
Tra le fila dei sostenitori del governo Draghi, che ha come minimo comune denominatore politico l’europeismo, c’è anche la Lega ex euroscettica ed ex no-Euro, ora centrista e responsabile. In politica si sa, il tempo scorre in modo diverso: pochi mesi o persino qualche giorno possono essere un’era geologica e in men che non si dica ogni stupore derivante da repentini cambi di rotta viene riassorbito. Ma l’ingresso nel governo Draghi è una mossa derivante dalla contingenza o il primo atto di una strategia di riposizionamento politico della Lega? È l’alba di una nuova Lega centrista o è semplice opportunismo politico per avere voce in capitolo su come spendere i fondi del Recovery Found?
Già sul finire del 2019 si avvertivano i primi sentori di un possibile ripensamento delle posizioni leghiste in senso più moderato e “responsabile”. Queste spie, captate nel periodo dello storico cambio di statuto della Lega, erano state licenziate come pura tattica dettata dalla contingenza. Secondo buona parte dei commentatori politici si trattava soltanto di un escamotage per non esporsi troppo in vista di possibili nuove inchieste giudiziarie sul Russiagate a carico di Salvini. Un tentativo di “abbassare le penne” dinanzi a possibili sortite della magistratura. Toni più cauti e profilo basso che segnano un evidente cambio di passo rispetto ai deliri di onnipotenza da Papeetee.
Ma altri indizi di una possibile virata verso il centro hanno iniziato a fioccare nei mesi che hanno preceduto l’insediamento del governo Draghi. Prima di tutto i costanti contatti tra Giorgetti – l’emblema dell’area governista e moderata del Carroccio – e Marian Wendt, esponente di punta della Cdu tedesca. Wendt è considerato l’anello di congiunzione tra conservatori e popolari tedeschi e la Lega. Già il mese scorso il deputato tedesco dichiarava:
Poi Wendt auspica un delineamento più deciso dei confini politici entro la coalizione di centrodestra italiana: “La Lega è oggi il partito italiano più vecchio, governa sul territorio da decenni. Per la Cdu come per la Csu non ci sono barriere al dialogo, a patto che liberi il campo da alcune ambiguità.” Con Fdi invece “non c’è alcuna compatibilità possibile. Bisogna tracciare una linea netta fra il centro e la destra estrema.”
Il terzo indizio arriva invece da Bruxelles. Stando alle ricostruzioni di Repubblica, la Lega avrebbe preparato un piano per trasmigrare nel gruppo parlamentare del Partito popolare europeo. Il suddetto piano prevede l’assorbimento di Alternativa popolare da parte della Lega per darsi un chiaro tono centrista in Europa, ma non è scevro da insidie. È infatti comprensibile una certa dose di diffidenza da parte di alcune voci del Ppe, che vogliono scongiurare l’avvento di un secondo caso Orban. La prova del nove di una nuova Lega centrista è chiaramente l’ingresso del partito nel governo Draghi. Alla luce di ciò prende slancio l’ipotesi che si tratti di una strategia a lungo termine di riposizionamento politico.
Probabilmente gli esponenti del Carroccio si stanno rendendo conto del fatto che la strada dell’estremismo è un vicolo cieco. Potrebbe far aumentare consensi nel breve periodo ma non sarebbe spendibile per governare. Governare con l’Europa contro, specie in questo periodo storico, è impensabile. Certo questa mossa potrebbe aprire un’autostrada alla Meloni in termini di sondaggi, ma farebbe acquisire credibilità alla Lega e potenzialmente voti dall’elettorato più moderato.
Vendersi come antieuropeisti oggi ha elettoralmente molto meno senso di un anno fa. L’UE ha dato fiducia all’Italia concedendo la fetta più grande del Recovery Plan. La pandemia ha rimescolato le carte e la percezione non è più quella di un’Europa del rigore e dell’austerity ma di un’Europa della solidarietà.
Entro la Lega si sa, convivono due anime ben distinte. L’area governista e moderata di Zaia e Giorgetti da una parte e quella salviniana dall’altra. La concretezza degli interessi dell’imprenditoria del nord contro la bieca demagogia populista. E chissà che alla fine non sia proprio la prima a prevalere a fronte di mutamenti storici e politici che esigono una risposta e un riadattamento. Rimane però un dubbio lampante: Salvini è l’uomo giusto per traghettare il partito verso questi nuovi porti e per guidare una Lega centrista?
Per Beatrice Lorenzin, una manovra che porti la Lega, di qui a un anno, nel Ppe bypassando il voto del partito sarebbe piuttosto ardita: “La vedo difficile, senza passare dal voto: dovrebbero far finta di non vedere e voltarsi dall’altra parte. Però hanno Fidesz di Viktor Orban, anche se sospeso…..”. Certo, per Ap sarebbe un esito non privo di ironia, “considerando che siamo nati perché non accettavamo il fatto che Forza Italia si fosse così schiacciata sulla Lega Nord…..con spirito cristiano, una sorta di veicolo per salire dall’inferno al paradiso, per i redenti”, conclude.
