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Riforma della Costituzione approvata in seconda lettura

Riforma della Costituzione approvata in seconda lettura

Riforma della Costituzione approvata in seconda lettura

Alla fine anche la Camera da il suo benestare alle riforme costituzionali. Si tratta della seconda lettura: ce ne dovranno essere cinque prima che queste diventino effettive. Il secondo giro in Camera e Senato e poi il referendum. La legge è stata approvata con 357 sì, 125 no e 7 astenuti.

A favore del ddl Boschi ha votato la maggioranza al gran completo (compresa la minoranza Pd, tranne qualche eccezione): Pd, Area Popolare, Scelta Civica e il gruppetto Popolari per l’Italia-Centro Democratico. Contrari Forza Italia, Lega Nord, Fdi-An, Alternativa libera e Sel. I deputati M5s hanno abbandonato l’aula parlando di “tentativo di rovina della Costituzione imposto con metodi fascisti”. Critici i deputati dem Gianni Cuperlo, Rosy Bindi e Alfredo D’Attorre che avvertono: se non ci saranno modifiche, questo sarà l’ultimo sì.

Interessante è analizzare la situazione all’interno dei vari partiti aldilà dei voti espressi. Nel Pd sono 18 i voti che alla fine mancano. Dai tabulati emerge infatti che in 3 si sono astenuti (il lettiano Guglielmo Vaccaro, il bersaniano Carlo Galli e Angelo Capodicasa) e 15 non hanno partecipato al voto. Di questi ultimi ben 8 sono assenti giustificati: di Massimo Bray, Maria Chiara Carrozza, Ferdinando Aiello, Ezio Primo Casati, Demetrio Battaglia, Lorenzo Becattini, Vincenzo Folino e Giovanna Martelli. C’è da aggiungere anche che Francantonio Genovese non ha partecipato perché attualmente è agli arresti. Quindi i veri voti di protesta restano solo sei: Stefano Fassina Francesco Boccia, Paola Bragantini, Giuseppe Civati, Luca Pastorino e Michele Pelillo. Ma in serata arrivano le giustificazioni anche per Bragantini e Pellillo.

La linea annunciata da Silvio Berlusconi ha tenuto. Tutto il gruppo ha votato “no”, rompendo la linea filo-Nazareno così come chiesto dall’ex Cavaliere. In tre hanno contravvenuto alla linea di Arcore: Gianfranco Rotondi che ha votato sì, Giuseppe Galati e Marco Martinelli che si sono astenuti. Vero è che, a dispetto di quanto ha dichiarato Berlusconi, il partito dell’ex cavaliere si è dimostrato tutt’altro che compatto sulla presa di posizione del suo leader. Dinanzi al rischio spaccatura, infatti, in Fi si è cercato di serrare i ranghi e di ricompattare la fratture. La sclerosi in cui versa il gruppo forzista è certificata sia da un documento dei verdiniani, che dice in sostanza al leader “ti abbiamo accontentato ma ora dacci la testa di Brunetta“, sia da un dettaglio dei lavori d’aula. Laura Boldrini ha infatti concesso a molti azzurri di intervenire a titolo personale non per esprimere un voto contrario alla linea del gruppo, come sarebbe previsto e concesso dal regolamento, ma per manifestare un voto conforme. Una fattispecie che non esiste in nessun manuale di diritto parlamentare, che la presidente ha avallato “vista l’importanza della votazione”.

Quasi nessuno si è accorto del voto (contrario) degli ex grillini di Alternativa libera, ed è andata un pò meglio a Sel ma solo per il fatto di aver spinto il pulsante del no tenendo con l’altra mano una copia della Costituzione italiana. Assenti alla votazione: Nicola Fratoianni, Celeste Costantino, Antonio Placido e Adriano Zaccagnini. Il Movimento 5 stelle non si è fatto vedere sui suoi banchi. I deputati di Beppe Grillo sono rimasti appollaiati su quell’Aventino che dal tutto esaurito iniziale è passato ad avere ampi spazi vuoti sulle sue tribune, nemmeno fosse un sedicesimo di finale di Coppa Italia. La parlamentarizzazione della battaglia alla quale i 5 Stelle si sono acconciati li ha condotti verso una scelta della quale poco o nulla rimarrà ai posteri. Così come di certo verranno presto dimenticati i voti degli onorevoli di Scelta Civica Ilaria Capua, Luciano Cimmino e Salvatore Matarrese che non hanno votato, o il loro collega Giovanni Monchieri, che si è spinto fino al pollice verso. Trasparenti anche i no di Lega e Fdi che in questo parlamento valgono poco.

Il disegno di legge prevede cambiamenti nel Titolo V della seconda parte della Costituzione (già oggetto di modifica nel 2001) e la fine del bicameralismo perfetto. Il provvedimento rappresentava, insieme alla legge elettorale, il fulcro del cosiddetto “patto del Nazareno” siglato il 19 gennaio 2014 tra il premier Matteo Renzi (allora solo segretario Pd) e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, un accordo che aveva come obiettivo quello di riformare l’assetto istituzionale del Paese e che è naufragato dopo l’elezione di Sergio Mattarella al Colle. Con il ddl Boschi il Senato, ridotto a 100 componenti, avrà competenze limitate e sarà composto dai consiglieri regionali indicati dalle Regioni. Il testo prevede anche l’abolizione delle Province e una corsia preferenziale per i ddl governativi. Cambia anche il quorum per l’elezione del Capo dello Stato.

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