
Parlamento europeo, i deputati Brexit voltano le spalle all’inno europeo
Gli equilibri all’interno del parlamento europeo sono cambiati ma non sono stati sconvolti. Il
Partito popolare e il
Partito socialista, hanno perso la loro egemonia ma
continueranno probabilmente a guidare l’Ue. Per farlo, avranno bisogno del sostegno dei liberali di
Alde e/o dei
Verdi che hanno ottenuto rispettivamente 100 e 70 seggi, i risultati migliori nella storia dell’Europarlamento. I partiti identificati come
sovranisti non hanno sfondato ma sono riusciti a eleggere più parlamentari di sempre, grazie anche al successo della Lega in Italia e del Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia. Entrambi sono diventati primo partito nei rispettivi paesi. Qualsiasi alleanza si formerà, l’
Europarlamento sarà comunque composto in prevalenza da partiti europeisti. Socialisti, Conservatori, Alde, Verdi e Gue/Ngl, la Sinistra Verde nordica, hanno insieme 544 seggi su 750. L’Europa delle Nazioni e delle Libertà (il gruppo composto da Lega e Fn), l’Europa delle Libertà e della democrazia diretta (al quale apparteniene il Brexit Party di Nigel Farage e il M5s) e il Gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Fdi) si fermano, invece, a quota 172 seggi.
Nel giorno dell’
insediamento della nona legislatura, i 29 parlamentari del Brexit Party la formazione ideata da
Nigel Farage, sono rimasti seduti o hanno voltato le spalle durante l’esecuzione dell’Inno europeo che ha aperto la sessione inaugurale del nuovo Parlamento. A rimanere seduti anche alcuni parlamentari francesi del gruppo Identità e democrazia di cui fa parte la Lega. I parlamentari inglesi, inoltre, si erano presentati in aula con cartelli con la scritta «”BeLeave” in Britain». Critiche da parte dell’eurodeputato laburista, Richard Corbett, che ha definito la trovata «patetica». Mentre in rete c’è chi la butta sull’ironia. Così il ministero degli Esteri tedesco, che azzarda in un tweet: «Magari non amano Beethoven». La presenza del Brexit Party tra le fila degli eurodeputati è conseguenza del mancato accordo sulla Brexit che ha obbligato il Regno Unito a presentare i propri candidati alle elezioni europee.
L’euro festeggia il suo ventesimo compleanno. Il primo gennaio del 1999 diventava la moneta ufficiale di 11 paesi e di 291 milioni di persone. Tre anni dopo arriveranno in corso legale 15 miliardi di banconote e circa 50 miliardi di monete e la vita degli europei non fu piu la stessa. Oggi un’ intera generazione di giovani ha conosciuto solo l’euro e nulla sa di lire, pesetas franchi o marchi. Con il 2018, ci metteremo alle spalle anche i biglietti da 500 euro. A partire da gennaio la banconota viola non sarà più emessa dalla Banca Centrale perchè un biglietto di cosi grosso taglio può favorire attività illecite. Ma la “Bin Laden” delle monete, come l’hanno ribattezzata i critici, sarà stampata fino ad Aprile solo in Austria e Germania, da sempre più attaccate all’uso del contante. Le istituzioni monetarie ritengono che un biglietto di cosi grosso taglio possa favorire attività illecite. Una cattiva reputazione che è valsa alla banconota l’appellativo di “Bin Laden” tra le monete, nonostante i sofisticati accorgimenti di sicurezza applicati nella sua fabbricazione: uno fra tutti il colore cangiante della banconota che passa, in base alla luce, dal viola al verde fino alle tonalità del marrone.
Una ‘
standing ovation’ dei leader europei per
Mario Draghi al suo (probabile) ultimo Eurosummit: quasi a dimostrare che il presidente della Bce, allo scadere del mandato a fine ottobre, rischia di essere un ‘padre ingombrante’ per il suo successore. E che, per il momento, i leader europei guardano indietro, agli ultimi otto di guida Draghi sotto cui la Bce si è presa il fardello di assicurare la tenuta dell’euro, piuttosto che in avanti, sciogliendo il nodo delle nuove nomine.Le ricostruzioni dicono che i capi di Stato e di governo riuniti a Bruxelles hanno accolto con grande calore l’arrivo dell’italiano alla guida della Bce dal 2011. Molti hanno preso la parola per elogiare il suo lavoro, dal premier italiano
Giuseppe Conte al presidente francese Emmanuel Macron a quello della Commissione
Jean-Claude Juncker. E al termine del suo intervento si sono alzati per un lungo applauso in piedi, dopo che Draghi ha salutato il suo ultimo summit a Bruxelles.

Macedonia cambia nome, si del parlamento di Skopje
Il parlamento di Skopje ha approvato gli emendamenti costituzionali necessari a cambiare la denominazione del paese in “Repubblica di Macedonia del Nord”, come previsto dall’accordo della scorsa estate con la Grecia.La modifica è passata con 81 voti a favore, solo uno in più del quorum previsto dei due terzi dei deputati, grazie a un accordo tra il premier Zoran Zaev e un piccolo partito della minoranza albanese. Con il voto del parlamento Skopje ha adempiuto a tutti gli adempimenti richiesti dall’intesa, che ora dovrà venire ratificata dalla Grecia.
Alexis Tsipras ce l’ha fatta. Il premier greco ha superato il voto di fiducia al parlamento greco, superando così le dimissioni del ministro della Difesa, Panos Kammenos di domenica scorsa. Il titolare della difesa si era dimesso per protestare contro l’accordo firmato con a Macedonia per il cambio del nome in Repubblica di Macedonia del Nord. Il premier aveva già annunciato che sarebbe riuscito a raggiungere la maggioranza di 51 deputati. In caso contrario aveva assicurato le su dimissioni. Tsipras ha giocato d’astuzia, lasciando Kammnos libero di rassegnare le dimissioni e perseguire una politica populista e sovranista in vista delle prossime elezioni europee del 26 maggio, ma è riuscito a portare dalla sua parte i 6 deputati di Anel, il partito conservatore di Greci indipendenti,guidato da Kammenos e che da 4 anni fa parte della coalizione di governo.
La modifica del nome della Macedonia in
Repubblica della Macedonia del Nord apre la strada a Skopje per l’ingresso nella Nato e nell’Ue. Dall’Unione europea arriva una nota congiunta. Atene e Skopje, si legge nel documento del presidente della Commissione Europea
Jean-Claude Juncker, del vicepresidente e Alto Rappresentante
Federica Mogherini e del commissario all’Allargamento
Johannes Hahn, “hanno scritto, insieme, una nuova pagina del nostro comune destino europeo”.
Tempi duri per i sovranisti nell’Europa scandinava. Alle
elezioni politiche danesi i socialdemocratici guidati dalla 41enne
Mette Frederiksen, hanno battuto nettamente il governo uscente del premier liberalconservatore
Lars Løkke Rasmussen. I socialdemocratici potrebbero allearsi con i socialisti popolari, che rappresentano il partito Verde danese. Oltre alla priorità su ambiente e welfare, punto cardine della vittoria della nuova leader dello storico partito socialdemocratico danese è la linea di tolleranza zero sui migranti.

