Giustizia

Ddl su reato di tortura: la Camera approva

Ddl su reato di tortura: la Camera approva

Ddl su reato di tortura: la Camera approva

Era il 10 dicembre 1984 il giorno della ratifica da parte degli stati membri dell’Assemblea generale della Nazioni Unite, della ’Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti’. Un documento che ha segnato la storia della giurisprudenza dei paesi cosiddetti democratici, definendo innanzitutto all’articolo 1 il concetto stesso di tortura. “Si considera tortura ogni atto intenzionale che arreca gravi sofferenze fisiche o psichiche a una persona allo scopo di ottenere da lei o da terzi informazioni o una confessione o a scopo di punizione, intimidazione o coercizione, inflitta o indotta o autorizzata da un pubblico ufficiale o da una persona che agisce in una funzione pubblica». La stessa Convenzione Onu stabilisce che «il divieto di tortura è assoluto, inderogabile anche in caso di guerra o di altro pericolo che minacci la vita della nazione». Ma l’Italia dopo più di trent’anni non si è ancora messa in regola.

Il ritardo che però si sta colpando. Alla Camera è stato approvato il ddl sul reato di tortura (approvato con 244 sì, 14 no e 50 astenuti) che avvicina l’ordinamento italiano all’introduzione di questo nuovo delitto, che tuttavia diverrà legge solo fra diverse settimane visto che il testo tornerà al Senato. Dal ministro della giustizia Andrea Orlando un appello finale in aula con la richiesta di un voto «il più ampio possibile per andare a Strasburgo con un risultato non del governo ma di tutto il Parlamento».

L’art. 1 prevede che quello di tortura sia un reato comune, punibile con la reclusione da 4 a 10 anni e ascrivibile a chiunque «con violenza o minaccia ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione o assistenza, intenzionalmente cagiona a una persona a lui affidata, o comunque sottoposta a sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche» per «ottenere informazioni o dichiarazioni, per infliggere una punizione, per vincere una resistenza» o «in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose». E scatta l’aggravante quando a commettere il reato è proprio un pubblico ufficiale che agisce con abuso di potere o violando i doveri inerenti alla sua funzione. In questo caso, con un emendamento, la pena massima è di 15 (e non più 12) di carcere, la minima di 5, con una `postilla´: la sofferenza inflitta deve essere «ulteriore» rispetto all’esecuzione delle legittime misure privative o limitative dei diritti. La pena, per pubblici ufficiali e non, sale di 1/3 in caso di gravi lesioni, di 2/3 per morte non voluta della vittima e si trasforma in ergastolo in caso di decesso causato volontariamente. La legge introduce inoltre il reato di istigazione del pubblico ufficiale (ad altro pubblico ufficiale) a commettere tortura: da 1 a 6 anni di reclusione la pena prevista.

9 risposte »

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.