ferito in stato critico. I terroristi indossavano cinture esplosive.Secondo la versione fornita dal governo locale, intorno alle 2 del mattino un altro veicolo, una Audi A3, e’ stato scagliato contro la folla con un bilancio fortunatamente meno pesante di quello di Barcellona. In seguito e’ nata una sparatoria con la polizia, durante la quale 4 persone sono state uccise sul posto e una e’ morta successivamente per le ferite riportate. Il poliziotto coinvolto e’ ferito in modo lieve. Dopo aver investito i passanti, l’Audi si e’ scontrata con un veicolo dei Mossos d’Esquadra, la polizia regionale catalana, ed e’ iniziata la sparatoria.

Matrimonio egualitario a Malta

Matrimonio egualitario a Malta

Passi avanti sul fronte dei diritti lgbt. Anche in Austria le coppie omosessuali potranno sposarsi. Il via libera è arrivato dalla Corte costituzionale che, con una sentenza, ha annullato la norma che impediva alle coppie dello stesso sesso di convolare a nozze. La vecchia legge sarà abrogata il 31 dicembre 2018, per cui già dal primo gennaio 2019 potranno essere celebrati i primi matrimoni egualitari. Al momento in Austria, gay e lesbiche possono formalizzare la loro relazione solo come “coppie registrate”. Una formula, introdotta nel 2010, che garantisce quasi gli stessi diritti dei coniugi eterosessuali, ma che non coincide in tutto e per tutto con l’istituto del matrimonio. Secondo la Corte la distinzione “non può essere mantenuta perché discrimina le coppie dello stesso sesso”. Perché “la separazione in due istituti giuridici indica che le persone con orientamento sessuale omosessuale non sono uguali alle persone con orientamento sessuale diverso”. Così la Corte ha preso in mano la legislazione sul matrimonio e ha cancellato le parole “di sesso differente”, le stesse che escludevano gli omosessuali dalle nozze. Anche Malta dice sì ai matrimoni anche per le coppie dello stesso sesso e lo fa a dispetto di una lunga crociata contro l’approvazione della legge da parte della Chiesa cattolica, che nel piccolo Stato trova antiche radici. A La Valletta, soltanto uno dei 67 membri del Parlamento, Edwin Vassallo, ha votato contro la norma, definendola “moralmente inaccettabile” e incompatibile con la sua fede cattolica, aggiungendo: “In quanto politico cristiano non posso lasciare la mia coscienza civile fuori dalla porta”. Alla frase di rito “vi dichiaro marito e moglie” si sostituirà dunque la formula “adesso siete sposi”, suggellando il legame tra coppie omosessuali, che già nel 2014 avevano ottenuto il diritto a unirsi civilmente, insieme a quello delle adozioni. La legge interviene anche sul capitolo figli, introducendo una nuova terminologia: a “padre” e “madre” si sostituisce la parola “genitori”, mentre per le coppie lesbiche che hanno prole grazie alla fecondazione assistita si distinguerà tra “persona che dà alla luce” e “altro genitore”. Ma i cambiamenti lessicali interessano anche i matrimoni tra eterosessuali: via il riferimento alla formula “nome della ragazza”, che viene rimpiazzato con il più politicamente corretto “cognome alla nascita”. E proprio sul cognome, adesso i coniugi avranno possibilità di scelta: anche un uomo potrà decidere di prendere quello della consorte.

L'Onu condanna la pena di morte inflitta sulla base dell'orientamento sessuale

L’Onu condanna la pena di morte inflitta sulla base dell’orientamento sessuale

Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che condanna la pena di morte inflitta sulla base dell’orientamento sessuale. Il testo condanna l’uso della pena di morte inflitta «arbitrariamente o in modo discriminatorio», chiede la sua proibizione quale sanzione a «forme di comportamento, come l’apostasia, la blasfemia, l’adulterio e le relazioni consensuali dello stesso sesso» e ne critica l’uso su minori, persone mentali e donne in gravidanza. È la prima volta che il Consiglio dei Diritti Umani ha condannato la pena di morte per le persone gay.Dei 47 Paesi del Consiglio dei diritti umani, 27 hanno votato a favore mentre 13 stati hanno espresso parere contrario. Gli Stati Uniti hanno votato contro la mozione, insieme a Botswana, Burundi, Egitto, Etiopia, Bangladesh, Cina, India, Iraq, Giappone, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. Cuba, Corea del Sud, Filippine, Indonesia, Tunisia, Nigeria, Kenya si sono astenuti.

