
Ursula Von der Leyen, Christine Lagarde e Charles Michel.
Dopo tre giorni di caos la fumata bianca: il 2 giugno il conclave dei capi europei ha trovato la
nuova guida della Commissione: per la prima volta sarà una donna, l’attuale ministro della difesa tedesca
Ursula von der Leyen. Pupilla e collega di governo di Angela Merkel, la sua candidatura si è imposta dopo che sono state bruciate in successione quelle del collega di partito e connazionale Manfred Weber (lo spitzkandidaten dei popolari europei), del socialista olandese
Frans Timmermans e dell’altro popolare francese Michel Barnier, il negoziatore della Brexit per l’Unione. La candidatura è stata proposta ufficialmente, dopo una nuova opera di consultazione durata alcune ore, al Consiglio Europeo dal suo presidente uscente, il polacco Tusk, e ha avuto l’appoggio ufficiale anche dei quattro paesi del gruppo di Visegrad, cioè Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. L’elezione della candidata tedesca spianerebbe la strada alla scelta di un’altra donna, l’attuale direttore generale del Fondo Monetario internazionale, la francese
Christine Lagarde, per la successione di Mario Draghi alla guida della Bce nel prossimo autunno. Al secondo scrutinio ce l’ha fatta. Il pd
David Sassoli, candidato ufficiale dei Socialisti e democratici sostenuto anche dal Ppe, è stato eletto
presidente del Parlamento europeo durante la seduta plenaria a Strasburgo con 345 voti. Prende il posto di un altro italiano:
Antonio Tajani (Ppe). La sua elezione è stata annunciata a Montecitorio dal deputato dem Emanuele Fiano ed è stata accolta con un lungo applauso dell’Aula. Alla prima tornata aveva mancato l’elezione per soli 7 voti, femandosi a 325 preferenze contro le 332 previste per ottenere la maggioranza assoluta. Per essere eletti è necessario ottenere la maggioranza assoluta nei primi tre scrutini. I
14 vicepresidenti del Parlamento europeo sono stati eletti dopo tre turni di votazione per un mandato di due anni e mezzo. 11 vicepresidenti sono stati eletti al primo scrutinio, 2 al secondo scrutinio e l’ultimo, a
maggioranza relativa, al terzo scrutinio. Il parlamento europeo ha eletto
Ursula von der Leyen presidente della Commissione europea con 383 voti a favore, quelli contrari sono stati 327. I votanti complessivi sono stati 733. Lo ha annunciato al termine dello scrutinio il presidente del Parlamento europeo Davide Sassoli. “Lavoriamo insieme in maniera costruttiva, perché il nostro sforzo è quello di un’Europa unita”, ha detto nel suo primo e breve discorso da presidente della Commissione Ue, von der Leyen.

Commissione Ue, tutti i commissari
La presidente della Commissione europea,
Ursula von der Leyen, ha svelato ufficialmente le
attribuzioni dei portafogli della sua squadra di governo. La nuova Commissione sarà composta da 14 uomini e 13 donne. I popolari sono nove, i socialisti dieci, i liberali sei, un conservatore e un indipendente.
Come anticipato, l’italiano Paolo Gentiloni (PD) sarà il prossimo responsabile degli Affari economici e monetari della Commissione europea. Franz Timmermans, ex spitzenkandidat socialisti e già vicepresidente con Juncker, sarà nuovamente vicepresidente esecutivo con responsabilità di attuare l’agenda verde per l’Europa. Anche Margrethe Vestager, bestia nera della Silicon Valley americana, è stata nominata vicepresidente con delega al digitale. Questi due pesi massimi, essi stessi candidati alla successione del Presidente Juncker e quindi rivali della von der Leyen, saranno responsabili dei fascicoli prioritari, in una Commissione politicamente molto equilibrata tra destra e sinistra. Il lettone Valdis Dombrovskis è il terzo presidente esecutivo che tornerà ad essere vicepresidente per le politiche economiche europee, con delega ai servizi finanziari e lavorerà a stretto contatto con il commissario Gentiloni. Quarto e quinto vicepresidente: Maroš Šefčovič (Slovacchia) e Dubravka Šuica (Croatia). Due settimane dopo la bocciatura da parte del Parlamento europeo di Sylvie Goulard, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha proposto
Thierry Breton, 64 anni, attuale Ceo del gruppo di servizi tecnologici di Atos ed ex ministro dell’Economia, come nuovo membro francese della Commissione europea. «Il presidente della Repubblica ha inviato a Ursula von der Leyen, presidente eletto della Commissione europea, la sua proposta di
nominare Thierry Breton come membro della Commissione europea», ha reso noto l’Eliseo.
Non supera l’esame odierno nell’audizione al Parlamento europeo e quindi il commissario designato dall’Ungheria per l’allargamento
Oliver Varhelyi è “rimandato”. Come prevede la procedura, al commissario designato verranno posti ulteriori quesiti o domande per iscritto. La Commissione Europea ha aperto una procedura d’infrazione contro il Regno Unito perché non ha indicato il proprio candidato commissario che dovrà entrare a far parte dell’esecutivo presieduto da
Ursula von der Leyen. Le autorità britanniche hanno ora fino al 22 novembre per fornire le loro motivazioni, si legge in una nota della Commissione: “Il tempo così breve è giustificato dal fatto che la prossima Commissione deve entrare in carica al più presto possibile”.
“La presidente eletta von der Leyen ha ricevuto ieri una lettera dalla premier romena” uscente Viorica Dancila “con la proposta di un nome. Questa nuova proposta viene dal governo provvisorio e non è stata concordata e avallata dal presidente della Romania”.
E’ quanto ha detto la portavoce della commissione europea, Mina Andreeva a chi le chiedeva di commentare la proposta sulla figura di Victor Negrescu avanzata da Dancila in qualità di candidato commissario di Bucarest nella futura commissione a guida Ursula von der Leyen. Dopo essere stato bocciato a un
primo esame lo scorso 14 novembre, ora il commissario ungherese designato all’Allargamento,
Oliver Varhelyi, è stato promosso dalla
Commissione Affari Esteri del Parlamento Europeo (Afet nel gergo comunitario) che ha dato “
semaforo verde” col sostegno del
Ppe (all’interno del quale ci sono gli eurodeputati di Fidesz), dei
Socialisti e democratici (S&D) e dai
Liberali di
Renew Europe. Giovedì scorso il commissario designato dalla Romania per la delega ai Trasporti,
Adina Valean aveva ricevuto l’ok dei deputati.
Via libera dal Parlamento europeo alla Commissione europea targata Ursula von der Leyen. I sì sono stati 461, 157 i contrari, gli astenuti 89. La commissione von der Leyen fa meglio di quella del predecessore Jean-Claude Juncker. Nel 2014 l’esecutivo del lussemburghese ebbe 423 voti a favore, 209 contrari e 67 astenuti (su 751 eurodeputati). “
Sono molto lieta mi sento onorata da questa maggioranza travolgente“, ha detto la presidente eletta Ursula von der Leyen dopo l’ok del parlamento europeo.