Juri Ratas
Il Partito Riformista dell’europeista
Kaja Kallas ha vinto le
elezioni parlamentari in Estonia, che però hanno registrato l’exploit dell’ultra-destra sovranista. Il Partito Riformista ha ottenuto il 28.9 per cento dei voti, decisamente di più di quanto gli assegnavano i sondaggi, e guadagnerà 5 deputati nel Riigikogu, il Parlamento unicamerale, con 101 seggi. Dietro si è attestato il Partito del Centro, la formazione di centro-sinistra che guida l’attuale governo tripartito del premier,
Juri Ratas, con il 23,1 per cento dei voti (perde un paio di seggi e scende a quota 25). Nelle
elezioni parlamentari del 2019 la coalizione di governo in carica è uscita sconfitta e come primo partito è emerso il Partito Riformatore Estone, che però, senza l’appoggio del Partito di Centro Estone, non è riuscito a formare né una maggioranza né un governo di minoranza. Questo ha permesso a
Jüri Ratas di
formare una nuova coalizione di governo, formata dal suo partito centrista (il Partito di Centro Estone), da un partito di destra (il Partito Popolare Conservatore Estone) e da un partito conservatore (Patria) che uniti dispongono della maggioranza di 55 deputati su 101 al
Riigikogu.
Improvvisa
crisi di governo in Finlandia, sullo sfondo di un clima già da campagna elettorale in vista delle regolari consultazioni legislative previste per il prossimo 14 aprile. Il premier liberalconservatore, l’ex tycoon
Juha Sipila, ha annunciato di persona le sue dimissioni comunicandole al capo dello Stato
Sauli Niinistö. Sipila, che finora ha governato con una coalizione tra il suo partito liberalconservatore, il Centro, i conservatori nazionali del vicepremier Petteri Orpo e i sovranisti di “Riforma blu” guidati da
Timo Soini, ex leader e fondatore degli ultranazionalisti chiamati in passato “i veri finlandesi”, si è detto “hugely disappointed”, quindi estremamente scontento e irritato, per essersi sentito costretto a lasciare l’incarico.
La sinistra vince in Finlandia. I socialdemocratici ottengono la maggioranza relativa con il 17,7 per cento dei voti. «Torniamo il primo partito del Paese dal 1999» dice il loro leader
Antti Rinne, candidato a diventare il nuovo premier. Ma è stata una vittoria risicatissima. Infatti l’estrema destra nazionalista del Partito dei finlandesi arriva seconda raccogliendo il successo adombrato dei sondaggi dei giorni scorsi, con il 17,5 per cento, superando dunque i conservatori del primo ministro uscente
Juha Sipila (13,8) che si piazzano al quarto posto. L’ultradestra euroscettica dei Veri Finlandesi si avvicina dunque ai socialdemocratici. I quali avrebbero conquistato 40 seggi su 200 nel Parlamento di Helsinki, solo uno in più rispetto alla formazione populista. Il leader dell’ultradestra Jussi Halla-aho aveva scommesso sulla paura dei cittadini di nuovi sacrifici richiesti dagli altri partiti per contrastare i cambiamenti climatici. E poi ancora sulla preoccupazione nell’opinione pubblica per un aumento dei reati sessuali, che l’estrema destra ha attribuito agli immigrati. Molti finlandesi gli hanno dato retta.

Chi ha vinto e chi ha perso in Spagna
La Finanziaria 2019 proposta dal governo socialista di
Pedro Sanchez è
stata bocciata dal Parlamento spagnolo. Si apre così la strada alle elezioni anticipate. Secondo alcune fonti citate dai media locali, l’annuncio di nuove elezioni dato del premier spagnolo dovrebbe seguire la convocazione del Consiglio dei ministri. L’ipotesi che gli indipendentisti catalani non avrebbero votato il bilancio statale si è rivelata fondata. Ieri c’era stato l’avvertimento del ministro delle Finanze
Maria Jesus Monter: “Questo governo non cederà ad alcun ricatto”. Ma, a conti fatti, contro la legge di bilancio hanno votato il centrodestra e i partiti indipendentisti. La
Spagna tornerà al voto il 28 aprile per scegliere il nuovo Parlamento. I
risultati definitivi del voto sono rilevanti e sorprendenti per diverse ragioni, tra le altre perché sono molto diversi da quelli emersi dalle elezioni del 2016. In poche parole, si può dire che la sinistra è andata molto meglio della destra, che il vero vincitore è stato il PSOE di Sánchez, e che per la prima volta dal ritorno alla democrazia in Spagna un partito di estrema destra è entrato in Parlamento.
Il PSOE ha ottenuto un
risultato molto positivo: ha vinto le prime elezioni generali dopo 11 anni, ottenendo il 29 per cento dei voti (pari a 123 seggi) e diventando di gran lunga la prima forza politica nel nuovo Parlamento spagnolo. È stato il primo partito in tutte le comunità autonome (le regioni in cui è divisa la Spagna), ad eccezione di Catalogna, Paesi Baschi, Navarra e Melilla. Il Partito Popolare (PP), il principale partito di centrodestra in Spagna, ha ottenuto il peggior risultato della sua storia, con il 17 per cento dei voti (pari a 66 seggi), praticamente la metà del 33 per cento dei voti (137 seggi) ottenuto alle ultime elezioni. Rispetto ad allora, il PP ha cambiato leader: non più Mariano Rajoy, che era stato primo ministro fino al voto di sfiducia del Parlamento, ma
Pablo Casado, giovane leader che negli ultimi mesi ha spostato il partito sempre più a destra. Casado non ha fatto autocritica per la sconfitta e ha incolpato sia gli elettori per non avere scelto un’alternativa di centrodestra, sia Vox, la destra radicale, per avere diviso il voto rivale del PSOE e «avere lasciato che migliaia e migliaia di voti non si trasformassero in seggi». Gli avversari interni di Casado sostengono invece che i risultati elettorali siano la dimostrazione di una strategia sbagliata, diretta a sottrarre voti a destra lasciando troppo scoperto il centro. Casado, comunque, ha fatto sapere di non avere intenzione di dimettersi. Vox – partito di estrema destra, anti-immigrazione e anti-femminista – è la più grande sorpresa del nuovo Parlamento: ha ottenuto il 10 per cento dei voti (pari a 24 seggi), un risultato notevole se si considera che fino a pochissimo tempo fa era una forza politica praticamente irrilevante. È la prima volta che un partito di estrema destra entra nel Parlamento nazionale spagnolo da quando in Spagna è finito il regime franchista ed è tornata la democrazia. Nonostante i 24 seggi, in realtà da Vox ci si aspettava qualcosa di più. Le seconde forze a destra e sinistra – dietro rispettivamente il PP e il PSOE – si sono confermate essere Ciudadanos e Unidas Podemos, che però hanno avuto sorti un pò diverse. La prima è andata molto meglio della seconda, ma è possibile che la seconda finirà per contare di più, se alla fine si farà un governo di coalizione a guida PSOE. Ciudadanos,
è andato molto vicino al sorpasso sul PP: ha ottenuto quasi il 16 per cento dei voti (pari a 57 seggi), guadagnando 25 seggi dalle elezioni del 2016. Da allora, il partito di Albert Rivera è riuscito a sfruttare al meglio la crisi catalana, posizionandosi nettamente contro gli indipendentisti, e il momento difficile del PP, sottraendo diversi consensi a quello che è sempre stato il partito di riferimento del centrodestra spagnolo. La sconfitta generale della destra sembra però ridurre di molto le possibilità di Ciudadanos di entrare in una maggioranza di governo. Unidas Podemos, coalizione elettorale di sinistra che riunisce tra gli altri Podemos e Izquierda Unida, non è andata troppo bene, ma le aspettative non era altissime: ha ottenuto il 14 per cento dei voti (42 seggi), perdendo il 7 per cento (29 seggi) rispetto alle elezioni del 2016. Il calo di Unidas Podemos (prima Unidos Podemos) era ampiamente previsto ed è parte di una tendenza in atto da tempo, che il leader Pablo Iglesias non è riuscito a cambiare. Dato l’ottimo risultato del PSOE, comunque, Unidas Podemos potrebbe allearsi con Sánchez per formare un governo di centrosinistra.