La camera dei Comuni del Regno Unito ha approvato un emendamento che rende l’aborto gratuito anche per le donne dell’Irlanda del Nord. Finora l’interruzione di gravidanza per le donne nord irlandesi era permessa solo in Inghilterra, ma l’accesso alla prestazione sanitaria era a pagamento e costava circa 900 dollari. Poche settimane fa anche la Corta Suprema aveva ribadito questa posizione, respingendo un ricorso presentato da una donna che chiedeva un risarcimento per un’operazione eseguita nel 2012. La misura, presentata dalla deputata laburista Stella Creasy, rischiava di essere un primo inciampo per l’esecutivo in vista del voto di fiducia sul Queen’s speech. I parlamentari conservatori che simpatizzavano con l’emendamento si sono trovati di fronte a un dilemma: votare a favore di un emendamento proposto dell’opposizione sarebbe potuto essere letto come un segnale di sfiducia al governo. Il rischio quindi era che il governo finisse in minoranza proprio nel giorno in cui si deve votare la fiducia al discorso della Regina. La materia dell’emendamento è poi delicata anche a livello di equilibri politici perché gli unionisti nordirlandesi del Dup, cruciali per sostenere la risicata maggioranza di May uscita dalle urne l’8 giugno scorso, sono su posizioni fortemente anti-abortiste. Con i suoi 10 seggi sui 18 dell’Irlanda del Nord, il Dup sostiene i Tories e permette loro di arrivare ai 326 seggi necessari ad avere una maggioranza alla Camera dei Comuni.

Negli ultimi giorni  è emerso infatti che il sottosegretario al Commercio con l’Estero Mark Garnier avrebbe avuto atteggiamenti nei confronti della propria segretaria Caroline Edmonton che potrebbero essere considerati come molestie. Secondo quanto riferito dalla donna al giornale britannico Mail on Sunday, il sottosegretario l’avrebbe chiamata “tette di zucchero” e in un’occasione l’avrebbe accompagnata a Soho, quartiere londinese ricco di esercizi commerciali a luci rosse, facendole comprare due vibratori. “Come il primo ministro ha messo in chiaro, qualsiasi resoconto di molestie sessuali è profondamente preoccupante e i comportamenti sessuali inadeguati sono inaccettabili a ogni livello, inclusa la politica”. Recita così una nota della presidenza del consiglio del Regno Unito, uscita in seguito a una serie di rivelazioni emerse negli ultimi giorni di ottobre 2017 e che rischiano di mettere in seria difficoltà il governo britannico.

In Italia viene approvata la legge contro la tortura. L’aula della Camera ha approvato in via definitiva il ddl che introduce il reato di tortura nell’ordinamento italiano. I sì sono stati 198 (Pd e Ap), i no 35 (Fi, Cor, Fdi e Lega), gli astenuti 104 (M5S, Si, Mdp, Scelta civica e Civici e innovatori). Le pene previste sono pesanti: la reclusione da 4 a 10 anni chiunque, che salgono fino a un massimo di 12 se a commettere il reato è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei suoi doveri. Quattro anni di stop, di divisioni tra le forze politiche e di tentativi di insabbiamento. L’iter del provvedimento, frutto della sintesi di 11 diverse proposte di legge, è stato particolarmente complicato: iniziato al Senato il 22 luglio del 2013, per poi essere licenziato un anno dopo, è approdato alla Camera nel 2015 per poi tornare nuovamente all’esame di palazzo Madama e, infine, essere licenziato da Montecitorio. Più volte modificato nei passaggi tra i due rami del Parlamento, il testo non ha subito ulteriori modifiche durante l’ultimo esame.

