
Cos’ha portato Arcilesbica a rischiare l’espulsione dall’organizzazione Arci? Dal femminismo radicale trans-escludente alle dichiarazione della Rowling, ecco un’analisi BRAVE.
Negli ultimi giorni si è parlato moltissimo di transfobia, complici le affermazione infelici di J.K. Rowling e i post di Arcilesbica, in cui sostanzialmente si rivendicava la supremazia del sesso biologico sull’identità di genere. “La sostituzione del concetto di sesso con quello di identità di genere ostacola lo sviluppo di leggi e strategie efficaci per il progresso delle donne nella società” è uno degli estratti del Webinar organizzato per il 31 maggio 2020, che aveva come fulcro quello di lanciare in Italia la “Declaration on women’s sex-based right”.
Arcilesbica e l’ala del femminismo più radicale, considera l’incursione delle donne transessuali nella lotta femminista una snaturazione del movimento, reso così meno efficace. In sostanza, le donne transessuali ci distraggono dall’obiettivo. Dicono: “Se altri soggetti vengono ammessi alle misure volte ad ampliare la partecipazione delle donne alla vita pubblica, l’obiettivo di raggiungere una piena uguaglianza per le donne risulta indebolito”. Cristina Gremolini di Arcilesbica afferma che inoltre le donne transessuali darebbero un immagine distorta della situazione femminile : “Se, ad esempio, nelle ricerche istituzionali sulla violenza domestica, i livelli retributivi, le carriere o l’accesso alle professioni delle donne, si considerano anche le persone trans nel campione, si ottengono dati fuorvianti”. La presa di posizione di Arcilesbica non è, però, supportata da nessun dato ufficiale. Anzi, secondo le ultime ricerche dell’ European Union Agency for Fundamental Rights, le donne MTF hanno molte più difficoltà delle donne cisgender: subiscono violenze sul lavoro, difficoltà a inserirsi in un tessuto sociale ancora eteronormativo, violenze sessuali, deumanizzazione costante. un’assistenza sanitaria inadeguata, e la lista potrebbe andare avanti.
I post facebook di Arcilesbica hanno scatenato un putiferio sui social e fuori, e la risposta delle Transfemministe non si è fatta attendere. Arcigay Rete Donne Transfemministe ha infatti riproposto degli stati Facebook molto simili nella forma a quelli di Arcilesbica, ma dal contenuto opposto:
Le conseguenze per Arcilesbica non finiscono qui. Rischia infatti di essere esclusa dall’Arci, a causa di una petizione che sta circolando sul web. La petizione è stata creata da un gruppo di attivisti e attiviste LGBTQ, tra cui Daniela Tomasino (Arcigay Palermo), Christian Leonardo Cristalli (Gruppo Trans), Alberto Nicolini (Arcigay Reggio Emilia) e Mattia Galdiolo (Arcigay Tralaltro Padova). Da alcuni anni Arcilesbica usa i propri canali di comunicazione per esprimere posizioni transfobiche e trans-escludenti, si legge nella presentazione della petizione. Queste affermazioni sono sempre più in aperto contrasto con i valori e con lo Statuto della Federazione ARCI.
In conclusione
Una delle frasi più decontestualizzate della letteratura femminista sembra essere quella di Simone De Beauvoir, che diceva chiaramente Donna non si nasce, lo si diventa.
Mentre per alcuni e alcune è l’ennesimo modo di dividere le donne. Come? In donne di Serie A da quelle di Serie B. Ma per noi non è così. Noi crediamo al significato letterale dell’affermazione.
Per questo le TERF si tirano fuori da una parte fondamentale del femminismo intersezionale. Le donne transessuali subiscono discriminazioni in quanto parte della comunità LGBTQ, in quanto lavoratrici e anche in quanto donne.
Sono quindi l’esempio più chiaro di quanto il femminismo nel 2020 debba essere interesezionale. Si tratta di includere il ruolo sociale del femminile, in qualunque forma si presenti. Come Carla Lonzi nel 1970 voleva “Sputare su Hegel”, noi ragazze BRAVE vogliamo sputare sul determinismo biologico e sulla testa di chiunque discrimini un’altra persona per l’organo genitale con cui nasce!
Categorie:Lgbt
In un intervento nel dicembre 1977, al convegno della Modern Language Association, Audre Lorde invita a “trasformare il silenzio in parole e azioni” perché “i miei silenzi non mi avevano protetta. I vostri silenzi non vi proteggeranno”.
Di fronte all’uccisione feroce di Maria Paola Gaglione, speronata in motorino e finita dal fratello per impedire il suo rapporto con un ragazzo trans, Ciro Migliore, che ha poi riempito di botte, ci siamo sentite prima di tutto attonite. E senza parole.
Intorno a noi però si è sollevato un rumore martellante di parole. Parole che misgenderano [cioè attribuiscono identità di genere scorrette, ad esempio chiamando al femminile un uomo trans, ndr], invisibilizzano, dismettono le vite, le scelte, le esperienze delle persone coinvolte.
Parole che vengono dappertutto: dai quotidiani, dai telegiornali – anche quelli che si vorrebbero progressisti -, dalle agenzie di stampa e persino dal mondo dell’associazionismo. Sono delle ultime ore diversi post rilanciati da Arcilesbica nazionale che agisce una doppia negazione: da un lato dell’identità di genere del ragazzo (si faceva chiamare Ciro ma insistono a chiamarla Cira) e delle sue scelte in termini di desiderio (essendo, secondo loro, una donna avrebbe avuto una relazione lesbica). Apparentemente, solo medici e tribunali sanciscono la volontà di transizione e non la libera scelta delle persone.
Sentiamo il bisogno di uscire dal silenzio, se quel silenzio legittima o lascia spazio a un ordine del discorso che allora come oggi rende alcune vite non degne di essere vissute.
Sentiamo questo bisogno in quanto donne cis, queer, lesbiche, femministe. Non vogliamo parlare per altre/i/x, ma prendere parola a partire dal nostro posizionamento, convinte che in situazioni come queste il silenzio è complice.
E dire che già negli anni ‘70-’80 il femminismo italiano venne sconquassato dalla spaccatura tra femministe lesbiche e femministe eterosessuali, accusate queste ultime di inivisibilizzare i corpi, le esistenze e i desideri lesbici per timore di spaccare il movimento femminista e di mettere in discussione la norma eterosessuale e, di conseguenza, le proprie vite intime e politiche.
In virtù della nostra storia non crediamo possibile ora riproporre le stesse stanze di esclusione e silenziamento: abbiamo lottato perché ognuna/o/x potesse dire il proprio nome, fare della propria vita un campo politico, non per costruire ulteriori gabbie identitarie a svantaggio di nuovi e innominabili altre/i/x. Ma si sa che la storia la maggior parte delle volte non insegna niente a chi non vuole imparare.
La nostra rabbia va quindi contro chi – come Arcilesbica – erige muri fatti di odio transfobico, lì dove per altre di noi – donne cisgender lesbiche e queer – si creano ponti solidi e lucenti fatti di solidarietà, riconoscimento, amore.
Chiamare Ciro “Cira”, appiccicargli addosso l’identità femminile cisgender e lesbica, è una violenza transfobica, non molto dissimile da quello che ha fatto il giornalismo italiano da quattro soldi lanciando la notizia. È essere talmente arroganti e cieche di fronte al proprio privilegio cisgender da sentirsi autorizzate a negare il vissuto delle persone per renderlo più “accettabile”. È infliggere una violenza ulteriore.
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