Alexander Van der Bellen e Sebastian Kurz
Hans Christian Strache si dimette da vice-cancelliere d’Austria: lo ha annunciato lo stesso leader della FPOE in una conferenza stampa dopo aver incontrato il cancelliere
Sebastian Kurz, denunciando che «i giornali hanno atteso due anni per perpetrare questo attentato politico messo in scena segretamente». Stamani si era appreso che Kurz escludeva ulteriori collaborazioni con il suo vice, in seguito alla pubblicazione di un video compromettente per il vice cancelliere: un incontro con una sedicente nipote di un oligarca russo, che si offriva di investire 250 milioni di euro per acquisire quote della stampa austriaca. La donna era in realtà un’adescatrice e l’incontro una trappola. Il presidente austriaco
Alexander Van der Bellen ha incontrato questa mattina il cancelliere tedesco
Sebastian Kurz per discutere della crisi politica. Al termine dell’incontro, durato circa un’ora,
l’annuncio di nuove elezioni che si terranno “a settembre, possibilmente all’inizio del mese”. Per la prima volta una cancelliera in Austria: l’incarico per un governo ad interim è stato affidato dal presidente austriaco
Alexander Van der Bellen alla giudice costituzionale
Brigitte Bierlein, presidente della Corte Costituzionale dal 2018, che sarà la prima cancelliera austriaca. Dopo l’uscita di scena di
Sebastian Kurz, Van der Bellen aveva nominato un cancelliere facente funzione a titolo provvisorio, Hartwig Loeger. «In questa fase l’obiettivo più importante è di contribuire alla massima calma ed a costruire la fiducia tra tutte le parti politiche in Austria, in Europa e nel mondo intero», ha detto la cancelliera ad interim dopo aver ricevuto l’incarico dal presidente Van der Bellen.
Il Parlamento in Lettonia ha votato la fiducia, al
nuovo governo di coalizione dei cinque partiti di centrodestra, quasi quattro mesi dopo le elezioni generali: mettendo fine allo stallo sulla formazione del gabinetto di questa piccola nazione, dalla scena politica altamente frammentata. Con 39 voti su 61 voti, il Seima, il Parlamento nazionale composto da 100 membri, ha dato via libera al governo di maggioranza del Primo Ministro
Arturs Krisjanis Karins. Il Partito socialdemocratico Armonia, favorito dalla minoranza russa, è il primo partito del Paese, dopo aver vinto le elezioni del 6 ottobre con quasi il 20% dei voti. È stato, comunque, lasciato all’opposizione: scelta, questa, indicativa delle tensioni esistenti tuttora tra lettoni e comunità russa, in un Paese profondamente segnato da 50 anni di occupazione sovietica, terminata con l’indipendenza dichiarata nel 1991. Altra forza esclusa dal governo è l’Unione dei Verdi e dei Contadini (ZZS), una coalizione di partiti ruralisti, conservatori ed euroscettici. Karins, un cinquantaquattrenne con doppia cittadinanza lettone-statunitense, nato a Wilmington, Delaware, laureato in Linguistica presso la University of Pennsylvania, è un membro del partito della Nuova Unità, che ha il minor numero di seggi in parlamento. L’anomalia della guida del Governo affidata a un membro del partito di minoranza si spiega considerando appunto la grande frammentazione del sistema politico lettone: per formare un nuovo esecutivo è stata indispensabile una coalizione tra partiti anche molto diversi tra loro. Oltre al Nuovo Partito Conservatore (JKP), al Partito populista “A chi appartiene lo Stato?”( !KPVLV) e a Nuova Unità, prenderanno parte all’esecutivo anche la coalizione Attīstībai/Par! (letteralmente, “Sviluppo/Per”) ed il partito Alleanza Nazionale (Nacionālā Apvienība– NA), del giovane Raivis Dzintars.
Egils Levits, giurista, politologo, attualmente giudice della Corte di giustizia europea ed ex ministro della giustizia, è il
nuovo Presidente della repubblica lettone. E’ stato eletto dalla Saeima, il parlamento lettone, al primo scrutinio dei voti, con la maggioranza assoluta di 61 su 100 deputati. Levits prende il posto di
Raimonds Vējonis, che ha concluso il suo mandato e non si è ricandidato per un secondo mandato, anche in considerazione del fatto che sul nome di Levits già da un paio di mesi erano confluiti tutti i partiti della maggioranza di governo, decisi a presentare una candidatura unitaria per il rinnovo della principale carica dello stato lettone.
In Svezia il social democratico Stefan Lofven è stato eletto premier per un secondo mandato. I social-democratici infatti governeranno con Verdi, Liberali e Conservatori. È una maggioranza sorta per sbarrare il passo all’ultra-destra.Una fiducia che arriva dopo quattro mesi di stallo politico. La nuova coalizione è formata dai socialdemocratici e i verdi insieme al partito di centro e ai liberali che finora erano stati all’opposizione. Un governo che esclude il coinvolgimento degli ultra nazionalisti. La nuova formazione obbligherà Lofven a fare concessioni su diversi fronti tra cui l’immigrazione. In questo caso dovrà cedere alle richieste del partito di centro con riposte più a destra.

Zuzana Caputova
Netta sconfitta per i sovranisti, gli euroscettici, i politici anti-migranti e l´estrema destra per la prima volta da anni in un paese del gruppo di Visegrad. L’avvocatessa divorziata 45enne
Zuzana Caputova, leader di “Slovacchia progressiva“ – il movimento liberal anti-corruzione, anti-autocrazia ed europeista nato dalle proteste della società civile dopo l´assassinio del giornalista investigativo Jan Kuciak e della sua compagna – ha vinto di larga misura il
primo turno delle elezioni presidenziali slovacche a suffragio universale, svoltesi ieri. Secondo i dati praticamente completi diffusi tra tarda nottata e primo mattino nella capitale Bratislava, Zuzana Caputova è di gran lunga prima col 40,5 per cento dei consensi espressi. Secondo, ma ben piú debole, il candidato tradizionalista appoggiato dal partito di governo, il giudice
Maros Sefcovic, col 18,7 per cento. Ancora piú deboli i candidati che avevano espresso posizioni estreme e diffamato Caputova come “estremista di sinistra troppo liberale e favorevole a migranti e gay“, cioè Stefan Harabin col 14,15 per cento e il leader dell´ultradestra dichiaratamente nostalgica Marian Kotleba, con appena il 10,5 per cento.
Nel ballottaggio, Caputova ha vinto con il 58% dei consensi sull’eurodeputato Maros Sefcovic, che si è fermato al 42% e ha riconosciuto la vittoria dell’avversaria. L’affluenza alle urne è stata del 41,8%.
L’ex ministro degli Esteri
George Vella sarà il
nuovo presidente della Repubblica di Malta. Il primo ministro
Joseph Muscat lo ha annunciato su Twitter.
Marie-Louise Coleiro Preca, presidente uscente, guiderà la Fondazione per il benessere sociale. L’annuncio è stato preceduto da una riunione del Governo che ha approvato all’unanimità la proposta di Muscat di nominare Vella decimo presidente.
L’economista
Gitanas Nauseda ha vinto le
presidenziali in Lituania alla seconda chiamata ai seggi. La notizia è stata ufficialmente pubblicata sul sito ufficiale della commissione elettorale dopo lo spoglio delle urne. I dati rivelano che Nausėda ha ottenuto il 66,72% dei voti, mentre per la sua avversaria Ingrida Šimonytė ha votato il 33,28 degli elettori. Il secondo turno delle elezioni in Lituania si è tenuto domenica 12 maggio in concomitanza con le Europarlamentari. Al primo turno nessuno dei candidati aveva ottenuto il 50% dei voti, il minimo necessario per essere proclamato vincitore. La carica diventerà effettiva il 12 luglio prossimo.
Grande vittoria del partito della destra populista Forum per la democrazia, nato appena due anni fa, raddoppio dei consensi per i Verdi, la coalizione del governo guidata dal popolare
Mark Rutte che perde la maggioranza, la decisa flessione dell’ultradestra xenofoba di
Geert Wilders: le
elezioni provinciali nei Paesi Bassi, in qualche modo “oscurate” dall’attentato di Utrecht, si sono trasformate in un terremoto politico.

