Centrosinistra

Scontro nel Pd sull’articolo 18

Noi stiamo pensando a quelli a cui non ha mai pensato nessuno. “A me hanno insegnato che essere di sinistra significa combattere un’ingiustizia, non conservarla. C’è chi trova soluzioni provando a cambiare e chi organizza convegni lasciando le cose come sono. Anche nel Pd c’è chi vuole cogliere la palla al balzo per tornare agli scontri ideologici e magari riportare il Pd del 25%. Noi no”. — Matteo Renzi (@matteorenzi) 19 Settembre 2014

Scontro nel Pd sull'articolo 18

Matteo Renzi e Pierluigi Bersani

Lo scontro nel Pd continua e diventa ancora più aspro quando si parla di lavoro. Ci sono due visioni diverse. Però secondo me c’è anche un equivoco e passando i giorni e le settimane credo che si tratti di un equivoco in mala fede. La minoranza Pd accusa Renzi di voler togliere l’articolo 18 a tutti; mentre verrebbe non previsto solo per i nuovi assunti e per i primi tre anni. Questo servirebbe proprio per facilitare più assunzioni a tempo indeterminato. Naturalmente accanto a questo servirebbe una riforma dei centri d’impiego e dei limiti per i vari licenziamenti; perchè è ovvio che si deve evitare che un imprenditore ogni tre anni cambi dipendenti.

Matteo Renzi dichiara: “Se chiediamo nuove regole costituzionali, non stiamo compiendo alcun attentato. Sul lavoro nessuno vuole tagliare i diritti. Dentro al Pd, però, c’e’ chi pensa di sfruttare il successo delle elezioni europee e poi ‘facimm’ ammuina’. Si vuole mettere Renzi davanti e usarlo come foglia di fico per fare come gli pare. Ebbene sono cascati male, io ho preso quei voti perchè voglio cambiare l’Italia davvero”.

Pierluigi Bersani, che era tra quelli apotrovati come ‘vecchia guardia’ dal premier: “Vecchia guardia? Posso accettarlo, e chi lo e’ piu’ di Berlusconi e Verdini? Vedo che loro vengono trattati con buona educazione e rispetto. Chissà che, prima o poi, non capiti anche a me…”. L’ex segretario del Pd riconosce che nel Jobs act “di positivo ci sono le intenzioni che si dichiarano” ma non nasconde che quello che “non va è una norma molto vaga che si presta a varie interpretazioni”. Bersani ripete che “in tutta Europa esiste il reintegro, quindi semplifichiamo ma il reintegro resta”.

Per Stefano Fassina il premier Matteo Renzi “sta cercando lo scontro sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per portare il paese alle urne nel 2015 e ottenere un successo che gli libererebbe le mani dal condizionamento dei bersaniani e delle altre opposizioni interne”.  Fassina prosegue: “Ogni giorno Renzi indica nemici perché è in grave difficoltà sulla legge di stabilità e deve parlare d’altro”. Per Fassina, Renzi ha preso il pacchetto del lavoro della destra: “E’ legittimo, ma è contrario a quello che era il progetto della sinistra. Io sono stato eletto per fare una riforma della sinistra, quindi questo è contraddittorio con il mandato ricevuto dagli elettori”. Nel partito, tra gli anti renziani si comincia a parlare apertamente di un possibile referendum sul lavoro, dal momento che proprio lo statuto del Pd prevede la consultazione vincolante dei tesserati sui temi di grande rilevanza.

C’è chi nel partito fa notare come chi adesso attacca Renzi per la flessibilità che vuole introdurre nello Statuto dei lavorotori, in passato era esso stesso promulgatore di tali ricette. Il vicesegretario Debora Serracchiani ha dichiarato: “Le critiche più accese vengono proprio da chi in passato (D’Alema, Bersani, Chiti) diceva che bisognava cambiare superando l’articolo 18. Ho come la sensazione che qualcuno voglia strumentalizzare il tema del lavoro per una resa dei conti nel Pd. Sicuramente dobbiamo abbassare i toni, però è anche il momento di fare chiarezza: noi siamo qui per cambiare le cose e vogliamo farle davvero perché siamo convinti che per troppo tempo abbiamo giocato in difesa e accettato disuguaglianze intollerabili. Non abbiamo alcun interesse ad andare avanti sull’articolo 18 anche a costo della scissione. Vogliamo un confronto in direzione, il prossimo 29 settembre, anche aspro, ma poi vanno rispettate le decisioni assunte dalla maggioranza del partito. A chi dice di dovere rispondere ai propri elettori e non agli organi del partito, ricordo che è stato eletto grazie al Pd”.

Il responsabile economico del partito Filippo Taddei si è detto fiducioso nella possibilità di raggiungere un’intesa: “Certo che ci sono i margini. Non si farebbe una discussione se non ci fossero. Due obiettivi devono però essere condivisi: universalità dei diritti e uniformità degli standard contrattuali. Fatti salvi questi due obiettivi si possono trovare diverse opzioni. La legge delega contiene una riforma organica degli ammortizzatori sociali, della formazione, dei contratti. Invece, anziché parlare di sostanza c’è chi preferisce parlare di simboli, mentre abbiamo il mercato del lavoro più discriminato d’Europa”. Taddei ha spiegato che il governo ha allo studio l’istituzione di un sussidio di disoccupazione universale e ha aggiunto: “Stiamo facendo una valutazione precisa. Per rendere universale il sussidio il costo si aggira intorno a 1-2 mld aggiuntivi rispetto alle spese attuali che saranno trovati nella legge di stabilità da 20 miliardi che è l’altro pilastro della politica economica di questo autunno”.

In sintesi mentre le parti sociali (meno la Cgil) sono pronte ad accettare un contratto a tutele crescenti, ma vogliono essere convocati per essere presenti alla stesura della legge; la minoranza del Pd (più la Cgil) vuole che resti il reintegro per tutti.

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