Mario Draghi
Una dura replica ai Governatori delle banche centrali di Germania, Austria e Olanda. Una nuova sferzata a Berlino e agli altri Paesi del Nord Europa che hanno margini per spendere ma scelgono di accumulare ostinatamente surplus di bilancio. La difesa dei risultati ottenuti nella lotta alla disoccupazione dell’Eurozona di cui non esita a prendersi gran parte dei meriti. Ma soprattutto, una pietra sulle attuali regole di Bilancio di Bruxelles, definite “utili in passato ma oggi inefficaci”, e quindi l’ultimo appello ai Paesi Ue per la loro revisione. Sono questi i punti salienti del
discorso di commiato di Mario Draghi dall’Europarlamento, in audizione per l’ultima volta nei suoi otto anni di mandato. Parole che suonano quasi come una stroncatura della filosofia economica di Bruxelles e che offrono indirettamente un assist a Paolo Gentiloni, nella sua duplice veste di prossimo Commissario agli Affari economici, e quindi promotore di una eventuale ridiscussione delle regole di bilancio, e in quella di italiano, quindi particolarmente interessato (e per alcuni versi penalizzato) dalle stesse. Il
Meccanismo europeo di stabilità, noto anche come Mes o Esm -l’acronimo del suo nome in inglese- è un’organizzazione intergovernativa che raggruppa i 19 stati membri dell’eurogruppo, (quelli che hanno adottato l’euro come moneta), e ha il compito di aiutare i paesi che si trovano in difficoltà economica. Creato nel 2012, evoluzione di due precedenti meccanismi di stabilità economico-finanziaria l’Efsf e l’Efsm, è il primo tentativo organico di dotare l’eurozona di un meccanismo per affrontare le crisi. Gli Stati membri contribuiscono in maniera proporzionale alla propria importanza economica. La Germania è il primo contributore netto, con il 27% del capitale versato, seguita da Francia (20,3%) e Italia (17,9%). La
riforma del Mes, decisa nel Consiglio europeo del dicembre del 2018, e sulle cui misure i 28 si sono espressi favorevolmente a giugno, costituisce un passo avanti verso l’Unione bancaria. Niente
procedura nei confronti dell’Italia. È questa la decisione del collegio dei commissari europei, che ha quindi scelto di
non raccomandare all’Ecofin l’avvio della procedura per deficit eccessivo contro il nostro Paese, alla luce delle rassicurazioni sui conti fornite lunedì con l’assestamento di bilancio e il decreto che “congela” le minori spese da reddito di cittadinanza e quota 100. Il Presidente del Consiglio
riceve a Palazzo Chigi la Presidente della Commissione Europea eletta Ursula von der Leyen. Nella prospettiva di una nuova legislatura europea si discute della ricerca di fonti sostenibili contro i cambiamenti climatici, la gestione dei flussi migratori e il ruolo dell’Italia nelle importanti decisioni comuni dell’Unione Europea. Il presidente dimissionario Giuseppe Conte prende parte al
G7 in Francia a Biarritz. “La presenza di Guterres testimonia l’intensità del legame che unisce l’Italia all’Onu, di cui il prossimo anno festeggeremo il 75esimo anniversario”. Lo ha detto il presidente del Consiglio
Giuseppe Conte in una
conferenza stampa a Villa Madama con il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres.

Fortezza Europa: oggi abbiamo muri lunghi 6 volte quello di Berlino
Tre decenni sono passati dalla caduta del muro di Berlino e ogni mattone picconato dagli abitanti di quella che è oggi la capitale tedesca sembra essere stato eretto di nuovo, per
rafforzare la lunga fila di recinzioni che oggi dividono alcuni stati dell’Europa. Dal 1989 infatti i paesi del vecchio continente hanno costruito circa mille chilometri di barriere e recinzioni, che equivalgono a
sei nuovi “muri di Berlino”.¨ La denuncia arriva da un rapporto del Transnational Institute (TNI), in cui viene specificato che la maggior parte dei muri è stata costruita negli ultimi anni, a partire dal 2015, quando la guerra civile siriana e la crisi dei migranti erano al loro apice. “Questa volta l’Europa è divisa non tanto dall’ideologia quanto dalla paura nei confronti dei rifugiati e dei migranti, alcune delle persone più vulnerabili in questo mondo”, osserva il rapporto. Dalle parole ai fatti. Era stato annunciato mesi fa e ora, la
Slovenia ha iniziato a costruire nuovi chilometri della
barriera di filo spinato al confine con la Croazia, per far fronte ai flussi migratori in aumento in alcuni tratti del confine.

Austria: trionfano i Popolari, crolla l’estrema destra
Austria. I
popolari di Sebastian Kurz hanno stravinto le
elezioni politiche in Austria. Secondo le proiezioni, infatti, la
Oevp vola al 38,4% e si conferma primo partito nonostante il voto di sfiducia di maggio a seguito dell’Ibiza-gate. Lo scandalo colpisce invece duramente
l’ultradestra, che crolla. Calano anche i socialdemocratici. L’affluenza alle urne ha mostrato un calo rispetto all’80% del 2017, attestandosi comunque su un notevole 76,6%. Polonia. Decisa vittoria del partito sovranista al potere dal 2015 secondo i primi risultati delle elezioni legislative in Polonia, svoltesi ieri. In base ai dati disponibili, al termine di una domenica che ha visto una partecipazione al voto ben piú alta del solito e quasi ai livelli delle prime elezioni semilibere del 1989, i sovranisti guidati dal loro leader storico
Jaroslaw Kaczynski (PiS, cioè Diritto e Giustizia) avrebbero
conquistato circa il 45,8 per cento e quindi anche grazie al premio di maggioranza dovrebbero conservare la maggioranza assoluta. Grecia. Alle politiche 2019, consumatesi oggi in Grecia, Syriza ha perso, Anderson è ancora europarlamentare ma per un pelo, il gruppo della sinistra all’Europarlamento è il più piccolo di tutti (da 52 a 41 seggi). A un anno dalla fine del programma di salvataggio concordato con Bruxelles nonostante la vittoria del ‘no’ al referendum, i greci hanno voltato le spalle ad
Alexis Tsipras per scegliere la restaurazione:
Kyriakos Mitsotakis, ex banchiere, uomo delle elite, leader di Nea Demokratia che vince con una maggioranza schiacciante promettendo taglio delle tasse, dei servizi e privatizzazioni. Portogallo. I
socialisti portoghesi, guidati dal premier uscente,
Antonio Costa, hanno
vinto le elezioni legislative dopo aver guidato un governo di crescita dopo anni di
austerità. E ora il premier punta a confermare l’esperienza dell’esecutivo con la stessa alleanza di sinistra. “Al Paese serve stabilità e lavoreremo per questo”, ha assicurato annunciando la sua vittoria. Alle elezioni parlamentari i portoghesi, nonostante un’astensione record tra il 44% e il 49%, il
Partito socialista (Ps) si è aggiudicato il 36,65 per cento dei voti, seguito dai
socialdemocratici di centro destra (Psd) con il 27,9 per cento, secondo i risultati definitivi diffusi del ministero dell’Interno. I numeri usciti dalle urne affidano al Ps, che ha governato negli ultimi quattro anni con il sostegno di due partiti di estrema sinistra più piccoli, 106 dei 230 seggi del Parlamento, passando dagli 86 dell’Assemblea uscente e a soli dieci dalla maggioranza assoluta. Quattro seggi devono ancora essere assegnati in base ai risultati dei voti espressi all’estero. Regno Unito. Non solo una maggioranza assoluta, ma una
maggioranza schiacciante. Come i conservatori non vedevano dai tempi di Margaret Thatcher. Il partito conservatore UK britannico si è assicurato la maggioranza nella Camera dei Comuni, la camera bassa del Parlamento britannico. Il partito guidato dal primo Ministro Boris Johnson, con quasi tutti i seggi ormai assegnati, ne ha ottenuti 364 su 650, ben oltre la soglia dei 326 necessari per governare senza bisogno di alleanze con altri partiti. Spagna. Dopo la presa d’atto, da parte di re Felipe VI, del
fallimento di ogni tentativo di formare un governo si appresta a tornare al voto il
10 novembre prossimo per la quarta volta in quattro anni. Una via – quella del voto compulsivo – diametralmente opposta a quella italiana, e che sta bruciando un’intera generazione di leader. In Spagna resta lo stallo: il Paese è senza maggioranza di governo anche dopo il secondo voto anticipato dell’anno, che registra un boom dell’ultradestra. La sinistra arretra ma il partito socialista tiene; la destra avanza con i Popolari che hanno una ventina di deputati in più (da 66 a 88) ma soprattutto Vox conferma i sondaggi e festeggia un exploit con cui raddoppia i seggi in Parlamento e diventa la terza forza del Paese. Questo lo scenario fornito dalle urne delle elezioni generali, le quarte in quattro anni.