Theresa May
Sconfitta immediata del governo di
Theresa May alla
riapertura del dibattito ai Comuni sull’accordo sulla Brexit: la Camera ha approvato con 308 sì e 297 no un emendamento promosso dal deputato Tory ribelle
Dominic Grieve che impone all’esecutivo, in
caso di bocciatura della ratifica, di ripresentarsi in parlamento «entro 3 giorni lavorativi» per presentare altre proposte alternative a un `no deal´. E poi di far votare Westminster entro ulteriori 7 giorni una mozione su un possibile piano B da negoziare con l’Ue.
Fine della corsa per la Brexit di Theresa May: la Camera dei Comuni ha infatti bocciato il suo accordo con la Ue per l’addio all’Unione. La sconfitta è stata pesantissima,
con 43 voti contrari. Ora, il governo britannico è appeso a un filo. Secondo
Jeremy Corbyn, si tratta della “più grande sconfitta di un governo dal 1920”. Ma per la May non potevano essere sorprese: il fronte dell’opposizione è apparso subito compatto e trasversale. I ribelli del Partito Conservatore, i Laburisti e i nord-irlandesi del Dup avevano già confermato la volontà di votare contro l’accordo siglato con l’Unione europea. La Camera dei Comuni ha respinto
la mozione di sfiducia presentata dai laburisti contro il governo guidato dalla premier
Theresa May. In totale, 306 deputati hanno votato a favore del governo e 325 hanno votato contro. La mozione è stata dunque respinta per 19 voti. «Sono pronta a lavorare con ogni membro di questa Camera per arrivare alla Brexit», ha dichiarato la May dopo il voto: «Sono felice che la Camera abbia espresso la sua fiducia, continueremo a lavorare per realizzare il risultato espresso nel referendum e lasciare l’Unione Europea». l labour sfida Theresa May nella partita per
il piano B sulla Brexit. Tra gli emendamenti presentati ai Comuni la
richiesta di votare sull’opzione di un secondo referendum. La mozione è stata presentata direttamente dal leader del partito,
Jeremy Corbyn, che inizialmente
si era detto contrario a questa eventualità, salvo poi cambiare idea all’indomani della bocciatura dell’accordo tra Londra e Bruxelles.

Theresa May
Nuovo schiaffo sulla Brexit per il governo May: la Camera dei Comuni ha rigettato con 258 voti contro 303 la mozione illustrata lunedì dalla premier Tory che chiedeva di ribadire il sostegno dell’aula al
negoziato supplementare con l’Ue per ottenere rassicurazioni sul backstop. Ma al contempo non riproponeva apertamente l’opzione di riserva di un divorzio “no deal”. Un testo che ha scontentato i falchi brexiteers, che con la loro astensione hanno messo in discussione il tentativo di ricompattamento della maggioranza sancito appena 2 settimane fa. Il piano B di
Corbyn sulla Brexit scontenta alcuni membri del Labour. 7
deputati pro-referendum bis hanno annunciato oggi l’uscita dal partito. Il gruppo sembra voler così minare le prospettive crescenti su una Brexit più soft rispetto a quella della premier Tory,
Theresa May, che costituirebbe comunque l’uscita dall’Unione europea. I ribelli giustificano la loro scissione interna e, inoltre, accusano il leader di non contrastare i fenomeni di “antisemitismo istituzionalizzato” in settori della base laburista di sinistra. I 7 deputati accusano Corbyn di essere “disgustosamente antisemitico”. Tra i dissidenti ci sarebbero Chuka Umunna, che da tempo manifestava aperto dissenso nei confrondi di Corbyn. Gli altri sono Chris Leslie, Luciana Berger, Gavin Shuker, Ann Coffey, Mike Gapes e Angela Smith. Il
no deal, ovvero
una Brexit senz’accordo, deve essere evitato a tutti i costi. Salgono le pressioni su
Theresa May all’interno dello stesso governo britannico affinché la premier apra la porta all’eventualità di un
rinvio limitato della scadenza ufficiale di divorzio fissata per il 29 marzo se il 12 marzo la sua linea fosse di nuovo respinta a Westminster. «In politica a volte si ha una
seconda possibilità», dice
Jean-Claude Juncker per presentare, impacchettato con fiocchi e merletti, il
“nuovo accordo” tra Londra e Bruxelles, poche ore prima del
voto cruciale di stasera a Westminster. Ma Theresa May di possibilità ne ha avute moltissime. Finora le aveva sempre sprecate, sarà questa la volta buona? Si tratta davvero di un accordo nuovo, che cambia quello precedente? Non esattamente. Il
withdrawal agreement non è stato riaperto, come la Ue ha ripetutamente avvertito, ma è stato
aggiunto un documento che assicura la natura temporanea del backstop, il meccanismo che manterrebbe un
confine aperto tra Irlanda e Irlanda del Nord, in caso non si raggiunga un accordo commerciale nel periodo di transizione. Una mozione che dà il via libera alla proroga del termine del 20 marzo per l’approvazione dell’accordo con Bruxelles è stata approvata dalla Camera dei comuni con 412 sì e oltre 200 no. In questo modo, May potrà
chiedere dunque all’Europa una proroga fino a giugno per far passare tutta la nuova legislazione a Westminster e chiudere questa prima fase. Passa al Parlamento britannico la mozione chiedere un rinvio della Brexit. I Comuni hanno appoggiato con uno scarto di 210 deputati – 412 contro 202 – la
mozione del governo sulla richiesta di un rinvio breve della Brexit e un terzo tentativo di ratifica dell’accordo proposto dalla premier. Nella mozione, il governo di
Theresa May ha fissato la data del 20 marzo come termine massimo entro il quale tenere un terzo voto di ratifica del suo accordo sulla Brexit. Il testo prevede che se il Parlamento approva l’accordo entro mercoledì prossimo, il governo chiederà alla Ue un rinvio al 30 giugno della data di uscita (oggi fissata al 29 marzo). Ora però la parola passa al Consiglio europeo: affinché sia concesso, servirà l’unanimità.

