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Omofobia nella società


Omofobia nella società

Omofobia nella società

Omosessuale è l’unico termine non omofobo usato per designare una persona sessualmente attratta dal proprio sesso. Tutti gli altri termini (frocio, finocchio, ricchione  ecc.) non sono definizioni: sono insulti belli e buoni. “Omosessuale” è un termine scientifico: dunque, asettico. “Omosessuale” registra una condizione, senza esprimere un giudizio. Per le donne omosessuali c’è un solo termine specifico: lesbica.

Questi epiteti sono figli di un cultura omofoba e maschilista che, nonostante i tanti progressi della società civile, non sembra aver accusato il benché minimo cedimento. L’uomo (il maschio) è attivo per definizione: deve esserlo per forza. Tutto ciò che rimanda o allude alla passività (considerata un ruolo e un’attitudine femminile) va bandito. O viene usato per offendere. Nel parlato, “essere stati presi per il culo” è ammettere un’onta: tradotto alla lettera, vuol dire non essere riusciti ad evitare che qualcuno ci oltraggiasse sessualmente. Eccolo là, il punto debole del maschio: il culo. Quella parte anatomica che, trovandosi dietro di noi, non può essere sorvegliata “a vista”: nondimeno, va strettamente salvaguardata, per evitare che venga violata.
E’ per questo che, mentre il “rotto in culo” è l’essere più infimo e disgraziato che ci sia, il “paraculo” è invece il top. Il paraculo riesce a “pararsi”; a proteggere le terga da ogni insidia e da ogni trappola, in maniera abile. E fa anche di più: con la sua accortezza e furbizia, lo “mette a quel servizio” (dunque sempre là…) agli altri. Il paraculo insomma non si fa oltraggiare sessualmente: ma oltraggia, se gli conviene. Più maschilista di così…

Dire che il tale ha avuto culo vuol dire che le cose gli sono andate bene. Ma l’espressione nasce da un’allusione (o forse un’illusione consolatoria): per raggiungere quel risultato, costui ha concesso il proprio lato B a chi doveva favorirlo. Una “fortuna”, dunque, pagata a caro prezzo… Se ci fosse ancora bisogno di dimostrare il discredito e il biasimo che accompagna la (presunta) violazione del culo, rappresentazione della passività più estrema, si pensi al ”vaffanculo”. Quando vogliamo insultare qualcuno in maniera pesante e definitiva, è quest’espressione sintetica: questa frase condensata in una sola parola, che ci sale automaticamente alle labbra. “Vaffanculo” è un insulto che l’uso generalizzato e frequentissimo non ha reso meno sanguinoso.

Un po’ diverso è il discorso su “gay”; nato come eufemismo dispregiativo, come un modo per dire senza dire, è poi stato “sdoganato” in tutto il mondo, diventando inoltre il termine più usato dagli omosessuali per definire se stessi (si pensi al gay-pride). Gay appartiene comunque più al linguaggio parlato che a quello scritto: lo si può anche incontrare su un manifesto che annunci un evento, da un po’ è presente sui giornali, ma non è ancora impiegato in un contesto scientifico, nel quale viene impiegata esclusivamente la parola “omosessuale”.

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