
La candidatura di Silvio Berlusconi non c’è più. Il Cavaliere ieri è apparso qualche secondo nella riunione in Zoom con ministri e sottosegretari di Forza Italia, coordinata da Antonio Tajani e Licia Ronzulli, poi si è eclissato con la scusa di una telefonata importante appena ricevuta, e ha ascoltato a distanza il dibattito fra i suoi senza che loro se ne accorgessero. Alla fine ha fatto leggere il comunicato ufficiale del ritiro dalla corsa al Quirinale, dove pur sostenendo di avere trovato i numeri per la sua elezione, ha scelto il passo indietro per favorire l’unità nazionale sulla scelta del presidente della Repubblica. Nel comunicato Berlusconi però ha escluso l’appoggio alla candidatura di Mario Draghi al Colle: «Sono stato il primo», ha rivendicato, «a volere un governo di Unità Nazionale che raccogliesse le migliori energie del Paese, e che – con il concorso costruttivo anche dell’opposizione – è servito ad avviare un percorso virtuoso che oggi più che mai, alla luce della situazione sanitaria ed economica, deve andare avanti. Per questo considero necessario che il governo Draghi completi la sua opera fino alla fine della legislatura per dare attuazione al PNRR, proseguendo il processo riformatore indispensabile che riguarda il fisco, la giustizia, la burocrazia». È una frase che ha complicato un po’ il vertice successivo del centrodestra avvenuto sempre a distanza con delegazioni ampie guidate da Matteo Salvini e Giorgia Meloni oltre ai leader delle altre forze politiche.
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A sollevare il problema di quelle parole finali di Berlusconi che sembrano inchiodare Draghi a palazzo Chigi e assicurare il sostegno della maggioranza fino all’ultimo giorno della legislatura è stato Ignazio La Russa: «Noi siamo fuori dal governo e vogliamo elezioni prima possibile, ovviamente non possiamo dare sostegno a questa linea». Gli alleati hanno replicato che nessuno di loro aveva il potere di modificare le parole di un comunicato di Forza Italia a firma Berlusconi, e il caso si è spento sul nascere salvo poi riaccendersi leggendo alcuni lanci di agenzie con varie ricostruzioni di cui ognuno dei partecipanti accusava l’altro. Nulla di nuovo: i maldipancia nei vertici di coalizione sono da sempre questi, e non si è riusciti ad evitarli manco ieri. Alla fine però tutti d’accordo nell’affidare a Salvini il compito di sentire gli altri leader del centrosinistra cercando alla vigilia della prima votazione ufficiale qualche nome comune (in ogni caso da spendere per le sedute da giovedì in poi quando basteranno 505 voti), da discutere poi in vertici di centrodestra da fare in presenza. Nessuno ammette che siano circolate candidature nei colloqui di ieri, ma c’è chi fa notare che a questo punto avanzarne una interna sarebbe uno sgarbo allo stesso Berlusconi, che anche dopo il ritiro dalla corsa deve restare il candidato di centrodestra con più chances di farcela. Chi allora? Certo anche appoggiare un candidato di chiaro schieramento di centrosinistra è da escludere. Così almeno al momento la corsa sembra essere un ballottaggio su due soli nomi: l’ex presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini e lo stesso Draghi che non è affatto uscito dall’orizzonte.