Brexit, un milione di persone in marcia a Londra per un nuovo referendum sull’uscita dall’Ue
Il Parlamento britannico
ha dato il via libera alla richiesta all’Ue di un rinvio “breve” della Brexit e a un nuovo voto di ratifica sull’accordo raggiunto con Bruxelles da Theresa May. I voti favorevoli sono stati 412, quelli contrari 202. Questa parziale vittoria, la prima degli ultimi mesi, le consentirà di chiedere all’Ue un rinvio “breve” della Brexit, dal 29 marzo al 30 giugno. Di più non si poteva, con le elezioni europee alle porte. Importante sottolineare, inoltre, che l’aula di Westminster non si è pronunciata contro la Brexit. Ha solo chiesto più tempo per raggiungere un accordo diverso rispetto a quello stipulato dalla premier. “
La partecipazione del Regno Unito all’Ue terminerà il primo luglio se il Paese non organizzerà le elezioni europee di maggio”. Emerge da una bozza di documento distribuita nel corso della riunione dei 27 ambasciatori dell’Ue per preparare la discussione dei leader al Consiglio europeo del 21 marzo, sulla richiesta di estensione della permanenza del Regno Unito nell’Unione, che si attende arrivi dalla premier britannica
Theresa May nei prossimi giorni. Una breve proroga sulla Brexit, fino al prossimo 22 maggio: è questo il tempo massimo che l’Unione europea sarebbe disposta a concedere a
Theresa May per strappare la problematica ratifica di Westminster sull’accordo di divorzio raggiunto a novembre. La premier britannica aveva chiesto uno
slittamento almeno fino al 30 giugno. “Il Consiglio europeo si impegna a concordare, prima del 29 marzo, una proroga breve sulla Brexit fino al 22 maggio, se l’Accordo di divorzio sarà approvato a Westminster la prossima settimana. Poiché il
Regno Unito non intende organizzare le elezioni per il Parlamento europeo, non sono possibili proroghe oltre quella data”, si legge nella bozza del testo delle conclusioni circolata – riferiscono fonti diplomatiche europee – tra i 27 capi di stato e di governo. Il Regno Unito si ferma. Per le strade della capitale si dipana una nuova “London calling”.
È quella ‘cantata’ da un milione di manifestanti inglesi. Che di Brexit, a quanto pare, non vogliono proprio sentir parlare. Le bandiere azzurre con le stelle gialle dell’Ue la fanno da padrone nella folla, oceanica, partita dalla centralissima Park Lane. Secondo i promotori della piattaforma ‘People’s Vote’ i partecipanti sono più di un milione. Una cifra record, anche se non corroborata da fonti indipendenti, che va oltre quella indicata nella manifestazione analoga svoltasi sempre nel cuore della capitale britannica nell’ottobre scorso, alla quale parteciparono ‘appena’ 700.000 persone. La Camera dei Comuni ha bocciato con 344 voti contrari e 286 voti a favore l’emendamento presentato dal primo ministro
Theresa May che chiedeva al Parlamento britannico di ratificare
l’accordo di recesso da lei negoziato con Bruxelles senza la dichiarazione politica sui futuri rapporti fra le due aree. Il Consiglio europeo aveva posto la ratifica da parte di Westminster dell’accordo di separazione come condizione per concedere una proroga dell’articolo 50 fino al 22 di maggio. In caso contrario, come si è verificato oggi, si va invece automaticamente a una proroga più ridotta al 12 di aprile. l Parlamento britannico ha
bocciato per la terza volta l’accordo negoziato tra
Theresa May e Bruxelles per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. L’accordo di fatto decade con uno scarto di 58 voti.
Il 12 aprile Londra uscirà dall’Ue senza un accordo: uno scenario catastrofico che avrà effetti pesantissimi non solo sul Regno Unito, ma anche sulla stessa Unione europea L’Unione europea ha convocato un Consiglio straordinario di emergenza e i deputati di Westminster si riuniranno per trovare un accordo alternativo.
Una richiesta a Bruxelles di prorogare di poco l’attuazione dell’articolo 50, e l’
offerta di un dialogo collaborativo al leader dell’opposizione laburista Jeremy Corbyn. Si muove lungo queste due direttrici la nuova posizione della premier britannica
Theresa May, dopo che il parlamento ha bocciato tutte le bozze per un accordo sulla Brexit.

Brexit, il Regno Unito ufficializza che andrà al voto per le Europee. Le elezioni si svolgeranno il 23 maggio
Il ministro delle finanze britannico Philip Hammond ha dichiarato che «
è molto probabile» che il Parlamento consideri l’ipotesi di un secondo referendum sulla Brexit. Lo ha detto il ministro inglese, parlando da Washington al convegno del Fondo monetario internazionale. Hammond ha però aggiunto che si aspetta un’intesa tra il governo e l’opposizione laburista nell’arco dei «prossimi due mesi», sottolineando che l’esecutivo di Londra resta contrario a una seconda consultazione sulla Brexit. Male i Conservatori di
Theresa May, non bene i Laburisti di
Jeremy Corbyn: il
voto locale parziale svoltosi giovedì nel Regno Unito punisce sullo sfondo dello stallo sulla Brexit entrambi i grandi partiti d’oltremanica, incapaci – pur con gradi assai diversi di responsabilità – di venirne finora a capo. E minaccia di ripetersi in peggio alle Europee di fine mese se governo e opposizione non riusciranno a trovare un accordo in extremis per chiudere la partita di una qualche uscita soft dall’Ue a tre anni dal referendum del 2016.
David Lidington, responsabile dell’ufficio del primo ministro britannico (Cabinet Office minister) lo ha dichiarato a margine di una nuova sessione di negoziati con l’opposizione laburista: le
elezioni per il Parlamento europeo si svolgeranno il 23 maggio nel Regno Unito, visto che il governo ha constatato di non avere abbastanza tempo per ratificare l’accordo sulla
Brexit. “Siamo impegnati nelle trattative con le opposizioni – ha spiegato Lidington -, ma visto il poco tempo che rimane
non è possibile concludere questo processo prima del termine legale per evitare le elezioni”. È “un nuovo accordo” sulla Brexit il testo della legge attuativa che
Theresa May presenterà al Parlamento britannico a inizio giugno come estremo tentativo per rompere lo stallo sulla ratifica. La premier britannica
Theresa May ha annunciato che si dimetterà il 7 giugno. Stando a quanto riferito da fonti di governo alla Bbc, May dovrebbe anche fissare un calendario per l’avvio delle procedure di nomina del suo successore, probabilmente il prossimo 10 giugno. Ha poi concluso in lacrime: “Ho servito il Paese che amo”.
Theresa May ha formalizzato oggi
le sue dimissioni da leader Tory, innescando lo start ufficiale alla corsa alla successione. Una corsa fra 11 pretendenti in lizza per aggiudicarsi la guida del partito, e a seguire la poltrona di primo ministro del Regno, i cui destini sono aperti, ma con un favorito d’obbligo a spiccare per adesso sugli altri: Boris Johnson, il più istrionico portabandiera del divorzio dall’Ue.

