Europa

Sei mesi in Europa – 1mo semestre 2018

Slovenia, vince la destra

Slovenia, vince la destra

Tre elezioni in questo semestre e tutte di diverso tenore. Quelle in Slovenia, che passano inosservate, confinano l’ex partito di maggioranza relativa al quarto posto e lasciano il paese in un caos poichè alla fine del semestre il partito vincitore non è stato ancora capace di trovare una maggioranza parlamentare. In Italia si configura per la prima volta in un grande paese un governo populista. In Ungheria vince facile il governo uscente, ma si alzano forte le voci di brogli. Il premier sloveno Miro Cerar ha annunciato le proprie dimissioni dopo aver preso atto dell’annullamento da parte della Corte Suprema, del referendum che aveva dato il via libera a un ambizioso progetto ferroviario sulla tratta Divaccia-Capodistria, sostenuto dal governo di centrosinistra. I risultati delle elezioni sono però sconfortanti per il governo uscente. Vince Janez Jansa con il suo Sds, partuito nazionalista e conservatore, che ha già governato in passato e che adesso e patrocinato dall’ungherese Orban.

Il Pd ha perso, l'Italia è populista

Il Pd ha perso, l’Italia è populista

In Italia le elezioni arrivano a legislatura conclusa. In campagna elettorale viene firmato l’accordo dello stato con tre regioni italiane per l’ampliamento delle proprie competenze. Due di esse, Veneto e Lombardia avevano tenuto un referendum apposito; l’altra, l’Emilia Romagna ne ha fatto a meno. Sempre in campagna elettorale Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia si fa notare essere andata appositamente a Budapest per farsi una foto con il leader populista Orban, anche lui in campagna elettorale. Le elezioni le vincono i due partiti populisti, Movimento 5 stelle e Lega. Grossa sconfitta per Forza Italia. Fratelli d’Italia ottiene un magro risultato e non riesce ad entrare nel governo perchè invisi al M5s. La quota più consistente va ovviamente al Movimento 5 Stelle, primo partito grazie al 32,66% delle preferenze che valgono 133 deputati. Sommandoli agli 88 conquistati con il meccanismo uninominale, la pattuglia grillina a Montecitorio raggiunge quota 221. A seguire, c’è la squadra del Pd, che in base al 18,7% dei voti raccoglie 86 seggi del proporzionale. Il conteggio totale del centrosinistra, che ha portato a casa anche 24 collegi uninominali, si ferma a quota 112 deputati. Nel centrodestra il 17,37% della Lega vale 73 posti, alcuni dei quali anche al Sud: uno in Calabria, uno in Basilicata, due ciascuno in Campania, Puglia e Sicilia. Sommandoli ai risultati uninominali, si stima che la Lega arrivi a 124 seggi. Forza Italia, con il 14,01 dei voti si aggiudica 59 seggi, che arrivano a 104 con l’uninominale, mentre 19 vanno a Fdi (4,35%). Sommandoli ai 109 seggi conquistati nell’uninominale, il centrodestra conta 260 deputati.

Fiducia al governo Conte

Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Matteo Salvini

Nonostante i chiari risultati, ci vogliono tre mesi per formare il nuovo governo. Gentiloni da come da rito le dimissioni e resta per gli affari correnti in attesa che il presidente Mattarella riesca a sbrogliare la matassa delle consultazioni. In fase di consultazioni il M5s cerca di elevarsi in Europa dichiarando di voler formare un gruppo con il partito del presidente francese Macron. (adesso sono con i populisti britannici di Farage). Da Parigi smentiscono subito tutto. Nonostante sia chiaro da subito che per sbloccare l’empasse si debba formare un governo tra Lega e M5s; sono molte le ipotesi che girano per i primi tre mesi di legislatura. Il Movimento 5 Stelle si chiede se formare un governo con la Lega o con il Partito Democratico di Matteo Renzi. Quest’ultimo chiuderà subito. Il centrodestra che si è presentato unito alle elezioni vorrebbe partecipare insieme a un governo con i 5stelle. Anche se Silvio Berlusconi preferirebbe che il centrodestra ne facesse uno col Pd (la Lega si dichiara indisponibile e il Pd ricambia). Alla fine Berlusconi permette alla Lega di partecipare da sola al nuovo governo, senza rompere la coalizione. E’ chiaro, però, che nessun dei due leader dei partiti vincitori, Luigi Di Maio e Matteo Salvini,  poteva diventare premier. Nel momento della peggiore empasse il presidente Mattarella tenta con un governo senza maggioranza parlamentare affidato a Carlo Cottarelli. Ma, poi, M5s e Lega trovano l’accordo nel nome di Giuseppe Conte e il governo nasce. Il governo ottiene la fiducia e nomina i ministri.