Grecia, Tsipras annuncia il “dividendo sociale”

Alexis Tsipras

Sono passati due anni sotto il Partenone dopo la vittoria alle politiche 2015 della sinistra radicale di Syriza, ma sembra passato un secolo, dopo il voto sulla Brexit, l’elezione negli Stati Uniti di Donald Trump e la vittoria dei “no” al referendum costituzionale italiano. Il mondo è cambiato completamente e in qualche modo Atene, due anni fa, aveva anticipato la tempesta perfetta in arrivo della protesta della classe media stremata e arrabbiata per gli effetti delle politiche di austerità, dei colpi di coda della globalizzazione/delocalizzazione e a causa dell’immigrazione selvaggia. Solo che ad Atene la risposta politica era stata di segno opposto (un voto a sinistra dei maggio i partiti storici) rispetto a quello che poi è avvenuto nel resto del mondo. Un miliardo di euro destinato alle famiglie più povere. È la proposta del premier greco Alexis Tsipras, che ha annunciato di voler ridistribuire il surplus di bilancio tra i concittadini che hanno sofferto di più durante la crisi economica del 2009. Il governo di Atene lo ha definito “dividendo sociale” e potrebbe arrivare nelle tasche dei greci più in difficoltà già a Natale. L’accumulo di questo “tesoretto” è stato possibile grazie a una situazione finanziaria più rosea del previsto. La Grecia, infatti, prevede per il 2017 di tornare a un livello di crescita del 2% e di generare un avanzo primario, cioè la differenza tra entrate e uscite dello Stato esclusi gli interessi da pagare sul debito, pari al 2,2% del Pil. Si supererebbe quindi per la prima volta l’obiettivo imposto da Banca centrale europea, Ue e Fondo monetario internazionale e fissato all’1,75%.

Polonia, Parlamento approva riforma Corte suprema

Polonia, Parlamento approva riforma Corte suprema

Polonia, Parlamento approva riforma Corte suprema. Sì del Sejm, la Camera bassa del parlamento polacco, controllata dal partito di maggioranza Diritto e Giustizia (PiS) di destra ed euroscettico, alla legge sulla Corte suprema che di fatto cancella l’autonomia della magistratura: la controversa riforma, fortemente voluta dal governo di Varsavia e già posta sotto osservazione dall’Unione europea, che la considera come una nuova minaccia alla separazione dei poteri e all’indipendenza del potere giudiziario, è stata approvata.con 235 voti a favori su un totale di 460 deputati (192 contrari e 23 astenuti). La legge deve ora passare domani al vaglio del Senato dove il via libera appare scontato. La legge assegna al ministro della Giustizia il potere di nomina dei candidati alla Corte. Il PiS, che ha vinto le elezioni del 2015, definisce la riforma della giustizia indispensabile per razionalizzare il sistema giudiziario del paese e per combattere la corruzione. La nuova prova di forza del PiS segue all’apertura nel 2016 da parte dell’Ue di una procedura di infrazione nei confronti di Varsavia per la precedente controversa riforma del Tribunale costituzionale. La procedura, qualora attivata dalla Commissione europea, potrebbe condurre all’utilizzazione dell’articolo 7 del trattato dell’Ue, che prevede sanzioni fino alla sospensione del diritto di voto per il paese interessato. Si tratta tuttavia di una misura particolarmente pesante e senza precedenti che dovrebbe essere adottata all’unanimità e l’Ungheria di Orban, ha già annunciato voto negativo.

Stx, Italia e Francia con il 50% a testa. Ma Fincantieri in maggioranza per dodici anni

Stx, Italia e Francia con il 50% a testa. Ma Fincantieri in maggioranza per dodici anni

Fincantieri avrà soltanto una “maggioranza in prestito” dei cantieri navali Stx di Saint Nazaire: è questo l’esito che emerge dal vertice franco-italiano di Lione. Una soluzione anticipata dal quotidiano Le Monde e poi confermata da ambo le fonti governative: il gruppo di Trieste otterrà il 50% di Stx France a cui si aggiungerà un 1% che lo Stato francese presterà a Fincantieri per un periodo di 12 anni. Questo pacchetto in prestito “prevede appuntamenti regolari tra francesi e italiani nel corso di questo periodo. Ogni volta, i due partner esamineranno lo stato di salute della loro azienda comune nonché il rispetto degli impegni assunti da entrambe le parti. Se le promesse non saranno mantenute la Francia potrà recuperare il prezioso 1% e ritirare a Fincantieri il suo ruolo predominante”. “Su Stx e e sulla Lione-Torino l’Italia e Francia hanno vinto insieme”, dice il presidente francese, Emmanuel Macron durante la conferenza stampa con il premier Paolo Gentiloni. “E’ un accordo win-win – ha aggiunto – e chi dice che è un accordo terribile voglio ricordare che fino a pochi mesi fa l’azionista di maggioranza dei cantieri era coreano”. “Ci sarà una cooperazione militare intensa ma che sarà migliorata con l’avvio con le nostre industrie per un campione a livello mondiale navale, la cooperazione sarà rafforzata sul campo”. Sull’alta velocità, “siamo entrambi impegnati affinchè il troncone transfrontaliero della Torino-Lione sia portato a buon fine. Il tunnel di base deve essere concluso”, dice Macron. “Abbiamo deciso di istituire un tunnel di lavoro attraverso i ministeri dei trasporti con l’obiettivo di fare proposte comuni coingiunte entro la fine dell’anno”. Macron ha parlato anche di immigrazione. “Abbiamo stabilito una road map sulla Libia: prevenire il traffico degli esseri umani, un’azione congiunta per lottare contro l’insediamento di gruppi terroristici in Libia e infine stabilizzare la pressione migratoria”. Così il presidente francese Emanuel Macron indica la collaborazione con l’Italia sulla Libia.

