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Trumpini

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Donald Trump e Matteo Salvini

“L’Italia è il primo, più credibile, più solido interlocutore degli Usa nell’Unione Europea”, “il più grande paese europeo con cui gli Stati Uniti possono e vogliono dialogare”. Matteo Salvini parla da Washington, un viaggio che stava preparando da tempo, sulla quale il ‘suo’ fedelissimo Giancarlo Giorgetti ha lavorato da quest’inverno con diverse visite oltreoceano finalizzate proprio a spianare la strada al capo. E il leader della Lega riesce a coronare il suo ‘sogno americano’ con il 34 per cento incassato alle europee: negli Usa dove incontra il segretario di Stato Mike Pompeo e il vicepresidente Mike Pence. Gli incontri americani diventano a tutti gli effetti operazione di accreditamento del vicepremier che vorrebbe fare il premier e si comporta da tale.

Parla di Iran, Venezuela, critica la Cina malgrado il governo italiano, il suo governo, abbia appena firmato l’accordo con Pechino sulla via della seta, si sbilancia sugli F35: in una giornata, traccia la politica estera dell’esecutivo gialloverde, seminando malcontento tra i M5s e facendo il controcanto al ‘premier vero’ Giuseppe Conte anche sulla risposta che Roma deve fornire all’Unione europea per evitare la procedura per debito eccessivo.

La manovra? Salvini la vuole “trumpiana”. Da Washington rilancia la flat tax, nonostante si tratti di un progetto che stressa i conti pubblici già in affanno, per come la vedono a Bruxelles. Ma, scommette lui, “il governo italiano non si accontenterà più delle briciole”, “l’Italia non è la Grecia, che l’Europa ha ammazzato”. Non c’è storia: “il taglio delle tasse si farà”, sentenzia, assicurando la sua ‘supervisione’ sulla lettera che Conte dovrà mandare a Bruxelles entro la settimana: “L’ho sentito ieri sera, sui contenuti siamo d’accordo, il voto degli italiani parla chiaro”.

Conte invece si sforza sia di usare i toni della mediazione con l’Ue, cerca di trattare almeno sui tempi per far slittare il d-day della procedura (che potrebbe scattare all’Ecofin del 9 luglio). Ma si sforza anche di non rimanere schiacciato nel ruolo di un premier che, insieme al ministro dell’Economia Giovanni Tria e la parte più dialogante del governo, ha deciso di non urlare contro Bruxelles ma di negoziare, appunto. “Dobbiamo rivendicare un apporto critico da parte dell’Italia”, dice, la lettera conterrà un “messaggio politico”: “Il primato della finanza non offre delle chance di crescita all’Europa”.

Mercoledì vigilia del consiglio europeo che porterà il premier a Bruxelles insieme a tutti gli altri capi di Stato e di governo formalmente per discutere di nomine Ue ma anche – evidentemente – del dossier italiano, Conte incontrerà a Roma Salvini e l’altro vicepremier Luigi Di Maio, prima di inviare la lettera. E nel suo auspicio si coglie l’amarezza per il comportamento di un Salvini che gioca da battitore libero: “Dobbiamo lavorare nella stessa direzione di marcia e dobbiamo scongiurare questa procedura”.

Mentre il vicepremier leghista si fa riprendere e fotografare felice a Washington, monta il nervosismo tra le file pentastellate del governo. “Si sta accreditando – sussurrano fonti M5s – per un futuro da premier”, come spesso è successo nella storia italiana. Ma con Trump al potere, Salvini è costretto a fare sterzare poderose. E le fa. Nel governo, già da tempo avevano notato le sue uscite filo-Washington sull’Iran, sul Venezuela. E anche la sua improvvisa presa di distanza dall’accordo con Pechino sulla Cina è stata letta nella stessa maniera: eppure, a preparare l’intesa con il Celeste impero è stato un suo ‘uomo’, Michele Geraci. Ma per Salvini conta di più legare con Washington.

E allora oggi è lì a parlare con Pompeo “dei rischi alla sicurezza dalla Russia e dell’Iran, e della minaccia posta dagli investimenti predatori della Cina in infrastrutture chiave in Italia e in Europa, e della necessità di rafforzare la cooperazione sulla difesa di Usa e Italia”, informa una nota del dipartimento di Stato Usa. E, tanto per innervosire ancor di più i colleghi pentastellati e prendersi competenze che di regola sarebbero del ministro della Difesa Elisabetta Trenta, si sbilancia con Pompeo anche sugli F35: “Dal mio punto di vista gli accordi sottoscritti non si possono rimangiare. Investire in ricerca coinvolgendo forza lavoro italiana è assolutamente utile e sano”.

“Trump ha ridato un sogno, una speranza, una visione, ed è questo che voglio portare nel nostro Paese”, dice Salvini. Dopo l’Orbanizzazione, la Trumpizzazione.

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