Sanità

Portogallo: passa referendum depenalizzazione aborto

Portagallo passa referendum depenalizzazione aborto

Portagallo passa referendum depenalizzazione aborto

Come già nel 1998, il Portogallo ha detto ‘si’ al referendum sulla depenalizzazione dell’aborto ma con un’altissima astensione che non lo rende vincolante. Il fronte abortista, con alla sua testa il premier socialista Jose Socrates, punta tuttavia a tenere comunque conto del risultato e a promuovere una nuova legge che dia alle donne lusitane gli stessi diritti della maggior parte dei paesi europei. “Il risultato del referendum è inequivoco” e “l’aborto cesserà di essere un crimine in Portogallo”, ha detto il premier. Il ‘si’ ha vinto secondo egli exit poll con una forchetta tra il 57 e il 61%, ma il tutto di fronte ad un’astensione intorno al 57%, che non ha permesso di raggiungere il quorum del 50%. La portavoce del movimento abortista Maria Alves ha affermato che il risultato odierno, malgrado la bassa partecipazione, “è una grande vittoria” che fa entrare il Portogallo “nell’era moderna” e di cui si dovrà tener conto per una nuova legislazione. Da parte sua il leader del partito di destra Cds-Pp che ha sostenuto il ‘no’, Jose Ribeiro y Castro ha detto che combatterà fino in fondo la nuova legge e che Socrates “è responsabile di questa pagina nera per il Portogallo”. Gli osservatori hanno attribuito in parte la prevista alta astensione al cattivo tempo e al giorno festivo, ma forse hanno pesato anche le indicazioni preventive provenienti dal governo secondo cui si sarebbe tenuto conto del risultato anche se il quorum non fosse stato raggiunto. Se cioé avessero vinto i ‘si, favoriti dai sondaggi, si sarebbe mandata avanti comunque una legge per la depenalizzazione dell’aborto, e se avessero vinto i ‘no’ le cose sarebbero rimaste come sono. Una simile indicazione, che sdrammatizzava l’eventuale alta astensione, era apparsa in contrasto con gli appelli a recarsi alle urne dello stesso premier, grande elettore del ‘si’ – insieme ai comunisti, al Blocco di Sinistra e a numerose associazioni civiche – e del presidente Anibal Cavaco Silva che nel 1998 aveva fatto campagna per il ‘no’. Con la vittoria del ‘si il Portogallo appare quindi comunque destinato ad uscire dal piccolo drappello di paesi – come Polonia, Irlanda e Malta – che mantengono una legislazione restrittiva in materia. E anche se la vittoria non vincolante potrebbe prestarsi alle critiche del fronte del ‘no’ rappresentato dalla chiesa, dal partito di destra Cds-Pp e da una lista di associazioni antiabortiste, Socrates, criticato da più parti per la sua dura politica di riforme per far uscire il paese dalla stagnazione economica, incassa una importante vittoria politica. Attualmente le portoghesi, in base alla legge del 1984, possono abortire solo in caso di malformazione del feto, violenza carnale o rischio grave per la salute della madre. Se lo fanno illegalmente possono essere condannate a pene detentive fino a tre anni, e con loro medici e infermiere. Gli aborti clandestini sono stimati in circa 20.000, ma dal 1998 nessuna donna è finita in prigione, contrariamente al periodo precedente. Però ci sono stati processi e condanne che secondo i sostenitori dell’aborto “criminalizzano e umiliano la donna”. Per lo schieramento del ‘no’ era una “battaglia per la vita” che doveva anche servire a frenare la deriva morale e etica di tutta l’Europa. E che, spiegava alla vigilia il portavoce dell’episcopato, Carlos Azevedo, non finisce qui. Ma continuerà per impedire che si introduca nel paese un “aborto libero” e per evitare che la nuova legge apra le porte a riforme sociali radicali come quelle del premier Jose Luis Rodriguez Zapatero in Spagna.


Nonostante la vittoria del “si”, si complica il cammino verso la depenalizzazione dell’aborto in Portogallo. Al referendum dello scorso 11 febbraio, infatti, non è stato raggiunto il quorum. Il governo del premier socialista José Socrates ha annunciato che varerà comunque una nuova legge in materia, tenendo conto del 59% di cittadini che ha votato a favore dell’abrogazione della norma in vigore che vieta l’interruzione volontaria della gravidanza.

In occasione della tornata referendaria sono stati chiamati alle urne 8,7 milioni di cittadini, ma all’appello ha risposto solo il 44% degli aventi diritto al voto. La bassa affluenza aveva già inficiato gli esiti di un’altra consultazione in materia, svoltasi nel 1998. Nove anni fa il “no” aveva vinto con il 50,09% dei suffragi e l’affluenza era stata ancor più bassa.

Alla fine di ottobre dello scorso anno il Parlamento di Lisbona aveva deciso a grande maggioranza l’organizzazione di un nuovo referendum sull’argomento. Nel paese iberico, infatti, non si è mai placato il dibattito sugli aborti clandestini, che secondo alcune stime sono circa 20 mila ogni anno.

In base alla la normativa attuale, le interruzioni volontarie di gravidanza effettuate entro le prime 10 settimane dal concepimento, sono ritenute un crimine. Le disposizioni in vigore prevedono eccezioni solo nei casi di violenza sessuale, di pericoli per la salute della madre oppure per malformazioni del feto e necessità terapeutiche. Le pene in caso di trasgressione prevedono fino a tre anni di detenzione per le donne e fino a otto per i medici.

Il primo ministro del paese, José Socrates ha definito “inequivoco” il risultato del referendum, garantendo che l’aborto “cesserà di essere un crimine”. Il Portogallo si appresta quindi a prendere le distanze dal gruppo di paesi europei che prevede ancora norme restrittive contro l’interruzione volontaria di gravidanza (Irlanda, Malta e Polonia).

In Polonia la pratica dell’aborto, permessa dal regime comunista, è stata criminalizzata da una legge del 1993 che consente l’interruzione delle gravidanza solo di fronte a chiare indicazione mediche o in caso di stupro. In Irlanda l’aborto volontario non trova il favore della popolazione, come dimostra anche l’ultimo referendum, svolto nel 2002. Ciò nonostante, ogni anno, oltre 6.000 donne si recano in altri paesi per abortire. Infine, nella cattolica Malta, l’aborto non è legale in nessun caso, neanche quando esiste un pericolo per la vita della donna incinta.

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