Dopo le dimissioni da ministro, Zanardelli fu eletto il 24 novembre 1892 presidente della Camera dei deputati, ricoprendo tale carica fino al 20 febbraio 1894. Nei primi giorni di dicembre del 1893, caduto il primo governo di Giovanni Giolitti in seguito allo scandalo della Banca Romana, il presidente della camera fu convocato da Umberto I con l’incarico di formare un nuovo ministero. Il diretto interessato tentò strenuamente, ma senza successo, di formare un nuovo gabinetto: l’ostacolo insormontabile si rivelò essere la nomina del generale Oreste Baratieri a ministro della Guerra, nomina sgradita a Vienna, legata al Regno d’Italia dalla Triplice alleanza, in quanto Baratieri era trentino ed irredentista. Nonostante fosse consigliato dal re a rinunciare a lui come ministro della Guerra, Zanardelli rifiutò sdegnosamente, in quanto la vide come una indebita interferenza austriaca negli affari interni italiani, di conseguenza, rinunciò all’incarico di formare il nuovo gabinetto.
Avverso all’ultimo ministero Crispi per via delle sue politiche repressive in Sicilia (Fasci dei lavoratori) e per la sua politica coloniale in Africa, Zanardelli venne rieletto presidente della Camera il 6 aprile 1897, occupando lo scranno di Montecitorio fino al 14 dicembre 1897, quando accettò nuovamente il portafoglio della Giustizia nel quarto governo presieduto da Antonio Starabba di Rudinì; fu però presto costretto a dimettersi a causa dei dissensi con il collega di governo Emilio Visconti Venosta sulle misure da prendere per impedire il ripetersi delle agitazioni milanesi del 1898.
Dopo essere tornato alla presidenza della Camera il 17 novembre 1898, Zanardelli abbandonò nuovamente il suo posto il 25 maggio 1899 per poter prendere parte attiva alla campagna ostruzionistica del 1899-1900 contro il progetto di legge sulla pubblica sicurezza presentato dal governo Pelloux II. Questa presa di posizione gli valse l’appoggio dell’Estrema sinistra storica nella formazione, dopo la caduta del governo di Giuseppe Saracco, di un nuovo governo, che rimase in carica 991 giorni, dal 15 febbraio 1901 al 3 novembre 1903. Il capo della maggioranza in quel momento era Sidney Sonnino, ma il re Vittorio Emanuele III preferisce affidare l’incarico a Zanardelli, che pure si trova in minoranza nel Parlamento, per almeno tre motivi: Zanardelli era l’espressione di quella Sinistra liberale che ha vinto la crisi di fine secolo, era l’unico politico non “sovversivo” che può contare sul consenso dei socialisti ed aveva l’esplicito appoggio di Giolitti.
Le sue precarie condizioni di salute non gli consentirono tuttavia di portare a termine grandi opere, tuttavia durante il suo governo avvenne la militarizzazione dei ferrovieri facendo assumere al governo parte dell’onere finanziario delle ferrovie, venne richiamata alle armi la classe 1878, venne istituito l’acquedotto pugliese, vennero approvati particolari provvedimenti per la città di Napoli inerenti al risanamento del bilancio comunale ed all’avvio di un programma di industrializzazione, venne proposta una legge sul divorzio che sebbene già approvata dalla Camera dovette essere ritirata per la forte opposizione popolare. Inoltre, Zanardelli, nel settembre 1902, compì un viaggio nell’Italia meridionale, attraverso la Basilicata (una delle regioni allora più povere d’Italia) e tenne anche un discorso a Potenza, divenendo così il primo capo del governo dell’Italia unita a recarsi nel Mezzogiorno.
Negli ultimi anni di carriera Zanardelli focalizzò l’attenzione proprio sulla questione del Mezzogiorno ed il suo resoconto di viaggio sarà fondamentale per l’approvazione della legge speciale per la Basilicata (il 23 febbraio 1904), uno dei primi esempi di intervento straordinario dello Stato nel Mezzogiorno.
Si congedò definitivamente dalla scena politica, a causa di una malattia terminale, dando le dimissioni da primo ministro il 3 novembre 1903. Morì poco più di un mese dopo, il 26 dicembre 1903, a Toscolano Maderno, a 77 anni, e fu sepolto nel cimitero di Brescia.
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