Viorica Dancila e Klaus Iohannis
Lettonia.
Egils Levits, giurista, politologo, attualmente giudice della Corte di giustizia europea ed ex ministro della giustizia, è il nuovo
Presidente della repubblica lettone. E’ stato eletto dalla Saeima, il parlamento lettone, al primo scrutinio dei voti, con la maggioranza assoluta di 61 su 100 deputati. Levits prende il posto di
Raimonds Vējonis, che ha concluso il suo mandato e non si è ricandidato per un secondo mandato, anche in considerazione del fatto che sul nome di Levits già da un paio di mesi erano confluiti tutti i partiti della maggioranza di governo, decisi a presentare una candidatura unitaria per il rinnovo della principale carica dello stato lettone. Romania. In Romania si conferma il successo al primo turno delle
presidenziali del capo di Stato uscente, il conservatore
Klaus Iohannis con il 36,6% dei voti. Al secondo posto la ex premier socialdemocratica
Viorica Dancila alla quale è andato il 23,8% delle preferenze. Terzo il liberale Dan Barna con il 13,9%. Al ballottaggio del 24 novembre andranno Iohannis e Dancila, col presidente uscente favorito. In Romania il presidente uscente, il conservatore europeista
Klaus Iohannis, ha largamente
vinto il ballottaggio delle presidenziali nelle elezioni di domenica 24 novembre, ottenendo un secondo mandato quinquennale consecutivo dopo la vittoria del 2014. Stando ai primi exit poll diffusi subito dopo la chiusura dei seggi, a Iohannis è andato
tra il 65% e il 67% dei voti, praticamente il doppio delle preferenze ottenute dalla sfidante, la ex premier socialdemocratica Viorica Dancila, attestatasi
al 33%-35%. Una vittoria schiacciante e netta che va ben oltre le previsioni della vigilia e che appare molto più ampia del successo ottenuto da Iohannis al primo turno.

Sanna Marin
Belgio. Per la prima volta in 189 anni di storia, il Belgio ha eletto la sua
prima donna premier. È
Sophie Wilmès, 44 anni, entrata in carica succedendo al leader liberale
Charles Michel che diventerà presidente del Consiglio europeo il prossimo primo dicembre. Il suo non è un ruolo facile e la liberale scelta per guidare l’attuale esecutivo non avrà molto margine di manovra, considerando il crollo avvenuto lo scorso dicembre della coalizione di quattro partiti di Michel dovuta all’uscita dei nazionalisti fiamminghi che protestavano contro il migration Pact dell’Onu. Dopo la caduta del governo, neanche le elezioni politiche di maggio sono state in grado di fare uscire il Paese dallo stallo politico. Finlandia. Seria crisi politica per uno dei pochi governi di sinistra europei, quello della Finlandia che tra l’altro è presidente di turno dell’Unione. Il premier e leader socialdemocratico,
Antti Rinne,
al potere dalla vittoria elettorale dell’aprile scorso, si è visto ritirare l’appoggio del Partito di centro, uno dei componenti della coalizione di governo, e ha subito presentato le dimissioni. Tutto è possibile a questo punto nella capitale Helsinki, ma gli stessi centristi che hanno aperto la crisi sembrano preferire un nuovo negoziato per resuscitare la coalizione con un nuovo leader socialdemocratico quale capo dell´esecutivo. A Helsinki le giovani leader politiche ce l’hanno fatta.
Sanna Marin, 34 anni, è stata scelta dal partito socialdemocratico (Sdp), che ha la maggioranza relativa in parlamento, come
nuova premier della Finlandia. Al suo fianco avrà le altre due personalità di spicco della coalizione di larghe intese:
Li Andersson, 32 anni, leader della sinistra radicale, e
Katri Kulmuni, 34 anni, numero uno del Centro. Sanna Marin sarà la più giovane capo dell’esecutivo nella storia del Paese nordico e il suo governo vedrà le donne in maggioranza. “Abbiamo un sacco di lavoro davanti a noi per restaurare la fiducia, ma sapremo essere il collante e il motore della coalizione”, ha detto Marin dopo aver vinto ieri sera lo scontro al vertice dell’Sdp per la candidatura contro il capogruppo parlamentare Antti Lindman. Regno Unito. L’ex sindaco di Londra,
Boris Johnson, è il nuovo
leader del partito dei conservatori e prossimo premier. Subito per lui la sfida chiave di rompere lo stallo della Brexit, a cui si aggiunge la crisi con l’Iran. L’annuncio è stato dato al Queen Elizabeth II Centre di Londra mentre fuori dal centro congressi di Westminster era in corso una manifestazione di “People’s Vote”, la campagna che chiede un nuovo referendum sulla Brexit. L’ex ministro ha stravinto grazie al voto degli iscritti al partito contro lo sfidante Jeremy Hunt. Con le dimissioni della prima ministra britannica venerdì, Johnson
prenderà possesso del numero 10 di Downing Street. “Attuare Brexit entro il 31 ottobre”. Romania. In Romania è stato
sfiduciato dal parlamento il governo guidato dalla premier socialdemocratica
Viorica Dancila. A favore della mozione di sfiducia presentata dall’opposizione hanno votato 238 deputati, cinque in più del minimo di 233 necessario. La crisi era nell’aria dopo l’abbandono della maggioranza da parte dei liberali dell’Alde e gli attacchi da parte dell’altro partito di centrosinistra, il Pro Romania dell’ex premier
Victor Ponta, ma decisivi sono stati anche i voti di alcuni franchi tiratori. Si attendono dunque le dimissioni della premier Dancila e subito dopo le opzioni saranno quella di un governo tecnico che traghetterà il Paese fino alle parlamentari del prossimo anno, oppure le elezioni anticipate. Lunedì il governo romeno del primo ministro Ludovic Orban
ha vinto un voto di fiducia al Parlamento, con 240 voti a favore, 0 contrari e 225 astenuti. Ha superato di sette voti la maggioranza, entrando quindi legittimamente in carica a quasi venti giorni da quando il presidente Klaus Iohannis aveva affidato l’incarico a Orban, dopo la caduta del governo socialdemocratico di
Viorica Dăncilă. Spagna. L’accordo c’è ma, più che sugli obiettivi e sui temi, si reggerà sulle astensioni. A meno che Pedro e Pablo non riescano nell’intento, quasi impossibile, di allargare la coalizione al punto da arrivare a quota 176, la soglia minima per la maggioranza assoluta alle Cortes. Il leader socialista spagnolo
Pedro Sanchez e il leader di Podemos
Pablo Iglesias hanno firmato al Congresso l’intesa raggiunta per la
formazione di un governo di coalizione. Il copione sembra simile a quello già visto ad aprile, ma questa volta sembra che le parti abbiano voglia di andare fino in fondo. Di creare un esecutivo “progressista” che freni l’avanzata dell’estrema destra e che, è convinto il premier uscente, duri per l’intera legislatura. Come, ancora non si sa bene, visto che la legge dei numeri si abbatterà sulla nascente coalizione già dal voto di fiducia.