Ungheria, Orbán vince le elezioni con quasi il 50 per cento dei voti

Ungheria, Orbán vince le elezioni con quasi il 50 per cento dei voti

In Ungheria vince Viktor Orban e conquista 133 seggi su 199. Il popolare, carismatico premier nazionalconservatore e sovranista ungherese dovrebbe contare dunque sulla maggioranza dei due terzi, conquistando alle elezioni legislative svoltesi questa domenica nel Paese magiaro il 48,9% delle preferenze. Tradotto in seggi, è maggioranza assoluta e dovrebbe avere anche la maggioranza di due terzi necessaria per continuare a sviluppare il suo progetto di “democrazia illiberale” che si ispira apertamente ai presidenti russo e turco, Putin ed Erdogan. “Questa è una vittoria decisiva, in futuro saremo in grado di difendere la nostra madrepatria”, ha commentato subito dopo il risultato. «In Ungheria la competizione elettorale è stata tutt’altro che equa». A denunciarlo è stata la missione dell’Osce di monitoraggio del voto, secondo cui «la sovrapposizione dilagante tra lo Stato e le risorse del partito di governo hanno indebolito la capacità degli altri contendenti di competere sulle stesse basi». In un rapporto diffuso all’indomani delle elezioni in Ungheria, che hanno assegnato il quarto mandato a Viktor Orban (il terzo consecutivo), l’Odhir precisa ancora: «La spesa eccessiva da parte del governo per annunci pubblicitari che hanno amplificato il messaggio della campagna della coalizione di governo hanno minato la possibilità dei contendenti di concorrere» alla pari.

Martin Schulz non sarà ministro degli Esteri tedesco

Angela Merkel e Martin Schulz

Lo scorso semestre era finito con una crisi irrisolta in Germania. Non si era riusciti a formare un governo a seguito dei risultati delle elezioni tenute nello scorso autunno. Per molto tempo si era pensato a una coalizione Giamaica (Cdu con i Verdi e i liberali). Ma i dissidi tra i due partiti con cui avrebbe dovuto allearsi spingono la Cdu di Angela Merkel e ritentare un confronto con la Spd, che dopo le elezioni si era subito dichiarata indisponibile. Alla fine il compromesso si trova e il governo nasce, ovviamente dopo che i rispettivi elettorati hanno confermato l’accordo. La gestione della consultazione costa a Martin Schulz prima il posto da ministro degli Esteri, che stava per assumere, e poi quello di guida del suo partito. Al suo posto viene prima nominato un reggente e poi Andrea Nahles.

Parlamento Praga nega fiducia a Babis

Andrej Babis

In Repubblica Ceca a seguito delle elezioni dello scorso semestre, il presidente della Repubblica Milos Zeman aveva conferito l’incarico a Andrej Babis; ma il parlamento di Praga ha deciso di negargli la fiducia poichè quest’ultimo non è riuscito a formare una maggioranza parlamentare. Babis si dimette e resta in carica per gli affari correnti. Finisce un altro semestre senza che la situazione si sia sbloccata. Nel frattempo, il presidente Zeman vince le elezioni presidenziali e viene riconfermato.

Il primo ministro slovacco Robert Fico getta la spugna: sotto pressione da settimane per la crisi politica innescata dall’assassinio del giornalista investigativo Jan Kuciak, annuncia le sue dimissioni. Ma pone come condizione che il presidente Andrej Kiska accetti di riconoscere al partito del premier, il socialista-populista Smer, il diritto di nominare un successore alla guida dell’esecutivo. In sostanza chiede che venga rispettato il risultato delle elezioni di due anni fa e non ne vengano indette di anticipate. Il suo successore diventa così il suo vice premier Peter Pellegrini.