“Alternativa Popolare – dice Lorenzin – l’ha fondata Angelino Alfano: io ho fondato Civica Popolare. Ap è il partito nato da Ncd: quando abbiamo fatto la scissione, prima abbiamo fatto Ncd, ed eravamo una decina di fondatori, e poi i fondatori hanno fatto Ap, Alternativa Popolare. Ma il logo era in mano ad Angelino Alfano, ed ora a Paolo Alli”, politico legnanese, già presidente dell’assemblea parlamentare della Nato. “Poi – continua l’ex ministra – io ho fatto una Lista civica popolare/Lorenzin, con cui mi sono candidata alle elezioni politiche, in alleanza con il Pd. Mi sembra un po’ ardito immaginare che io dia il simbolo alla Lega…”.
Alternativa Popolare, continua Lorenzin, “fa parte del Ppe perché noi abbiamo eletto gli eurodeputati al Parlamento Europeo: e quindi Ap, in mano a Paolo Alli, potrebbe essere utilizzato, perché è ancora dentro il Ppe”. Ma “io – sottolinea – non c’entro più nulla, sono uscita. Noi fuoriusciti siamo usciti da Ap e da tutto quanto, da tempo”.
Categorie:Centrodestra, Sovranisti/Populisti
«In un momento storico così difficile Mario Draghi è la personalità giusta per governare andando oltre gli interessi di parte». L’endorsement al presidente del Consiglio incaricato arriva su Repubblica anche da Manfred Weber, capogruppo al Parlamento europeo del Partito popolare europeo, la famiglia che racchiude il centrodestra moderato e forza di maggioranza relativa a Bruxelles. Ma non manca l’ammonimento a Roma sul Recovery Plan: «L’Italia non può permettersi di sprecare i fondi e deve fare le riforme». Quanto al nuovo europeismo di Matteo Salvini, il politico bavarese non si sbilancia: «Vedremo», dice. Anche se, ad oggi, non ci sono prospettive dell’ingresso del Carroccio nel Ppe.
«Per l’Europa in questa fase la cosa più importante è la stabilità, e la prospettiva di avere Mario Draghi alla guida del Paese ci dice che la stabilità a Roma è possibile», dice Weber. «Draghi è una grandissima personalità non solo in Italia, ha fatto un lavoro eccezionale alla guida della Bce riconosciuto in tutta Europa. Un uomo con la sua esperienza può avere le chiavi per tenere insieme i differenti interessi della società e dei partiti, per governare andando oltre gli interessi di parte».
Sulla giravolta europeista di Matteo Salvini e il possibile ingresso nel futuro governo, Weber non ha alcuna preoccupazione : «Ho piena fiducia nel fatto che Mario Draghi da premier darà un chiaro approccio pro europeo al suo governo dimostrando che i problemi si risolvono tutti insieme, come Unione […] In Europa c’è davvero voglia di avere una voce italiana, sono certo che Draghi la garantirà». Ma sul leader della Lega frena: «Lo giudicheremo da come questo atteggiamento verrà declinato nei fatti, lo vedremo passo dopo passo. Intanto trovo positivo che chi aspira ad assumere un ruolo di responsabilità in Italia debba assumere un approccio pro europeo. È il segnale che il populismo non paga».
Ma al momento la porta per l’ingresso del Carroccio nel Ppe è sbarrata: «Il nostro partito in Italia è Forza Italia e al momento non c’è nulla di nuovo da discutere. Inoltre il cambiamento di Salvini dimostra che l’approccio del Ppe, di Forza Italia, è quello giusto: attrae gli altri e rappresenta la chiave per il successo di una maggioranza di centrodestra».
Quanto al Recovery Plan, Weber mette in guardia: «Questo fondo diventerà un successo per l’Europa solo se non sprechiamo i soldi per spese orientate al passato. Bisogna investire nel futuro, nei nuovi lavori, puntando su clima, digitale e sanità. E servono le riforme: quando vedi la scarsa capacità di assorbimento dei tradizionali fondi Ue da parte dell’Italia capisci che riformare la Pubblica amministrazione e la giustizia è cruciale per il Paese».
Ma con Draghi a Palazzo Chigi l’Europa sembra essere più tranquilla: «L’Italia è un Paese chiave per l’Europa e un’Europa senza Italia è impensabile», dice Weber. «La prospettiva di un nuovo governo europeista fa sperare che ci sia la volontà di investire i soldi nel modo giusto e di fare le riforme che non sono negative, ma una precondizione per la crescita positiva per tutta la società. Per questo dico che l’Italia deve fare le riforme raccomandate dalla Commissione europea come deve farle la Germania, visto che quelle di 20 anni fa di Schroeder non bastano più».
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