Dopo i fatti d’Ungheria del 1956 preferì allontanarsi dai comunisti ed all’interno del partito guidò la corrente dei “Socialisti autonomisti”, tendente a creare le condizioni per un governo che fosse espressione di un accordo tra i socialisti ed il centro, contrapposta alla corrente dei “Socialisti carristi”, più orientati a sinistra. Fondò, con Aldo Moro, Ugo La Malfa e Giuseppe Saragat, una nuova coalizione politica, chiamata centrosinistra. Tuttavia in tale occasione si ebbe la scissione della corrente dei “carristi” che, dopo il XXXV congresso svoltosi a Roma all’inizio del 1964, presso il Palazzo dei Congressi dell’EUR, diedero vita al nuovo PSIUP, guidato da Tullio Vecchietti e Dario Valori.
Le elezioni politiche del 1958 premiarono la linea autonomista del PSI, che conseguì il 14,2% dei voti alla Camera dei deputati (+1,5%). Dalle urne uscì il secondo Governo Fanfani, composto da democristiani e socialdemocratici, con l’appoggio esterno dei repubblicani e che, pur denominato di “centrosinistra”, vedeva i socialisti ancora all’opposizione. Tale governo ebbe breve vita e andò in crisi il 15 febbraio 1959. Del resto, il 33º Congresso del PSI, tenutosi a Napoli dal 15 al 18 gennaio 1959, aveva visto “la vittoria degli autonomisti con il 58,3%, contro il 32,65% della sinistra di Vecchietti e Valori e l’8,73% della mozione Basso”.
Solo con l’avvento di Aldo Moro alla segreteria politica della DC e la vittoria di Ugo La Malfa sul conservatore Pacciardi al XXVII Congresso del PRI (marzo 1960), si poté procedere al varo del quarto Governo Fanfani (21 febbraio 1962), nel quale il PSI, per la prima volta dal 1947, non votò contro, ma si astenne sul voto di fiducia. Infine, al congresso socialista di Milano del 25-29 ottobre 1963, il partito decise la partecipazione diretta a un nuovo governo di centrosinistra, definito “organico”.
Nenni, dopo quattordici anni, lasciava la carica di segretario nazionale del PSI, per assumere incarichi di governo. Fu più volte ministro e anche vicepresidente del Consiglio (nel primo, nel secondo e nel terzo governo Moro); si adoperò per l’adozione di riforme economiche e di struttura, nonché per la riforma della scuola (fu tra l’altro fautore dell’abolizione dell’insegnamento obbligatorio del latino, da lui definito “lingua dei signori”) e per la semplificazione della burocrazia (famosa la sua battaglia contro il titolo di “eccellenza”).
Gran parte delle riforme contenute nel programma del primo governo di centrosinistra, tuttavia, non erano viste di buon occhio dalle componenti più conservatrici della Democrazia cristiana e dal nuovo Presidente della Repubblica, il democristiano Antonio Segni, eletto il 2 maggio 1962, col supporto del correntone democristiano, del Msi e dei monarchici.
Il 25 giugno 1964, Moro fu costretto a rassegnare le dimissioni, dopo essere stato battuto sulla discussione del bilancio del Ministero della pubblica istruzione, nella parte che assegnava maggiori fondi per il funzionamento delle scuole private. Durante le consultazioni per il conferimento del nuovo incarico di governo, Segni esercitò pressioni su Nenni per indurre il Partito socialista a uscire dalla maggioranza governativa, comunicandogli che comunque avrebbe rimandato alle Camere, per riesame, il disegno di legge urbanistica Sullo – Lombardi, qualora fosse stato approvato.
Secondo alcuni storici, qualora le trattative per la formazione di un nuovo governo di centro-sinistra fossero fallite, Segni sarebbe stato favorevole a sostituire Moro con il Presidente del Senato Cesare Merzagora, di tendenze conservatrici e sostenuto dai potentati economici.
Moro, invece, riuscì a formare un nuovo governo di centro-sinistra, dopo aver convinto Nenni ad accettare il ridimensionamento dei suoi programmi riformatori. Nell’Avanti! del 22 luglio, Nenni si giustificò in tal modo di fronte ai suoi elettori e compagni di partito: «Se il centro-sinistra avesse gettato la spugna sul ring, il governo della Confindustria e della Confagricoltura era pronto a essere varato. Aveva un suo capo, anche se non è certo che sarebbe arrivato per primo al traguardo senza essere sopravanzato da qualche notabile democristiano»; e nell’Avanti! del successivo 26 luglio dichiarò: «La sola alternativa che si sarebbe delineata sarebbe stata un governo di destra… nei cui confronti il ricordo del luglio 1960 sarebbe impallidito».
Alle elezioni del Presidente della Repubblica del 1964, Nenni fu il candidato presentato dal suo partito a partire dal 10º scrutinio. Nel 13º scrutinio fu votato anche dai parlamentari del PCI e del PSDI, fino a raggiungere il tetto di 385 voti al 20º (il quorum richiesto per l’elezione era 482). Ma, già al 18º scrutinio, democristiani e socialdemocratici si erano orientati a sostenere Giuseppe Saragat – che sarà poi eletto – e Nenni ritenne opportuno rinunciare alla candidatura in favore dell’amico/rivale di sempre.
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