Referendum autonomie, vince la Lega. Entro l'epifania deve partira la trattativa con Roma e loro hanno la campagna elettorale servita.

Luca Zaia e Roberto Maroni

La sfida del referendum sull’autonomia lombardo-veneta si trasforma – quasi – in un plebiscito. E anche quella sul quorum, per il governatore veneto Luca Zaia, è ampiamente vinta, mentre Roberto Maroni  si mostra soddisfatto di aver sfiorato il 40% dei voti, visto che in Lombardia il quorum non era necessario. E così, fatte salve le polemiche sui dati – dai problemi del voto elettronico agli attacchi hacker – i due governatori del Carroccio, a buon ragione, cantano vittoria. Con Zaia che traccia la mappa: “Chiederemo queste 23 competenze, il federalismo fiscale, i 9/10 delle tasse, perché vogliamo essere come Trento e Bolzano”.  E Maroni: “Io non esulto, sono felice”. In Veneto – risultati definitivi – i Sì attestano sul 98,1%. In Lombardia- quando è giunto il 95% dei dati su tablet – si è espresso a favore il 95% dei votanti.  Secondo la Regione Lombardia, la stima del dato finale sull’affluenza “oscilla tra il 38 e il 39% per un numero di votanti di circa 3 milioni”. Allo stato – spiega la Regione in una nota – l’affluenza è pari al 37,07. Si sono registrate alcune criticità tecniche nella fase di riversamento dei dati della rimanenti Voting machine e pertanto i risultati completi potranno essere resi noti a operazioni concluse.

La causa della pace in Libia ha fatto un  grande progresso. Voglio ringraziarvi per gli sforzi fatti”. Lo ha detto il presidente Emmanuel Macron, annunciando che il presidente del Consiglio presidenziale di Tripoli Fayez al-Serraj e il comandante dell’Esercito nazionale libico Khalifa Haftar, riuniti nel pomeriggio al castello di La Celle-Saint-Cloud, alle porte di Parigi, in presenza dell’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Ghassan Salamé, hanno adottato la dichiarazione congiunta sull’avvenire del Paese, che prevede il cessate il fuoco ed elezioni “la prossima primavera”.

Olimpiadi: Parigi nel 2024, Los Angeles nel 2028.

Olimpiadi: Parigi nel 2024, Los Angeles nel 2028.

Ora è ufficiale: i Giochi olimpici estivi 2024 si svolgeranno a Parigi, quelli del 2028 a Los Angeles. Lo ha annunciato il presidente del Cio, Thomas Bach, durante la 131/a sessione in corso a Lima dopo il voto per alzata di mano degli 85 membri Cio presenti (su 94). Si è trattato di una ratifica dell’accordo per la doppia assegnazione. Parigi e Los Angeles ora sottoscriveranno l’accordo a tre con il Comitato Olimpico Internazionale e l’Associazione dei Comitati Olimpici. Parigi e Los Angeles sono state le uniche candidate ai Giochi Olimpici del 2024 e del 2028, dopo le rinunce di Roma, Amburgo e Budapest. Le due città alcuni mesi fa si erano accordate per organizzare i Giochi e oggi il Cio ha ufficializzato l’assegnazione.  Durante i lavori di Lima ciascuna città ha avuto a disposizione 25 minuti per presentare il proprio progetto, quindi è arrivata l’investitura ufficiale da parte del presidente del Comitato olimpico internazionale, con al fianco gli emozionatissimi sindaci di Parigi, Anne Hidalgo, e Los Angeles, Eric Garcetti.

Categorie:Europa

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