Crisi di governo, la resa dei conti in Senato
Italia. “Sono ben lieto di accettare la proposta di Salvini” per
Lorenzo Fontana ministro per gli affari europei. Lo ha detto il premier
Giuseppe Conte a margine di un evento a Roma. A prendere il posto di Fontana come ministro della Famiglia sarà la leghista
Alessandra Locatelli. Il giuramento sarà alle 18 al Quirinale. “La
crisi in atto compromette l’azione di questo governo, che qui si arresta”. Sono le ore 15 e 44 minuti di martedì 20 agosto 2019 quando
Giuseppe Conte decreta la fine del governo gialloverde. Lo farà altre tre volte, con parole diverse e ancora più definitive, durante il suo intervento nell’aula del Senato. La stessa aula che quattordici mesi fa gli ha votato la fiducia
per la prima volta. Da quel giorno sono passati
445 giorni esatti: tanto è durata l’avventura del
Carroccio e del
Movimento 5 stelle al governo del Paese. “La decisione della Lega che ha presentato la mozione di sfiducia e ne ha chiesto l’ìmmediata calendarizzazione oltreché le dichiarazioni e comportamenti, chiari e univoci, mi impongono di
interrompere qui questa esperienza di governo”, dice il premier alle ore 15 e 50. Quattro minuti dopo conferma quello che in tanti avevano pronosticato: “Alla fine di questo dibattito
mi recherò dal Presidente della Repubblica per
dimettermi“. Il
governo Conte 2 ha giurato davanti al Capo dello Stato. Ventisette giorni dopo che
Matteo Salvini ha aperto la crisi di governo, il premier
Giuseppe Conte e la sua nuova squadra di ministri Pd e 5 stelle si sono presentati davanti a
Sergio Mattarella per il giuramento. Poco dopo, a Palazzo Chigi, c’è stata la tradizionale cerimonia della campanella, anche se questa volta è stata solo simbolica: subentrando il premier a se stesso, a passargli la campanella è stato il neo segretario generale
Roberto Chieppa.
Camera.
Senato. “Ci vogliono investimenti subito, nella legge di Bilancio: due miliardi per la scuola e uno almeno per l’università. Lo dico da ora: se non ci saranno, mi dimetto”.
Lorenzo Fioramonti, ministro dell’Istruzione, lo diceva
il 5 settembre, giorno del giuramento del governo Conte 2. Ha atteso che l’iter della manovra si completasse per constatare il mancato raggiungimento dell’obiettivo e ha tratto le conseguenze presentando la
lettera di dimissioni al premier Giuseppe Conte, di cui palazzo Chigi ha dato conferma la sera di Natale. Occorre «
separare il comparto scuola dal comparto ricerca e università. Hanno logiche diverse. Mi farò latore della creazione di un nuovo ministero dell’Università e della Ricerca». A sorpresa, è il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ad annunciare di voler sdoppiare il ministero dell’Istruzione dopo le dimissioni del ministro Fioramonti. L’annuncio durante la conferenza stampa di fine anno: al ministero della Scuola andrà
Lucia Azzolina, dirigente scolastica, sottosegretario al ministero dell’Istruzione in quota 5 Stelle. All’Università e ricerca invece ci sarà
Gaetano Manfredi, 55 anni, a capo della Crui, la conferenza dei Rettori.

Norbert Walter-Borjans e Saskia Esken
Austria.
Heinz-Christian Strache è stato cacciato ieri ufficialmente dall’
FPOE. Il
sovranista che voleva vendere l’Austria ai russi è stato accompagnato alla porta da Norbert Hofer, l’ex candidato presidente dell’Austria, indagato per le spese pazze e diventato famoso sui media internazionali per essersi fatto incastrare in un
video segreto su un’isola spagnola, mentre
offriva a una finta oligarca russa appalti pubblici e altri favori illeciti, in cambio di sostegno economico alle elezioni 2017. Uno scandalo che
ha fatto saltare il governo a Vienna con i popolari di Sebastian Kurz ed è costato la carriera all’ex falco populista, antimigranti e vicino, in gioventù, ai movimenti filonazisti. Francia.
Christian Jacob, attuale capogruppo dei deputati
Républicains (Lr) all’Assemblea nazionale, è stato eletto
neopresidente di Lr col 62,58 per cento dei voti, davanti a
Guillaume Larrivé e
Julien Aubert, difensori di una linea ultraconservatrice che ha allontanato i militanti. “Lr riprenderà il posto che gli spetta solo quando tornerà a mantenere la sua promessa di rassemblement. Le ambizioni personali e gli ego devono essere messi da parte”, ha dichiarato Jacob dopo il risultato netto del primo (e unico) turno delle elezioni interne dei gollisti. Poi, dopo un respiro profondo, ha aggiunto: “Ognuno di noi è consapevole della difficoltà di rimettere in carreggiata il nostro movimento che, in questi ultimi sette anni, ha vissuto tanti periodi critici”. Germania. I socialdemocratici tedeschi hanno una
nuova leadership.
Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans sono stati eletti dalla base del partito con il 53 per cento dei voti. Una vittoria sorprendente solo per chi non avesse seguito la campagna elettorale interna al partito. I nuovi leader hanno vinto contro Olaf Scholz, Vice-Cancelliere e Ministro delle Finanze, e Klara Geywitz. Regno Unito. La novità è
Jo Swinson, eletta questa settimana
leader del Partito liberaldemocratico inglese, trentanove anni, la fama di secchiona e soprattutto di una donna che sa riconoscere il momento giusto, il momento adatto. Disfatta alle elezioni britanniche per i leader politici anti Brexit. La leader dei Lib-Dem
Jo Swinson, che non è stata rieletta nel collegio di Dumbartonshire East, ha annunciato le sue
dimissioni dalla guida del partito. Lo ha annunciato la presidente dei liberaldemocratici
Sal Brinton che assumerà la leadership insieme ad Ed Davey fino alle elezioni di un nuovo capo il prossimo anno. “Voglio ringraziare Jo Swinson per la sua guida onesta e coraggiosa”, ha scritto Brinton sottolineando che i Libdem hanno “preso più voti del 2017”.

Gergely Karacsony
Germania. È uno scossone ma non il terremoto che tutti temevano. Il sorpasso dell’ultradestra Afd (Alternative für Deutschland), a giudicare dalle prime proiezione, è stato scongiurato. In due Land cruciali, Sassonia e Brandeburgo, i partiti al governo, rispettivamente Cdu e Spd, crollano rispetto alle
ultime elezioni regionali ma recuperano rispetto a un mese fa quando i sondaggi li davano testa a testa con l’ultradestra. Ungheria. Il partito ungherese di destra radicale Fidesz, guidato dal primo ministro
Viktor Orbán, ha perso le
elezioni comunali a Budapest e in diverse altre città del paese. Per Orbán, che è al potere dal 2010 dopo essere stato primo ministro già tra il 1998 e il 2002, si tratta della prima grande sconfitta elettorale di questi anni, nonostante continui a godere di ampio consenso. I risultati di domenica, secondo alcuni osservatori, rappresentano comunque un cambiamento molto significativo nel panorama politico del paese, in vista delle elezioni generali che si terranno nel 2022. Oltre a Budapest l’opposizione ha vinto le elezioni comunali in dieci delle ventitré principali città ungheresi, tra cui Miskolc, Seghedino e Eger, senza poter contare su grandi risorse né su un pari accesso ai media e alla pubblicità. L’opposizione ha lavorato sui social e ha costruito una campagna elettorale dal basso che è stata fatta soprattutto dalle persone, per le strade delle città. Ma la principale strategia delle opposizioni è stata quella di presentare fin dall’inizio dei candidati unici nella maggior parte dei comuni, sostenuti dalla sinistra, ma anche dal centro e in alcuni casi dall’estrema destra.