I liberali europei danno del burattino a Conte. Lui si offende, ma è la verità!
E’ sufficiente un’audizione di
Giuseppe Conte al Parlamento europeo per
infiammare di nuovo lo scontro tra Roma e Ue che ha tenuto banco per mesi prima dell’intesa sulla manovra economica a dicembre. Sembrava spirasse aria di bonaccia in questi primi mesi dell’anno, almeno senza scontri frontali. E invece il fuoco cova sotto la cenere, a maggior ragione man mano che si avvicinano le europee di maggio. A Strasburgo la visita di Conte, il premier del primo governo populista tra i paesi fondatori dell’Ue, trasforma l’aula in un ring, benché semi-vuota eppure niente affatto mansueta. Il capo del governo italiano diventa il punching ball degli attacchi contro i sovranisti italiani. Se l’aspettava. Tenta di mantenere la calma. Ma poi alza la voce, in un crescendo fino al punto di chiudere una frase con un “è chiaro!?”, dito alzato a rafforzare il concetto. L’Italia ha ricevuto la
lettera con cui la Commissione europa informa il governo che il paese non ha fatto “sufficienti progressi per rispettare i criteri del debito“. In sostanza, Bruxelles sostiene che il debito pubblico italiano sia troppo alto, e che il governo non abbia fatto nulla per risanarlo. “Sulla base dei dati notificati per il 2018, è confermato che l’Italia non ha fatto progressi sufficienti per rispettare il criterio del debito nel 2018”, si legge nella lettera indirizzata al ministro dell’economia Giovanni Tria. Il Presidente Conte scrive una lettera agli altri 27 membri dell’Unione Europea, al Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker e al Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk contenente molti temi tra cui la necessità di
riformare le regole europee, ormai ritenute obsolete, la collaborazione tra gli stati membri per l’immigrazione e le prospettive di crescita economica dell’Italia. Il testo della lettera del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, indirizzata agli altri 27 Paesi membri Ue, al Presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker, e al Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Il commissario italiano “se è in sala, ci sarà anche l’anno prossimo”, da commissario europeo s’intende. Matteo Salvini parla
all’assemblea di Confartigianato e piazza il suo uomo per Bruxelles: il sottosegretario
Giancarlo Giorgetti, seduto in platea. Forte del 34 per cento alle europee che lo ha portato a essere il leader del primo partito di governo, il vicepremier pianta la sua pedina nell’
unica casella a disposizione dell’Italia: il commissario europeo che le tocca di diritto come spetta a tutti i 28 Stati Ue. Ma sul cammino di Giorgetti verso Palazzo Berlaymont ci sono almeno tre ostacoli.

Emmanuel Macron e Sergio Mattarella
La crisi Francia-Cinquestelle
è studiata a tavolino, accuratamente preparata: stavolta dalla parte pentastellata del governo gialloverde. La nuova puntata non vede protagonista
Matteo Salvini, che fin dall’inizio dell’avventura di governo ha messo nel mirino
Emmanuel Macron per la chiusura delle frontiere a sud. Stavolta il protagonista è Di Maio e si riconosce l’impronta della ‘new entry’ Alessandro Di Battista. “Le parole del vice premier Luigi Di Maio – dice Di Battista, arrivando all’assemblea dei parlamentari cinquestelle alla Camera – raccontano la verità, ovvero l’assenza di sovranità monetaria in 14 paesi africani, un controllo di stampo neocoloniale portato avanti dalla Francia dal dopoguerra in poi. Una decolonizzazione non c’è mai stata ma è sotto gli occhi di tutti. Non capisco perchè vi siano delle forze in questo paese che tifino contro l’interesse nazionale”. Riferimento al Pd che oggi si è schierato con Macron contro i cinquestelle. Un blitz alla periferia di Parigi per l’
incontro ventilato da tempo con i gilet gialli: è mattina quando Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio lasciano Roma per volare in Francia e incontrare Christophe Chalençon, uno dei leader del movimento transalpino, che ha annunciato nei giorni scorsi la volontà di schierare una lista alle Europee. Con i due esponenti del Movimento ci sono anche gli europarlamentari Fabio Massimo Castaldo, Ignazio Corrao e Tiziana Beghin, che avevano già preso parte ai precedenti incontri di gennaio con i possibili alleati europei.
La Francia ha annunciato di aver richiamato l’ambasciatore a Roma per consultazioni. La decisione è stata presa in seguito «agli attacchi senza precedenti del governo italiano», secondo quanto riferisce il ministero degli Esteri francese. Si aggrava dunque la crisi tra i due Paesi
dopo settimane di tensioni che hanno riguardato sia i rapporti istituzionali che i messaggi diffusi dai leader del governo italiano in messaggi social o in occasione di comizi elettorali. Negli ultimi otto mesi la Francia è stata bersaglio di violenti attacchi da parte di Lega e M5S su migranti, deficit, Tav. L’ambasciatore di Francia a Roma, Christian Masset,
rientrerà in Italia «al momento opportuno»: questa la risposta di un portavoce del Quai d’Orsay, Nicolas Durieu, alla domanda di un giornalista sui tempi del rientro del diplomatico dopo la telefonata di ieri fra i presidenti Sergio Mattarella ed
Emmanuel Macron. Masset
era stato richiamato a Parigi per consultazioni lo scorso 7 febbraio, dopo le polemiche sul coinvolgimento del vicepremier
Luigi Di Maio con
i gilet gialli e sui controlli alle frontiere. Ma in realtà erano già diverse settimane che i rapporti tra Francia e Italia erano tesi: negli ultimi mesi la Francia è stata bersaglio di violenti attacchi da parte di Lega e M5S sui migranti, deficit, Tav.
Scontro Renzi-Le Pen alla tv francese. «Madame Le Pen, è vero, io ho perso qualche volta, ma lei ha perso sempre, a tutte le elezioni alle quali ha partecipato: le presidenziali del 2012, del 2017, le regionali… Lei era quella che difendeva la Brexit, e oggi qui a Londra c’è il caos». «L’Émission politique» è una delle trasmissioni di punta della rete del servizio pubblico France 2, condotta ieri sera per l’ultima volta dalla popolare giornalista Léa Salamé. La puntata di ieri sera ha visto il duello in diretta tra
Marine Le Pen e Nathalie Loiseau, la ministra per gli Affari europei, che alla fine del dibattito ha dichiarato che si presenterà alle elezioni, «ed è stata lei a convincermi, per combattere le sue idee, Madame Le Pen». Ma c’è stato spazio anche per un interessante scambio tra Le Pen e Renzi, in collegamento da Londra, che ha parlato in francese.
“Questo è un giorno importante per Matera, per l’Italia. Per l’Europa, che dimostra di saper riconoscere e valorizzare le sue culture”. Con queste parole il Presidente della Repubblica,
Sergio Mattarella, ha inaugurato l’anno di
Matera da Capitale europea della Cultura 2019. E’, ha aggiunto il Capo dello Stato, un “giorno di orgoglio per i materani, per la Basilicata; e per i tanti che hanno contribuito a progettare, a rendere vincente, a inverare qui la Capitale della cultura europea 2019. Giorno di orgoglio per l’Italia che vede una delle sue eccellenze all’attenzione dell’intero Continente. “Questa città – ha concluso Mattarella – è anche un simbolo del Mezzogiorno italiano che vuole innovare e crescere, sanando fratture e sollecitando iniziative”
L’accordo Ue-Giappone eliminerà le tasse sulla maggior parte degli scambi, incoraggerà gli investimenti delle imprese e garantirà la protezione dei diritti di proprietà intellettuale: il Giappone e l’Unione Europea sperano cosi di contrastare il protezionismo degli gli Stati Uniti e la guerra dei dazi con la Cina. “Una delle cose che fa questo accordo”, spiega l’economista Robert Carnell, “è ovviamente dare una sorta di certificazione geografico ad alcuni di questi prodotti: non si puo iniziare a fare la feta giapponese o un roquefort giapponese, che saranno sempre protetti dai diritti di identificazione geografica, e allo stesso modo, dalla prospettiva europea in Giappone, non si potrà produrre una contraffazione del manzo Kobe”.