Spagna: Rajoy sfiduciato, Sanchez nuovo premier

Pedro Sanchez e Mariano Rajoy

La sentenza del caso Gurtel, lo scandalo di fondi neri e mazzette del partito popolare, sta creando un terremoto politico in Spagna che potrebbe costringere il premier Mariano Rajoy alle dimissioni. I socialisti hanno appena deciso di presentare la “mozione di censura” contro il governo che verrà discussa e votata nei prossimi giorni. Una chiave per capire come andrà a finire sarà la scelta di Ciudadanos, il partito centrista di Albert Rivera, che sostiene dall’esterno il governo Rajoy, ma ora chiede le elezioni anticipate. Dopo dieci anni di indagini, il processo del caso Gurtel si è chiuso con una raffica di condanne pesantissime, tra cui quella contro l’ex tesoriere del partito di Rajoy, Luis Barcenas. Secondo i giudici, inoltre, la testimonianza di Rajoy al processo, quando negò l’esistenza di una cassa segreta del partito dove passavano i fondi neri, “non era credibile”. Nel sistema costituzionale spagnolo, la mozione di fiducia nel momento in cui viene approvata provoca che “il capo dell’opposizione”, adesso è Pedro Sanchez del Psoe, diventa automaticamente nuovo premier e forma un nuovo governo. Per questa ragione mentre i socialisti presentano la “sfiducia”. Il parlamento spagnolo ha approvato la mozione di sfiducia presentata dal leader del Psoe, Pedro Sanchez, contro il primo ministro Mariano Rajoy. E’ passata in Parlamento la mozione di sfiduciaHanno votato a favore 180 voti a favore della sfiducia, 169 contro e un solo astenuto. Abbastanza per raggiungere la maggioranza, che era di 176 su 350. Oltre ai socialisti hanno appoggiato Sanchez anche Podemos, i partiti catalani, Erc e PDeCAT, i nazionalisti baschi del Pnv e di Bildu. Per il meccanismo previsto dall’articolo 114 della Costituzione spagnola, Rajoy e i suoi ministri dovranno presentare le dimissioni al re Felipe VI, che nominerà Pedro Sanchez nuovo capo del governo. Prima della crisi di governo l’Eta aveva annunciato il suo scioglimento e l’allora premier Rajoy aveva risposto prezzantemente. La dissoluzione dell’Eta adesso è ufficiale. L’organizzazione che ha seminato il terrore in Spagna per l’indipendenza dei Paesi baschi non esiste più. Lo ha confermato un documento nel quale i terroristi baschi annunciano che “il ciclo storico della lotta armata è finito”, che verranno sciolte tutte le sue strutture operative e che si tratta di una decisione “definitiva” perché l’Eta “non serve più”. In questi mesi, all’interno dell’organizzazione, i militanti, soprattutto i circa 400 che si trovano in carcere, hanno discusso e votato fino a raggiungere l’accordo sulla dissoluzione che, insieme al documento pubblicato in Spagna e nella zona francese dei Paesi baschi. Molto critiche sui passaggi dello scioglimento le organizzazioni dei familiari delle vittime. Per due ragioni: rivendicano che l’Eta non ha chiesto perdono a tutti coloro che ha ucciso ma solo “a vittime innocenti non coinvolte direttamente nella guerra”; e non ha collaborato in alcun modo con la giustizia per chiarire la responsabilità di quasi la metà dei crimini commessi. I 358 omicidi che hanno solo il nome di chi è stato ammazzato ma non quello di chi uccise. Gli esperti dell’antiterrorismo spagnolo valutano in circa una cinquantina i militanti dell’Eta ancora in clandestinità.

Per la prima volta nella storia una donna diventa primo ministro in RomaniaViorica Dancila, finora europarlamentare del Partito socialdemocratico, con un buon background politico professionale e accademico, è da poche ore confermata nell’incarico grazie al sí del vigile capo dello Stato, Klaus Iohannis. Si risolve così la crisi aperta nei giorni scorsi dalle dimissioni del premier Mihai Tudose, che si era ritirato per contrasti col potentissimo capo del partito socialdemocratico, Liviu Dragnea. E il piú importante Paese balcanico e maggiore membro sudesteuropeo dell’Unione europea e della Nato, spinto sul piano economico dalla crescita piú solida nella Ue, adesso conta di nuovo sulla governabilità. Lo spettro di elezioni anticipate è fugato, vediamo se la prima donna al timone a Bucarest ce la farà.