Certo, l’ipotesi sembrerebbe seppellita dalle parole di Berlusconi ma anche in quelle fila c’è chi sostiene che il comunicato sia stato particolarmente deciso sulla permanenza a palazzo Chigi dell’attuale premier anche per fugare le malignità che erano copiosamente circolate di un patto segreto sul Quirinale che il Cavaliere avrebbe stretto con Draghi mettendo tutti gli alleati di fronte al fatto compiuto. Una durezza strumentale, che a sentire gli interpreti di questa linea, non sarebbe una chiusura totale a Draghi, che quindi resta in gioco a pieno titolo. Solo che entrambi i protagonisti del possibile ballottaggio che ieri sera erano in testa secondo le quotazioni dei bookmakers non riescono ad avere la certezza dei numeri necessari all’elezione. Nel pancione dei gruppi parlamentari grillini, che sono i più consistenti, rimbomba con sempre maggiore evidenza un no a Draghi presidente della Repubblica inatteso, visto che gli stessi votano la fiducia in aula al suo esecutivo. Anche nel centrodestra qualche franco tiratore potrebbe prendere coraggio, anche perché toccare oggi l’assetto di governo rende comunque incerto il prosieguo della legislatura e non consente di escludere elezioni anticipate. Fragile anche la candidatura di Pieferdinando Casini, che alle spalle ha sia le foto di rito del giorno di fondazione del centrodestra, ma anche quella di Palmiro Togliatti in una sezione di quel Pd che lo ha riportato oggi in Parlamento. Percorsi politici aggrovigliati che non suscitano particolare entusiasmo fra i peones sia di destra che di sinistra. E se poi si aggiunge in una vita densa anche una certa familiarità con poteri forti della finanza e dell’impresa, non è che le quotazioni di Casini siano altissime dalle parti del Movimento 5 stelle. La partita dunque è apertissima e difficile, e la prima impressione è che il passo indietro di Berlusconi non l’abbia in realtà così semplificata.
Per l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica, gli italiani sono convinti solo da tre nomi: Sergio Mattarella, Mario Draghi e Paolo Gentiloni. A rivelarlo è un sondaggio realizzato da Quorum/Youtrend per Skytg24, che ha proposto ai cittadini una serie di nomi usciti nelle ultime settimane per la corsa al Colle. Tutti gli altri sono stati bocciati, ricevendo più pareri negativi che positivi. Questo non corrisponde, però, alla previsione che fanno gli stessi italiani. Insomma, la preferenza è una cosa, chi ci si aspetta che venga eletto, invece, è un’altra. E pure in questo caso viene evidenziato un paradosso già emerso da altri sondaggi: Draghi è tra i preferiti per il Quirinale, ma la maggioranza degli italiani – allo stesso tempo – vuole che resti a capo del governo.
Cominciamo dal gradimento. Come dicevamo, solo tre possibili candidati hanno ricevuto più giudizi positivi che negativi: per Mattarella sono il 65,1% i sì e il 23,2% i no; per Draghi arrivano pareri positivi dal 57,1% e negativi dal 29,0%; per Gentiloni indice di gradimento al 38,3%, un soffio in più dei pareri negativi al 38,1%. Vediamo anche gli altri, comunque in ordine di giudizi: Emma Bonino (32,2% positivi, 48,6% negativi); Marta Cartabia (29,0% positivi, 34,4% negativi); Silvio Berlusconi (25,7% positivi, 64,5% negativi); Maria Elisabetta Alberti Casellati (25,7% positivi, 39,5% negativi); Pier Ferdinando Casini (21,6% positivi, 55,1% negativi); Giuliano Amato (18,9% positivi, 50,0% negativi); Paola Severino (18,2% positivi, 36,3% negativi); Letizia Moratti (17,3% positivi, 54,9% negativi); Franco Frattini (16,6% positivi, 41,5% negativi).
Il discorso cambia completamente se si chiede agli italiani chi credono che sarà il prossimo capo dello Stato: Draghi è in testa con il 18,8%, seguito da Berlusconi con il 14,7% e da Mattarella con l’11,1%. Staccato c’è Gentiloni al 4,1%, poco più di Casellati al 4,0%. E ancora: Cartabia è al 3,8%, Casini al 2,4%, Bonino al 2,1%, Amato all’1,7%, Severino allo 0,9%, Moratti allo 0,9%, Frattini allo 0,5%. Altissima la quota altro/non so: al 33,4%.
Quanto al futuro, invece, gli italiani sono abbastanza convinti che dopo l’elezione del Presidente della Repubblica si andrà avanti con il governo Draghi (49,2%). Anche perché sul destino del presidente del Consiglio i cittadini sembrano avere pochi dubbi: il 56,7% vuole che resti a Palazzo Chigi, appena il 16,8% lo vorrebbe eletto capo dello Stato. Non perché non sia adatto, come dimostrato dalle domande sul gradimento, ma perché altrimenti ci sarebbero conseguenze sul governo.
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