Alexis Tzipras
Il governo greco ha inviato una nota diplomatica verbale alla Germania chiedendo a Berlino di discutere le
riparazioni da versare ad Atene per crimini di guerra durante la Seconda Guerra mondiale. L’esecutivo tedesco ritiene da anni la questione chiusa. Il ministero degli Esteri greco ha fatto sapere che la nota è stata presentata al governo tedesco per chiedere “il suo ingresso nei negoziati per risolvere la questione pendente delle richieste della Grecia per i risarcimenti e il risarcimento per la Prima e la Seconda Guerra mondiale”. La somma richiesta è pari 377 miliardi di euro di riparazioni di guerra : è questo il contenuto di una nota consegnata ieri dall’ambasciatore greco a Berlino, secondo quanto riferisce Bild.
Un bond a 5 anni e l’aumento dei salari minimi dell’11%. La Grecia, ex sorvegliata specialissima in Europa ormai libera dai vincoli della Trojka, puo’ finalmente decidere per se e rientrare nei giochi. Da una parte ricollocando i suoi titoli su mercati finanziari meno severi, dall’altra restituendo un po’ di ossigeno ai lavoratori vessati dagli lunghi ed estenuanti piani di aggiustamento. E’ cosi il salario minimo aumenterà da 586 a 650 euro, tornando ai livelli del 2012.
Il Partito popolare europeo (Ppe), gruppo dell’Europarlamento che raccoglie destra e centro-destra europei, ha deciso di
sospendere il partito del premier ungherese Viktor Orban, Fidesz. La decisione è stata presa ad ampia maggioranza, con 190 voti a favore e tre contrari, nel corso di un’assemblea politica del Ppe a Bruxelles. “Fidedz sarà sospeso con effetto immediato e fino a ulteriori comunicazioni a seguito del voto di oggi dei membri del Ppe”, ha comunicato su Twitter il presidente del Partito popolare europeo, Joseph Daul, precisando che la sospensione implica “la non partecipazione a nessuna riunione del partito, nessun diritto di voto e nessun diritto di proporre candidati per gli incarichi”.

Libia, è fuga internazionale: via i soldati americani e gli imprenditori italiani. Sarraj accusa Macron
Libia, è fuga internazionale. Americani via: a causa della guerra civile in atto, un contingente di forze statunitensi a sostegno del comando Usa in Africa (Africom) è stato temporaneamente trasferito dal Paese in risposta alle condizioni di sicurezza sul terreno. A riferirlo in un comunicato è Africom. “La realtà della sicurezza sul terreno in Libia sta diventando sempre più complessa e imprevedibile”, afferma il generale Thomas Waldhauser, comandante di Africom. “Anche con un adeguamento della forza, continueremo a rimanere a sostegno della strategia statunitense”. Sui media sono apparse foto di unità navali che trasferiscono il personale da Janzur, a ovest di Tripoli. Il comando Usa, assicura la nota del generale Thomas Waldhauser, “resta impegnato affinché la Libia diventi stabile e sicura”, ma “sta conducendo una prudente pianificazione militare nel tempo stesso in cui verifica le condizioni di sicurezza. Il Comando continuerà a monitorare quanto accade sul terreno, e accertare la fattibilità per una rinnovata e adeguata presenza militare”. Chiacchiere. Perché dietro alla cortina fumogena del criptico lessico militar-diplomatico, la realtà è che gli americani prendono le distanze da un Paese che è sempre più nel caos. Caos armato. Sul Venezuela
Giuseppe Conte si allinea al lavoro dell’Alto Rappresentante europeo per la politica estera
Federica Mogherini. Ma non basta. Nel governo gialloverde ci sono ancora troppi veti incrociati tra M5s e Lega sulla
crisi divenuta ormai internazionale tra il presidente Nicolas Maduro e il presidente autoproclamato
Juan Guaidò. E quindi il presidente del Consiglio non può andare avanti fino in fondo sulla via europea annunciata stamane con una nota di Palazzo Chigi. Infatti, al consiglio dei ministri degli Esteri dell’Ue a Bucarest l’Italia blocca con il suo veto la proposta di riconoscere Guaidò presidente ad interim del Venezuela fino a nuove elezioni.

Diritti Lgbt: quando è stata depenalizzata l’omosessualità nei paesi europei?
La Germania ha celebrato la
legalizzazione dell’omosessualità, avvenuta venticinque anni fa. Fino all’11 giugno 1994 era ancora considerato un crimine in Germania, anche se dal 1969 gli omosessuali non erano più perseguiti per “fornicazione”. Diciotto anni fa è diventato legale per le coppie omosessuali registrare la propria unione civile e dal 2015 è possibile adottare il figlio del proprio partner. Due anni dopo è stato legalizzato anche il matrimonio. «
Sono sposato con un uomo». Lo ha ricordato il leader lussemburghese
Xavier Bettel al Summit di Sharm El Sheikh con la Lega Araba, affrontando apertamente il tema dell’omofobia davanti ai leader di Paesi in cui troppo stesso l’orientamento sessuale viene punito anche con la pena di morte. Come racconta la giornalista di Rtl, Stefan Leifert, la reazione dei leader arabi è stata gelida, evidentemente sentendosi toccati sul vivo della loro sistematica discriminazione. Su Twitter, il premier Bettel ha aggiunto: «Restare in silenzio? Non ci ho neanche pensato».
Il premier lussemburghese si è sposato nel 2015, ossia nell’anno in cui il matrimonio egualitario è diventato legge in Lussemburgo.
Gli Stati Uniti incassano una vittoria in Consiglio di Sicurezza Onu dopo un duro braccio di ferro sulla
violenza sessuale nei conflitti armati. L’organo delle Nazioni Unite ha approvato con 13 voti a favore e due astenuti (Russia e Cina) una risoluzione volta a combattere l’uso dello stupro come arma in guerra, su cui gli Usa avevano minacciato di porre il veto perché nel testo era usato un linguaggio sull’assistenza alla “salute riproduttiva”, che per estensione costituiva il sostegno all’aborto per le vittime. Nel nuovo testo ammorbidito è stato eliminato tale riferimento, come richiesto da Washington.
L’omicidio di Pawel Adamowicz, 53 anni, ha lasciato il suo Paese e tutta la comunità internazionale sotto shock. Domenica, il ministro dell’Interno Joachim Brudzinski l’ha descritto come “un atto di barbarie inspiegabile”. Il primo ministro Mateusz Morawiecki parla di una “grande tragedia” per la Polonia, e ha offerto alla famiglia le sue condoglianze. Il presidente Andrzej Duda ha annunciato una riunione con tutti i leader di partito per organizzare una marcia contro l’odio e la violenza, mentre il presidente del Consiglio europeo ed ex premier polacco Donald Tusk, appartenente allo stesso partito (Po) di cui Pawel Adamowicz aveva fatto parte fino a sei mesi fa, ha scritto: “Il sindaco di Danzica, uomo di solidarietà e libertà, un europeo, un mio buon amico, è stato assassinato. Possa riposare in pace”.