Brexit, Johnson perde la maggioranza ai Comuni. Trema la sterlina: -20% dal referendum
Regno Unito. Il leader del Labour, Jeremy Corbyn, ha sciolto le riserve e per la prima volta ha chiesto un secondo referendum sull’uscita del Regno Unito dalla Ue con o senza accordo. Il leader dell’opposizione britannica era stato fortemente criticato, anche dalla base del partito, per la sua mancanza di chiarezza sulla questione, che avrebbe anche causato l’emorragia di voti alle ultime europee. In una lettera ai membri del Labour, arrivata dopo un incontro con il suo staff, Corbyn ha sfidato il prossimo premier, che uscirà dalle primarie Tory: “Chiunque diventerà il nuovo primo ministro, deve essere abbastanza sicuro da rimettere l’uscita dall’Ue, con e senza accordo, al voto popolare”, insieme all’opzione di rimanere nell’Unione. Si chiama “Operation Yellowhammer”, alla lettera operazione martello giallo. E descrive una gigantesca martellata che la Gran Bretagna si prepara ad autoinfliggersi, se il 31 ottobre uscirà dall’Unione Europea con il “no deal”, ovvero una Brexit senza alcun accordo con Bruxelles che sostituisca quattro decenni di legami fra questo Paese e il continente. Le clamorose voci della mattinata sono state confermate: il premier britannico Boris Johnson ha utilizzato la “soluzione nucleare” sulla Brexit, ossia tirare nella battaglia parlamentare la Regina Elisabetta e praticamente costringerla a tenere il suo discorso al Parlamento sulle sfide del nuovo governo il prossimo 14 ottobre, in quella che è tecnicamente una nuova sessione (in gergo si chiama “prorogation”). Boris Johnson ha perso la maggioranza alla Camera dei Comuni. La coalizione Tory-Dup, la cui maggioranza si era ridotta nei mesi scorsi a un solo seggio, è stata infatti abbandonata dall’ex sottosegretario Philip Lee, un oppositore della Brexit, che è passato al gruppo di opposizione dei Liberaldemocratici. Lo ha annunciato la leader LibDem, Jo Swinson. Il cambiamento non comporta comunque l’automatica caduta del governo, salvo un voto di sfiducia dell’aula. Il governo Johnson, che aveva soltanto un seggio di vantaggio, è ora ufficialmente minoranza. “Quando l’altro giorno ho sentito Jacob Rees-Mogg”, uno dei brexiter più estremisti, “offendere in radio un medico che gli contestava la sua faciloneria sul No Deal”, cioè la pericolosa uscita senza accordo di Londra dall’Ue fissata al 31 ottobre, “non ci ho visto più. Dopo 27 anni tra i conservatori”, commenta affranto Lee, “dico basta”. La Camera dei Lord, la camera alta del Parlamento britannico, ha approvato una legge per obbligare il primo ministro Boris Johnson a chiedere una proroga su Brexit se entro il prossimo Consiglio Europeo del 17 ottobre non avrà ottenuto un nuovo accordo dall’UE, oppure se il Parlamento non avrà ratificato l’accordo negoziato dal governo precedente. Per diventare vincolante, la legge dovrà essere promulgata dalla Regina. Per giorni Johnson ha osteggiato la legge, che è stata approvata soltanto grazie a una maggioranza trasversale di parlamentari contrari all’uscita del Regno Unito senza alcun accordo, la cosiddetta opzione no deal, eventualità accettata da Johnson e dall’ala più radicale dei Conservatori. Nuovo schiaffo al premier britannico Boris Johnson da parte della Camera dei Comuni che ha bocciato la mozione per la convocazione di elezioni anticipate nel Regno Unito il 15 ottobre. «Non importa quali strumenti inventerà questo Parlamento per legarmi le mani, andrò al cruciale summit del prossimo 17 ottobre cercando di trovare un accordo. Questo governo non intende rinviare ulteriormente la Brexit», ha tuonato Johnson incassando la sconfitta, a poche ore dall’entrata in vigore della legge che gli impone di chiedere a Bruxelles un rinvio di tre mesi, rispetto alla scadenza del 31 ottobre, per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea a meno che non riesca a stringere un’intesa di divorzio. La conferenza del Labour ha votato a maggioranza, non senza contrasti, a favore della mozione sulla Brexit presentata da Jeremy Corbyn che impegna il partito a convocare un secondo referendum entro 6 mesi in caso di vittoria elettorale, ma rinvia la decisione se impegnarsi fin d’ora a far campagna pro Remain o lasciare libertà di voto. La mozione opposta, presentata dal fronte che voleva fin d’ora la scelta del ‘partito del Remain’, non è invece passata ma ha avuto consensi anche fra alcuni fedelissimi del leader.

Boris Johnson
Regno Unito. Il premier britannico,
Boris Johnson,
non ha intenzione di dimettersi per “lasciare a qualcun altro il compito di cercare una proroga della Brexit”. Intervistato dalla Bbc, Johnson ha assicurato di non tirarsi indietro. “Sono stato eletto per portare avanti il partito”, ha aggiunto. Johnson ha inoltre affermato che non riporterà al voto alla Camera dei Comuni l’accordo raggiunto con Bruxelles dal suo predecessore, Theresa May, che era già stato bocciato due volte. Il premier ha presenziato in giornata al congresso del suo partito conservatore, i Tory, svoltosi a Manchester: “Mi sono assunto la responsabilità di guidare il partito in un momento difficile e credo che sia altrettanto responsabile continuare a farlo”. Alla domanda se il governo userà la legge Ue per soprassedere sul Benn Act o se userà poteri d’urgenza per bypassarlo, Johnson ha risposto: “È uno scenario ipotetico che non intendo discutere”. “
Get Brexit done“,
facciamo la Brexit. Nel suo discorso al
Congresso dei Conservatori, a
Manchester, il primo ministro britannico,
Boris Johnson, rilancia il suo slogan ribadendo che, con accordo o meno,
il 31 ottobre il Regno Unito uscirà dall’Unione europea. “Con un accordo, ma in ogni caso”, ha dichiarato, esponendo poi l’ultima proposta che porterà ai tavoli di Bruxelles e che ricalca le anticipazioni diffuse dagli organi di stampa nazionali. Dalla
Commissione Ue fanno sapere che “il testo di Londra sarà analizzato”. Una trappola parlamentare tesa al momento giusto, ennesimo episodio della faida infinita in casa Tory, ferma di nuovo la Brexit. Bloccando a un passo dal traguardo
l’accordo raggiunto da Boris Johnson con Bruxelles per l’uscita dall’Ue e allontanando la scadenza del 31 ottobre, linea del Piave del primo ministro: scadenza rispetto alla quale solo a tarda sera il premier si arrende a chiedere una proroga dell’ultimo minuto, in una lettera non firmata inviata a
Donald Tusk, lasciando intendere d’essere costretto a farlo dalla legge varata dai suoi oppositori e di non ritenerla necessaria. Contrordine a Westminster. Il voto decisivo sul ‘Boris deal’ salta. E il muro contro muro fra Parlamento e governo, con il premier che per ora si rifiuta di prendere tempo con la richiesta di proroga ai 27 imposta per legge, riprecipita la situazione nel caos e nell’incertezza.
Una folla in festa davanti a
Westminster: in centinaia di migliaia (
un milione di persone, secondo gli organizzatori) hanno esultato di fronte al Parlamento britannico quando è arrivata la notizia del ‘sì’ dei deputati all’
emendamento Letwin che ha rinviato il voto sull’accordo di divorzio dall’Ue, raggiunto in extremis con Bruxelles dal premier conservatore
Boris Johnson. La manifestazione, organizzata da
People’s Vote, ha coinvolto gli abitanti di
Londra in una grande marcia a favore di un
secondo referendum. Aveva detto “meglio morto in un fosso” che un rinvio sulla Brexit. E invece ieri
Boris Johnson si è dovuto piegare. In serata ha inviato una
lettera per l’estensione al presidente del Consiglio europeo
Donald Tusk, ma non ci ha messo la firma e anzi ne ha allegata una seconda che smentisce la prima e definisce l’ennesimo rinvio della Brexit “un errore”. Uno stratagemma per salvare la faccia, ma che non ha turbato Tusk: “Ora la valuteremo”.
Rinvio fino alla fine di gennaio del 2020: la storia infinita della Brexit avrà una nuova tappa, o almeno glielo concede l’Unione europea. È il presidente del Consiglio UE,
Donald Tusk, a dire che tutti i 27 Paesi membri hanno dato l’accordo per l’ulteriore rinvio. Contrordine dei laburisti: il partito guidato da Corbyn accetta ora che nel Regno Unito si svolgano elezioni anticipate per cercare di rompere lo stallo sulla Brexit. La svolta giustificata dal fatto che «
la condizione di escludere l’uscita senza accordo ormai è rispettata». Lo ha annunciato il leader del partito d’opposizione a margine di una riunione del governo ombra, nel giorno in cui il premier Boris Johnson tenterà di ottenere di
nuovo il via libera in Parlamento, presentando un progetto di legge per andare al voto il 12 dicembre. Il processo legislativo proseguirà dopo le feste e il governo prevede l’adozione finale il 9 gennaio, dopo tre giorni di dibattito a partire dal 7. Dopo l’
assenso della regina, a quel punto non resterà più che la
ratifica da parte del Parlamento europeo.

