Droghe

Otto referendum al vaglio della Consulta.

Corte Costituzionale

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Al lavoro il plenum dei quindici giudici costituzionali per decidere sull’ammissibilità dei quesiti referendari

È in corso la camera di consiglio dei giudici della Corte Costituzionale dopo le udienze sull’ammissibilità degli 8 quesiti referendari, svolte nel pomeriggio. Si parte dal referendum sull’eutanasia (“omicidio del consenziente”).

Secondo fonti attendibili, stanno discutendo solo dell’ammissibilità del quesito sull’eutanasia e non anche degli altri referendum, i 15 giudici della corte costituzionale riuniti in camera di consiglio. È presumibile dunque che un’eventuale decisione stasera riguardi solo questo referendum.

I giudici chiamati a decidere sull’ammissibilità dei referendum sono quindici. I quesiti arrivano sul tavolo della Consulta dopo che la richiesta di referendum è stata ritenuta regolare dall’Ufficio centrale presso la Corte di Cassazione. il referendum può venire indetto solo se la Corte lo giudica ammissibile. È stata la legge costituzionale numero 1 del 1953 ad attribuire alla consulta la competenza di deliberare sui quesiti referendari. 

La Consulta valuta se la legge sottoposta a referendum non appartiene a una delle quattro categorie di leggi che, secondo l’articolo 75 della Costituzione, non possono essere sottoposte a referendum: leggi tributarie, leggi di bilancio, leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, leggi di amnistia e di indulto. Oltre a queste cause esplicite di inammissibilità ve ne sono altre, ricavabili implicitamente dai princìpi costituzionali e dalla natura e dai caratteri dell’istituto referendario. Come quando si chiede di abrogare leggi il cui contenuto è vincolato dalla Costituzione o che non si possono modificare senza incidere sulla Costituzione. Oppure le richieste di abrogazione che tendono a introdurre, ritagliando un testo legislativo, disposizioni nuove e non a eliminare disposizioni esistenti.

Otto referendum sotto la lente della Corte Costituzionale. Oggi i giudici togati della Consulta si esprimeranno sull’ammissibilità di otto quesiti che spaziano dall’eutanasia legale alla depenalizzazione della coltivazione della cannabis, per poi passare ai referendum sulla giustizia, promossi dalla Lega e dai Radicali e presentati da nove Consigli regionali. Se la Corte Costituzionale, presieduta dal neo presidente Giuliano Amato, dichiarasse l’ammissibilità dei quesiti il voto si dovrebbe tenere tra aprile e maggio.

È il primo dei quesiti referendari ad essere affrontato dalla Corte costituzionale. L’intento del comitato promotore è introdurre l’eutanasia legale, secondo le regole attuali del fine vita, attraverso la depenalizzazione parziale dell’omicidio del consenziente. Il referendum chiede l’abrogazione parziale dell’art. 579 c.p. (omicidio del consenziente) ma salva le tutele poste per le persone più vulnerabili: i minori, gli incapaci anche parzialmente o con una deficienza psichica momentanea e le persone il cui consenso non è libero, ovvero estorto o carpito con l’inganno. Tutti questi casi continueranno ad essere puniti come omicidi dolosi.

Il referendum intende togliere dal circuito penale chi coltiva per uso personale la cannabis, ma sarà ancora illegale lo spaccio, la fabbricazione, l’estrazione e la raffinazione di stupefacenti. Inoltre si elimina la sospensione della patente come sanzione amministrativa per chi detiene una piccola quantità di cannabis per uso personale, ma la guida sotto effetto di Thc sarà ancora sanzionata penalmente. Sono tre i ritagli proposti dal referendum sulla cannabis al T.U. sulle droghe 309/90: nell’articolo 73, comma 1, si elimina la parola «coltiva»; al comma 4 dello stesso articolo si taglia la frase «la reclusione da due a 6 anni e»; all’articolo 75 la soppressione si limita alle parole “sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni”.

Il primo dei sei referendum sulla giustizia, promossi dal partito radicale, dalla Lega di Salvini e da nove consigli regionali, punta a cancellare la legge Severino. La norma prevede la decadenza o l’incandidabilità di chi ha avuto una condanna definitiva per una serie di reati gravi contro la pubblica amministrazione. Il punto sul quale è stata più spesso attaccata è quello del regime più rigoroso previsto per gli eletti e gli amministratori locali, che non sono eleggibili o sono dichiarati decaduti anche in caso di condanna in primo grado. Nel caso di vittoria dei sì, tornerebbe a vivere la legislazione precedente in base alla quale l’interdizione dai pubblici uffici è una pena accessoria decisa eventualmente dal giudice.

Secondo l’ordinamento italiano, pm e giudici condividono la stessa carriera e si distinguono solo per funzioni. La terza richiesta di referendum punta a rendere definitiva la scelta, all’inizio della carriera, di una o dell’altra funzione. Nel 2000 la Corte corresse il titolo del referendum: da «separazione della carriere» a «separazione delle funzioni». Ma il referendum fallì lo stesso perché non fu raggiunto il quorum minimo di partecipazione.

Il secondo quesito referendario sulla giustizia ha l’obiettivo di limitare i casi in cui è possibile disporre la custodia cautelare, cioè la detenzione di un indagato o imputato prima della sentenza definitiva. Rimarrebbe possibile arrestare una persona prima che sia riconosciuta colpevole nei casi di: rischio di fuga o inquinamento della prova e rischio di commettere un reato di particolare gravità “con uso di armi o altri mezzi di violenza personale”.

L’ultimo quesito riguarda le norme che regolano l’elezione della componente togata nel Consiglio superiore della magistratura. Si chiede la cancellazione dell’obbligo di 25 firme di magistrati per proporre una candidatura. Per questa via i promotori hanno immaginato di limitare il peso delle correnti all’interno del Csm. Questo quesito va a toccare una materia che è adesso compresa negli emendamenti della ministra Cartabia arrivati alla Camera dei deputati: la nuova proposta di riforma prevede le candidature individuali, senza necessità di alcuna firma, e cambia la legge elettorale per il Csm.

Il quarto quesito prevede un doppio intervento abrogativo su una legge del 2006 e punta a consentire la piena partecipazione degli avvocati alle decisioni del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari regionali. Gli avvocati potrebbero dunque valutare la professionalità di pm e i giudici. Anche questo referendum va a toccare una materia trattata dalla riforma dell’ordinamento giudiziario proposta dalla Cartabia, secondo la quale gli avvocati potranno esprimere il loro voto nei Consigli giudiziari ma non a titolo personale, bensì riportando la valutazione che il consiglio territoriale degli avvocati ha eventualmente già espresso.

Il quesito intende introdurre la responsabilità civile diretta dei magistrati. Questione lungamente dibattuta, se ammessa, richiederebbe un successivo intervento legislativo: il referendum infatti abrogherebbe la responsabilità sostitutiva dello Stato in alcuni casi, ma non in tutti.

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