Frank-Walter Steinmeier e Angela Merkel
La cancelliera tedesca Angela Merkel ha dato il benvenuto ad Aquisgrana agli ospiti della cerimonia della firma del Trattato che rilancia l’amicizia franco-tedesca e corrobora la collaborazione fra i due partner. Durante i saluti, sullo sfondo, si sono levati fischi e urla di protesta di una manifestazione di piazza. Il presidente francese Emmanuel Macron, arrivato in ritardo, è stato ricevuto da Angela Merkel, e dal presidente del Land Armin Laschet. Anche nei suoi confronti, come nel caso degli altri, dalla piazza sono arrivati fischi urla e cori di protesta. I due leader non hanno comunque rinunciato alla foto e hanno salutato con la mano, sorridendo, i contestatori. I dati personali di centinaia di politici tedeschi, tra cui la cancelliera Angela Merkel e il presidente Frank-Walter Steinmeier, sono stati pubblicati su internet. Ad annunciarlo è stato il governo di Berlino, senza confermare che all’origine ci sia un attacco informatico. Una portavoce dell’esecutivo ha sottolineato che “nessun dato sensibile” della cancelliera è stato reso pubblico, confermando però il suo coinvolgimento nella pubblicazione di informazioni. I dati sono stati diffusi nei giorni di Natale via Twitter, su un account basato ad Amburgo che poi è stato chiuso, ma il governo non ne ha dato notizia sino a venerdì. Nel 2015 la Russia era stata accusata di attacchi hacker in cui furono rubati dati da computer del Bundestag e l’anno scorso le reti del governo di Berlino furono prese di mira di nuovo, con sospetti di nuovo su Mosca.

Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Matteo Salvini
La
pensione di cittadinanza potrà essere percepita a partire dai 67 anni d’età. È la novità del decreto su reddito di cittadinanza e pensioni varato ieri dal Consiglio dei ministri. Nelle precedenti bozze del testo si parlava di 65 anni: “Per i nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni – si legge nel provvedimento – adeguata agli incrementi della speranza di vita”. Approvati definitivamente in Senato con 150 sì, 107 no e 7 astenuti il
reddito minimo garantito e Quota 100. Con 150 sì, 107 no e 7 astenuti l’Aula del Senato ha approvato in via definitiva il ‘decretone’ con il reddito di cittadinanza e quota 100 senza modifiche rispetto al testo licenziato dalla Camera. Il decreto, con le due misure bandiera del governo giallo-verde, è stato approvato dal consiglio dei ministri lo scorso 17 gennaio ed è stato modificato nel corso dell’iter parlamentare. Tra le principali novità, che diventano ora legge dello Stato, c’è il beneficio extra fino a 50 euro per il reddito di cittadinanza alle famiglie numerose e con disabili, il superamento del limite dei 45 anni per il riscatto agevolato della laurea, più controlli sui furbetti e paletti per i finti genitori single. Se
Matteo Salvini si era affrettato ad auto-assolversi e a parlare di un presunto spreco di denaro pubblico, è contraddicendo la richiesta di archiviazione della procura che il tribunale dei ministri di Catania ha chiesto l’
autorizzazione a procedere in giudizio nei confronti del ministro dell’Interno Salvini per il caso Diciotti. È quanto si apprende da fonti del Viminale. Il leader leghista è accusato di sequestro di persona. Il tribunale dei ministri è una sezione speciale dei tribunali dedicata ai reati commessi dai ministri e dal presidente del consiglio durante l’esercizio delle loro funzioni.
autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell’Interno Matteo Salvini continua a creare tensioni nella maggioranza di governo. Soprattutto dopo la lettera firmata dal ministro dell’Interno e pubblicata sul
Corriere della Sera, in cui il segretario della Lega difende il suo operato e chiede che “il processo non sia fatto”.
No al processo per Salvini. La Giunta delle elezioni e delle immunità del Senato
ha votato a favore della relazione del presidente e relatore
Maurizio Gasparri. I voti a favore sono stati 16 (4 della Lega,
6 del M5S, 4 di FI, uno di FdI e uno delle autonomie), sei quelli contrari: i 4 del Pd, quello di Pietro Grasso e quello di Gregorio De Falco. La proposta del senatore azzurro chiedeva di dire no alla richiesta di autorizzazione a procedere per Matteo Salvini per la vicenda Diciotti, richiesta fatta dalla procura di Catania, con l’accusa per il ministro dell’Interno di ‘sequestro di persona aggravato’ a seguito dell’impedimento dello sbarco dei 177 migranti a bordo della nave della Guardia Costiera italiana, ferma per cinque giorni di fronte al porto di Catania.
Paolo Savona sarà il prossimo
presidente della Consob, l’autorità di controllo sulla Borsa: la nomina, da settimana nell’aria, è ora praticamente certa: il consiglio dei ministeri del 5 febbraio ha «deliberato l’avvio della procedura», come si legge nel comunicato del Governo. L’incarico è
incompatibile con l’impegno ministeriale, per cui Savona non potrà restare
ministro degli Affari europei, che saranno assunti ad interim da Conte. È in Gazzetta Ufficiale il provvedimento che prevede la
dicitura “madre” e “padre” per la carta d’identità dei minorenni anziché “genitori”. Lo rende noto il Viminale. Il decreto, firmato dal ministero dell’Interno, da quello della Pubblica Amministrazione e da quello dell’Economia, porta la data del 31 gennaio 2019.

Viorica Dancila e Liviu Dragnea
Un’affluenza raddoppiata alle Europee rispetto al 2014; adesione massiccia anche al referendum consultivo su giustizia e lotta alla corruzione. Proprio mentre volge al termine il semestre romeno di presidenza del Consiglio europeo, il Paese ha fatto delle elezioni del 26 maggio un grande esercizio democratico. Un’occasione per esprimere, nelle urne, il dissenso che era stato portato in
piazza contro il governo socialdemocratico di Viorica Dăncilă, travolto alle Europee dal redivivo Partito Liberal Nazionale con il 26,95%. In Romania
Liviu Dragnea, leader del Partito socialdemocratico e presidente della Camera dei deputati, è stato
condannato a tre anni e mezzo di carcere per abuso d’ufficio. Confermata dunque in appello la sentenza del giugno scorso per una vicenda di appropriazione indebita di fondi pubblici.
Per Dragnea si sono aperte le porte del carcere. La bufera politica ha anche ribaltato i rapporti di forza: il partito di governo è stato infatti sconfitto alle elezioni europee con il 25% delle preferenze e un calo di 13 punti percentuali.
Eurovision Song Contest. Con Mahmood sembravano ritornati i tempi di Gabbani, dove la canzone italiana era molto gettonata nelle classifiche ufficiali di tutta Europa. Poi, però sappiamo come è finita, con solo un sesto posto finale e mai protagonista durante la rilevazione delle classifiche delle giurie e del televoto. Con
Mahmood, invece, è andata meglio: quarto posto per le giurie, terzo al televoto per un secondo posto finale a solo ventisette punti della canzone vincitrice olandese. Mahmood vince anche il premio collaterale per il miglior testo. Con questa edizione c’è stata una piccola variazione del regolamento. Nella rivelazione dei risultati, dopo aver dato tutti quelli relativi alle giurie; quelli che riguardano il televoto vengono dati in ordine inverso alla classifica che si è determinata dal voto delle giurie (quindi dall’ultimo al primo posto). Ospite speciale è stata
Madonna. Vince dunque
Duncan Laurence con “Arcade”. E l’Olanda è vittoriosa per la quinta volta. Alla vigilia i favoriti erano l’Olanda, la Svezia, l’Italia e la Spagna. Ma Mahmood veniva dato per vincente da quasi tutti. Durante le votazioni le giurie hanno pompato molto la Nord Macedonia, la Rep. Ceca e la Svezia; ma poi i voti popolari li hanno ridimensionate. Spinta dal televoto per Russia e per la Norvegia, che è stata sempre nella parte destra della classifica per le giurie; ma che alla fine grazie al televoto è finita quinta.