Sfida a Londra: la Scozia avvia la procedura per l’indipendenza
Regno Unito. La Brexit ha trionfato in Inghilterra, ma la Scozia “ha detto di nuovo no a Boris Johnson e alla Brexit” nelle elezioni britanniche di ieri e ha chiarito che “desidera un futuro diverso da quello scelto dal resto del Regno Unito”. Così Nicola Sturgeon, leader degli indipendentisti dell’Snp,
primo partito scozzese, in un discorso a Edimburgo. “Il nostro messaggio ha avuto un enorme successo”, ha detto
Sturgeon, evocando il voto come “uno spartiacque” e rilanciando la sfida “democratica” per un referendum bis sulla secessione. Il Regno Unito lascia l’Unione Europea e
la Scozia vuole lasciare il Regno Unito. La premier
Nicola Sturgeon oggi ha presentato un disegno di legge che darebbe a Edimburgo invece che a Londra il potere di indire altri referendum sull’indipendenza. La legge del 1998 che ha concesso autonomia alla Scozia (
Scotland Act) va modificata per ampliare i poteri riservati al Governo di Holyrood, secondo la Sturgeon. Allo stato attuale spetta a Londra decidere se concedere o meno un referendum, e il premier britannico Boris Johnson ha già messo in chiaro di non avere alcuna intenzione di acconsentire alla richiesta di Edimburgo.

Siria, scontro tra Erdogan e la Ue: «Posso mandarvi milioni di profughi»
Unione Europea. Dopo l’incontro tra
Giuseppe Conte ed
Emmanuel Macron, palazzo Chigi ha comunicato ieri l’intenzione italiana di aderire alla
European intervention initiative (Ei2), il progetto lanciato dal presidente francese per cooperare nel campo della Difesa. A oltre un anno dalla firma dell’iniziativa, ai dieci Paesi aderenti si aggiunge così anche l’Italia, l’unico dei
big del Vecchio continente che era rimasto fuori in virtù di diverse perplessità per uno slancio estraneo tanto al contesto dell’Unione europea quanto a quello della Nato, i due pilastri della nostra postura internazionale. Unione Europea. Provare a salvare il salvabile, cercando di non essere artigliata dai falchi di Washington e Teheran. L’Europa prova a mantenere in vita
l’accordo sul nucleare con l’Iran, andando contro la determinazione sanzionatoria di Washington e i proclami bellicosi dell’ala dura del regime degli ayatollah. L’accordo sul nucleare” iraniano “non è morto. C’è ancora una piccola finestra per mantenere viva l’intesa”, ma “si sta chiudendo”, afferma il ministro degli Esteri britannico Jeremy Hunt al suo arrivo al Consiglio Ue, riaffermando il pieno impegno a “mantenere il Medio Oriente denuclearizzato”. Unione Europea. È crisi diplomatica e confronto a tutto campo tra la
Turchia di
Erdogan da un lato, impegnata nell’offensiva fonte di pace per creare una zona di sicurezza
anti-curda nelle regioni nord-orientali della Siria, e l’Europa e in particolare la Francia, ma anche l’Italia di Giuseppe Conte, che incalzano denunciando il rischio di emergenza umanitaria. Erdogan punta l’indice sull’Unione europea e brandisce l’arma della pressione migratoria dei rifugiati siriani in Turchia: «Se l’Unione europea insiste a ostacolare la nostra operazione contro i curdi definendola un’occupazione – avverte il presidente turco – apriremo le porte a 3 milioni e 600mila rifugiati e li manderemo da voi». A questo si aggiunge la recriminazione per le mancate «promesse della Ue su 6 miliardi di euro di aiuti per i profughi», mentre occorrono ben altri stanziamenti internazionali.
La Turchia si prepara ad attaccare Kobane. Numerosi carri armati, mezzi blindati e unità militari dell’esercito turco e delle milizie arabe filo-Ankara sono entrati nelle ultime ore nel nord della Siria a ovest del fiume Eufrate, in un’area già controllata dalla Turchia, per sferrare un attacco a Kobane dal fronte occidentale. Questa nuova offensiva partirebbe da Jarablus, località strategica siriana di confine passata nelle mani della Turchia con l’operazione ’Scudo dell’Eufrate del 2016-2017. Il nuovo dispiegamento di forze intende attraversare l’Eufrate, che rappresenta un confine naturale della regione amministrata dai curdi-siriani, costruendo un ponte temporaneo sul fiume. Da lì punterà prima sull’area curda di Zormagar e poi verso Kobane/Ayn al Arab.

Dresda dichiara l”emergenza nazismo’
Germania. A Dresda è “
emergenza nazismo“. Il consiglio comunale della città tedesca ha approvato una risoluzione nella quale si denuncia che “idee e azioni antidemocratiche, antipluraliste, misantrope e di estrema destra, compresa la violenza, avvengono con sempre maggiore frequenza”. “
La città ha un problema con i nazisti“, ha tuonato Max Aschenbach, consigliere del partito satirico Die Partei. Sulla base della risoluzione, la città cercherà di rafforzare la cultura democratica e di offrire una migliore protezione alle minoranze ed alle vittime della violenza. “Dobbiamo fare qualcosa – ha esortato Aschenbach, promotore del testo, parlando con l’emittente Mdr – La politica deve finalmente cominciare a contrastare” questo fenomeno “e
dire che è inaccettabile”. La risoluzione è stata votata dai Verdi, dalla Linke, dai Liberali e dall’Spd, mentre la Cdu l’ha criticata, definendola “un’iniziativa simbolica, con errori linguistici”. Unione Europea. Angela Merkel sa dello
scandalo che ha travolto Matteo Salvini e la Lega, e pensa che “i chiarimenti spettino all’Italia”, in particolare “al Parlamento” e “a chiunque vorrà che ci siano”. È anche ovvio, però, che il tentativo del Cremlino di influenzare la Lega e altri partiti in Europa “susciti degli interrogativi”. Durante l’annuale conferenza stampa estiva con la stampa estera, Merkel ha sottolineato che “vediamo di continuo che partiti populisti e di destra ricevono in questa e in altre forme” l’appoggio del Cremlino. E ciò, ha precisato Merkel, “è motivo di preoccupazione”. Italia. Il premier
Giuseppe Conte si è presentato in Senato per un’audizione sul
caso dei presunti finanziamenti russi alla Lega. I banchi dei
Cinque stelle sono rimasti quasi tutti vuoti per protesta in seguito al via libera del governo alla Tav ma anche, come dichiarato da dal capogruppo Patuanelli, perché delusi dal silenzio del leader della Lega.
Assente infatti anche Matteo Salvini che ha preferito andare al Viminale per un vertice sulla sicurezza, evitando così ogni possibile chiamata in causa a Palazzo Madama. “Se oggi sono qui davanti a voi è in ragione del mio ruolo, è per il profondo rispetto che nutro nei confronti di quest’Aula. Non mi sono mai sottratto all’interlocuzione con il Parlamento. Il confronto è la vera essenza della nostra forma di governo”. Ha esordito Conte nell’informativa sui fondi russi. Poi entrando nel merito: “Sulla base delle informazioni disponibili alla presidenza del consiglio posso precisare che il signor
Savoini non riveste e non ha rivestito incarichi formali di consulente esperto di questo governo.
Era presente a Mosca il 15 e 16 luglio 2018 a seguito del ministro Salvini“. Precisando: “Salvini è stato presente a Mosca anche il 15 luglio 2018 per la finale del mondiale di calcio e il 16 luglio 2018 per l’incontro con le controparti russe. In quella occasione fu
notificata alle controparti russe dalla nostra ambasciata la composizione della delegazione italiana su indicazione del protocollo del ministero dell’Interno:
la delegazione ufficiale comprendeva anche il nominativo del signor Savoini“.

Daphne Galizia
Malta. Era salpato da dieci minuti. Stava scappando nell’ultimo buio prima dell’alba. Velocità 12 nodi, direzione acque internazionali con rotta Nord-Est, verso l’Italia o la Grecia o per chissà dove. Il «Giò», un bel ventitré metri bianco e blu, uno dei tanti yacht di lusso battenti bandiera maltese e ormeggiati alla marina di Portomaso, otto chilometri dalla Valletta. Alle 5.30, i corpi speciali dell’Afm l’hanno affiancato, bloccato, ispezionato e riportato indietro. «Siete tutti in arresto e la barca è sotto sequestro», l’intimazione ai marinai dell’equipaggio. In una delle cabine c’era il proprietario e il
vero ricercato dell’operazione:
Yorgen Fenech, proprietario del più grande casinò di Malta, il probabile riferimento occulto d’una delle migliaia di società sporche e off-shore dell’isola, la 17 Black con sede a Dubai, oltre che l’amministratore delegato e socio del Tumas Group, il direttore delle operazioni nella grande centrale elettrica Electrogas, insomma uno molto potente e conosciuto a Malta. Soprattutto: l’uomo sospettato d’essere fra i mandanti dell’
omicidio di Daphne Caruana Galizia, la scomoda giornalista investigativa fatta saltare poco più di due anni fa con un’autobomba. «Non ci vorranno mesi, a pigliare i mandanti, ma neppure un paio di giorni», aveva promesso poche ore prima il premier maltese
Joseph Muscat. Le indagini sull’omicidio della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, uccisa in un attentato nell’ottobre del 2017,
stanno mettendo in grave difficoltà il primo ministro maltese Joseph Muscat e il suo governo: martedì, dopo nuovi sviluppi del caso, si sono dimessi il suo capo dello staff Keith Schembri e il ministro del Turismo Konrad Mizzi, mentre il ministro dell’Economia Chris Cardona ha deciso di autosospendersi. Il
Times of Malta ha scritto che Schembri è stato arrestato e ha trascorso la notte di martedì in carcere; gli investigatori hanno 48 ore di tempo per interrogare un sospetto senza incriminarlo. La polizia ha arrestato anche Adrian Vella, il medico dell’imprenditore maltese Yorgen Fenech, al centro delle indagini di Caruana Galizia. Svolta nell’inchiesta sull’omicidio della giornalista
Daphne Caruana Galizia. Keith Schembri,
il braccio destro del premier maltese Joseph Muscat, è stato arrestato dalla polizia maltese dopo l’interrogatorio e la perquisizione dell’abitazione privata avvenuti ieri mattina. Lo scrive il
Times of Malta. In serata è stato fermato anche il dottor Adrian Vella, medico personale del re dei casinò e grande imprenditore Yorgen Fenech arrestato la settimana scorsa mentre tentava la fuga da Malta in yacht. Vella è sospettato di aver fatto da tramite tra Fenech e Schembri. Quest’ultimo aveva presentato le dimissioni nella giornata di ieri. È scattata l’ora della resa dei conti, a Malta. Mentre il premier Joseph Muscat
dovrebbe lasciare al più tardi il 18 gennaio, per l’imprenditore Yorgen Fenech è attesa l’incriminazione formale per l’omicidio di
Daphne Caruana Galizia. Per gli inquirenti è il 37enne erede del Tumas Group, trasformato dal padre in un impero di casinò veri e online, alberghi di lusso, porti privati, condomini esclusivi, il mandante dell’autobomba che il 16 ottobre 2017 uccise la giornalista.

Brasile rifiuta venti milioni dal G7
Unione Europea. Mentre l’Amazzonia va a fuoco, su Twitter è andato in scena un forte scontro tra il presidente francese Emmanuel Macron e quello brasiliano, Jair Bolsonaro. Motivo della discussione: la protezione della foresta amazzonica. Macron ha infatti parlato apertamente di crisi internazionale in merito agli incendi che stanno devastando il polmone verde del Brasile, pretendendo di voler iscrivere la questione nell’agenda dell’imminente G7 di Barritz, previsto per questo fine settimana. “La nostra casa – ha scritto Macron nel suo tweet – sta letteralmente bruciando. La foresta pluviale amazzonica, il polmone che produce il 20% dell’ossigeno del nostro pianeta, è in fiamme. È una crisi internazionale. Membri del vertice del G7, discutiamo di questo primo ordine di emergenza tra due giorni!”. Sulla devastazione della foresta amazzonica in Brasile a causa degli incendi che hanno distrutto finora circa 800 mila ettari, il presidente Jair Bolsonaro, dopo le dichiarazioni sui vantaggi economici della deforestazione, ieri ha annunciato che Israele è pronta a dare una mano per domare le fiamme. Bolsonaro ha attaccato a testa bassa Macron e ha dichiarato che il suo paese «non può accettare che si lancino attacchi gratuiti e fuori luogo contro il modo in cui gestisce l’Amazzonia, né che travesta le sue intenzioni dietro all’idea di una alleanza dei paesi del G7 per salvare l’Amazzonia, come se fossimo una colonia».

Irlanda del Nord: il matrimonio egualitario è legge, rimosso il divieto d’aborto
Regno Unito. Giornata storica per l’Irlanda del Nord dove i matrimoni gay e l’aborto sono diventati legali. La legalizzazione è diventata effettiva alla mezzanotte, tra lunedì e martedì. È l’effetto della paralisi del governo e del parlamento locali di Belfast, bloccati da quasi tre anni dal mancato rinnovo della coalizione d’unità nazionale fra la destra unionista protestante del Dup e la sinistra repubblicana cattolica dello Sinn Fein. Una paralisi prolungata che trasferisce ora temporaneamente la potestà legislativa sul territorio nordirlandese al Parlamento britannico, dove un’ampia maggioranza ha già votato a favore dell’estensione della depenalizzazione pressoché totale dell’interruzione di gravidanza in Ulster e della fine del divieto delle nozze fra persone dello stesso sesso. «A mezzanotte sarà fatta la storia», aveva commentato Grainne Teggart, manager della campagna di Amnesty International nell’Irlanda del Nord. I due relativi emendamenti alla legge sull’Irlanda del Nord diventeranno normativi, in ogni caso, solo se entro il 21 ottobre non vi sarà un nuovo governo locale a Belfast. Stallo, che difficilmente sarà superato per quella data dal momento che l’accordo di unità nazionale fra unionisti e repubblicani nell’Irlanda del Nord è saltato nel 2017 e non è stato mai ricucito. Stante così la situazione, la scadenza per l’entrata in vigore della nuova legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso sarà gennaio 2020. Lussemburgo. Xavier Bettel, primo ministro del Lussemburgo, e Ana Brnabić, prima ministra della Serbia, hanno posato per una foto mai vista prima, perché al loro fianco troviamo Gauthier Destenay, marito di Xavier dal 2015, e la compagna di Ana, Milica Đurđić. Lo scatto è diventato realtà nel corso di una visita di Stato di Xavier per discutere la proposta di adesione della Serbia all’UE. Un’incredibile esibizione di forza LGBT, a pochi mesi dall’incontro tra Bettel e Leo Varadkar, premier gay d’Irlanda. Regno Unito. Non sarà una donna né Stephen Hawking a comparire su una delle due facce della nuova banconota britannica da 50 sterline (sull’altra come sempre ci sarà la regina). Ma Alan Turing, il matematico-eroe perseguitato dopo la guerra dal sua Paese solo perché gay. La decisione è stata annunciata oggi dalla Bank of England e si tratta di un atto di omaggio, ma anche di riparazione postuma. Turing, nato nel 1912 a Londra e morto suicida a nemmeno 43 anni a Manchester dopo aver sperimentato il carcere per l’allora reato di omosessualità, è considerato uno dei matematici più brillanti della sua generazione, nonché un pioniere dell’informatica e dell’intelligenza artificiale. Durante il secondo conflitto mondiale lavorò per conto dell’intelligence di Sua Maestà nel centro di crittoanalisi di Bletchley Park, ideando una serie di tecniche in grado di far breccia nei cifrari della Germania nazista inclusi quelli generati dalla macchina Enigma. Nel 2014 la vita di Turing è stata raccontata nel film ‘The Imitation Game’.

L’Ue approva il primo farmaco a base di cannabis: cos’è l’Epidiolex
Spagna. Il Tribunale Supremo, alto tribunale spagnolo con sede a Madrid, ha reso pubblica la
sentenza del processo contro i 12 leader indipendentisti catalani accusati di diversi reati per i fatti che portarono alla dichiarazione unilaterale d’indipendenza della Catalogna, nell’ottobre 2017. Nove leader indipendentisti – sia ex membri del governo guidato dal presidente Carles Puigdemont, sia leader di organizzazioni della società civile – sono stati condannati per il reato di sedizione, che punisce una rivolta pubblica contro l’autorità; nessuno è stato invece condannato per il reato più grave, la ribellione, che si verifica solo quando c’è un uso della violenza finalizzato a rovesciare l’ordine costituzionale. Quattro ex ministri sono stati condannati anche per il reato di malversazione, cioè gestione illecita di fondi pubblici. Altri tre imputati, gli unici che non si trovano in carcere preventivo, sono stati condannati solo per il reato di disobbedienza. Dopo la sentenza, inoltre, il giudice Pablo Llarena, del Tribunale Supremo, ha riattivato il mandato di arresto europeo per Puigdemont, per i reati di sedizione e malversazione: una richiesta di estradizione per Puigdemont, che però includeva anche il reato di ribellione, era già stata esaminata da un tribunale tedesco lo scorso anno, ma era stata bocciata. Malta.
Sandro Gozi, si è
dimesso dall’incarico di consulente del premier francese Edouard Philippe. “Da lunedì scorso, sono nuovamente oggetto di rivelazioni di stampa che hanno come unico intento quello di minare il mio impegno e le mie nuove attività professionali. Per questa ragione ho preso la decisione di
dimettermi a partire da oggi dalla mia funzione di incaricato di missione presso il primo ministro della Francia per evitare qualsiasi
strumentalizzazione politica, vista anche l’attuale situazione europea”. E’ quanto si legge in una nota di Gozi. Le dimissioni di Gozi dal governo di Edouard Philippe arrivano dopo le rivelazioni di stampa di Le Monde e del Times of Malta, secondo cui l’ex sottosegretario agli Affari europei dei governi
Renzi e Gentiloni oltre che con il governo francese avrebbe avuto in essere dei contratti consulenza anche con primo ministro maltese
Joseph Muscat. Dopo avere annunciato le sue dimissioni, Gozi cita proprio “il contratto citato nelle suddette rivelazioni di stampa” e dice di aver “
svolto legalmente una missione consultiva come consulente tecnico esterno delle autorità maltesi, che ha avuto luogo a posteriori rispetto alla mia funzione ministeriale in Italia ed è stata interrotta su mia richiesta a seguito della convalida del risultato delle elezioni europee in Francia, il 28 maggio come confermato oggi stesso dall’amministrazione Maltese. Inoltre, l’attività consultiva prestata, svolta in piena trasparenza, sulla base di riconosciute e specifiche competenze, era comunque priva di ogni potenziale incompatibilità con l’incarico ricevuto successivamente dal Governo francese”. Ungheria. La Corte di Strasburgo con una sentenza definitiva ha condannato l’Ungheria per l’
espulsione in Serbia di due richiedenti asilo del Bangladesh avvenuta nell’ottobre del 2015, poiché ha violato il loro diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani e tortura. I giudici hanno stabilito che le autorità ungheresi, dopo aver designato la Serbia come «Paese sicuro» dove poter rinviare i migranti, non si sono assicurate che questo fosse vero nel caso dei due cittadini del Bangladesh. Unione Europea. L’Unione europea ha approvato per la prima volta un
farmaco a base di cannabis: l’Epidiolex, indicato per il trattamento di forme rare ma gravi di epilessia. Lanciato sul mercato USA nel 2018, oggi dunque potrà essere prescritto e anche in Europa (e in Italia), se i medici ritengono che aiuterà i malati. L’Epidiolex si presenta in forma liquida da assumere per bocca, come fosse uno sciroppo; contiene CBD purificato ed è privo di THC. È stato testato in forme pediatriche di epilessia che non rispondono ai trattamenti tradizionali come la sindrome di Dravet e quella di Tourette, condizioni difficili da trattare che possono causare convulsioni multiple al giorno. Il farmaco, sviluppato da GW Pharmaceuticals, verrà utilizzato in combinazione con un altro farmaco per l’epilessia: il clobazam. In base alla normativa offlabel (L. 94/98), inoltre, il farmaco potrà essere utilizzato anche al di fuori delle indicazioni terapeutiche autorizzate se ne ricorrono le condizioni.

Il re di Svezia ha tolto il titolo di “Altezza Reale” a cinque dei suoi nipoti
Svezia. Il re svedese
Carl Gustaf XVI ha tolto il titolo di “Altezza Reale” a cinque dei suoi nipoti, quelli
non in linea diretta per ereditare il trono, in modo che i bambini non abbiano il dovere di partecipare alle cerimonie ufficiali e non debbano ricevere l’annuale appannaggio destinato ai membri più importanti della famiglia reale, pagato dalle tasse degli svedesi. Continueranno ad avere il titolo di “Altezza Reale” solo i due figli della principessa ereditaria Vittoria e del marito, Daniel Westling, cioè la principessa Estelle (7 anni, la prima donna nella storia della Svezia a nascere con il diritto di ereditare il trono) e il principe Oscar (3 anni). Gli altri nipoti del re manterranno i propri titoli di duchesse e duchi, ma senza dover partecipare agli eventi ufficiali dovrebbero peraltro poter condurre una vita più normale e simile a quella degli altri bambini. Resteranno invece invariati i doveri e i privilegi dei figli minori del re e dei loro coniugi. Regno Unito.
Basta pellicce, d’ora in poi solo modelli sintetici ed ecologici:
conversione ambientalista della regina Elisabetta II che, a 93 anni, ha deciso di mettere in naftalina tutti i capi fatti grazie allo scuoiamento di animali. La notizia è oggi sulle prime pagine di molti giornali britannici, frutto di una delle rivelazioni ricavate da un nuovo libro in uscita firmato da Angela Kelly, già assistente di Sua Maestà per l’abbigliamento e tuttora sua confidente informale. Stando a Kelly, l’ordine di lasciare nel guardaroba reale solo eco-pellicce risale ad alcuni mesi fa.