Il Fn si trasforma. Jean-Marie Le Pen è fuori dal partito

Marine Le Pen

Francia. Il Front National ha messo definitivamente fuori dal partito il fondatore Jean-Marie Le Pen. La decisione, votata nel corso del congresso a Lille dal 79,9% degli iscritti che ha approvato il nuovo statuto che cancella la carica di presidente onorario, è il culmine di una campagna della figlia Marine, 49 anni, l’attuale leader, per ripulire l’immagine del partito da quando, nel 2011, successe al padre e fondatore del FN, Jean-Marie. L’anziano Le Pen era stato espulso dal partito nel 2015 per i suoi ripetuti commenti che minimizzavano l’Olocausto, ma il tribunale aveva stabilito il mantenimento della carica di presidente onorario, in teoria autorizzandolo a partecipare alle riunioni degli organi direttivi del partito. Nicolas Sarkozy è in stato di fermo a Nanterre. L’ex presidente francese è stato convocato nell’ambito dell’indagine sul possibile finanziamento da parte della Libia della sua campagna elettorale del 2007. Al centro dell’inchiesta sui presunti finanziamenti dell’allora dittatore libico Muammar Gheddafi a Nicolas Sarkozy ci sarebbero 5 milioni di euro in denaro contante. È la prima volta che Sarkozy viene interrogato su questo tema dall’apertura di un’indagine giudiziaria, nell’aprile 2013. Lo stato di fermo può durare fino a un massimo di 48 ore. Sarkozy potrebbe essere costretto a presentarsi davanti ai magistrati, al termine dei due giorni di custodia, per essere incriminato. Anche l’ex ministro e fedelissimo Brice Hortefeux è stato interrogato questa mattina, ma in libera audizione e contrariamente a Sarkozy non è in stato di fermo. Il Partito Socialista francese si riorganizza e dopo le numerose uscite dei mesi scorsi e il disastroso risultato elettorale elegge un nuovo segretario: Olivier Faure. Prima di esporre la sua linea, Faure si è voluto togliere qualche sasso dalla scarpa del suo partito. Il primo era per il presidente Macron, che prima di candidarsi all’Eliseo aveva proclamato la “sua fedeltà” alla sinistra quando era ancora ministro dell’Economia durante il mandato di François Hollande. Il secondo per Manuel Vallse Benoit Hamon, rispettivamente ex premier ed ex ministro poi candidato alle elezioni, entrambi colpevoli di aver abbandonato la nave all’indomani del disastroso risultato delle presidenziali.

Nicos Anastasiades si conferma presidente di Cipro. Il risultato del ballottaggio di domenica è schiacciante a favore del candidato del centro destra: 56% contro il 44% dello sfidante Stavros Malas. Sono i dati ufficiali del servizio elettorale del ministero dell’interno cipriota. Ufficialmente il dato è: 55,99% per Anastasiades, 44,01% per Malas. Per Anastasiades, 71 anni, si è trattato di una vittoria più larga del previsto, dopo una campagna elettorale piuttosto polemica. Ora il presidente dovrà affrontare soprattutto il problema della crisi economica che sta attanagliando l’isola. Tra i cronici temi da affrontare, anche quello della capitale Nicosia, divisa tra una metà turco-cipriota e una metà greco-cipriota.

Groenlandia, premier confermato tra povertà e voglia di indipendenza

Sara Olsvig

Il principe Henrik, nato in Francia e marito della regina Margherita II di Danimarca, è morto a 83 anni. “Sua altezza reale il principe Henrik è morto martedì, 13 febbraio, alle 23.18 al castello di Fredensborg”, ha fatto sapere con una nota il palazzo reale, precisando che al suo fianco erano la moglie e due figli. Il palazzo aveva avvertito che il principe, ricoverato in ospedale dal 28 gennaio per un’infezione ai polmoni, era stato riportato a casa “perché vi trascorresse i suoi ultimi giorni”. In Groenlandia la sinistra radicale guidata da una donna carismatica, Sara Olsvig, ha  perso le elezioni svoltesi ieri. Il premier uscente Kim Kielsen, socialdemocratico moderato, ha vinto le consultazioni avvenute sullo sfondo di voglia d´indipendenza e gravissimi problemi sociali ed economici nell´isola piú grande del mondo. Secondo i dati provvisori diffusi dalla radio locale KNR (Kalaallit Nunaata Radioa) e dal sito di Sermitsiaq, il principale giornale groenlandese, e relativi a quasi trentamila voti espressi su 40mila aventi diritto, il partito di Kielsen, il Siumut, ha avuto il 27,2 per cento confermandosi primo partito ma perdendo molti consensi rispetto al 34 per cento del 2014.

Estonia: Kallas, nuova presidente Er

Kaja Kallas

Il più grande partito politico estone ha scelto un nuovo leader, il suo terzo in quattro anni, in quanto cerca di ripristinare la popolarità e riparare la sua immagine offuscata tra gli elettori in vista delle elezioni parlamentari del prossimo anno. I delegati del partito per il Partito di Riforma di centro-destra hanno votato sabato per eleggere Kaja Kallas. L’avvocato quarantenne e deputato al Parlamento europeo sarà la prima donna leader di un importante partito politico nel paese baltico.

Rui Rio, economista di 60 anni ed ex sindaco di Porto, è stato eletto alla guida della principale formazione politica di opposizione in Portogallo, il Partito socialdemocratico (Psd), di centrodestra. Ha ottenuto il 54,4 per cento dei voti dei circa 44mila militanti che hanno partecipato a questa votazione interna, rispetto al 45,6 per cento del suo avversario, l’ex primo ministro Pedro Santana Lopes di 61 anni.

Regno Unito, Corte Supema conferma l'Alta Corte su Brexit: dovrà esssere votata da Parlamento

Regno Unito, Corte Supema conferma l’Alta Corte su Brexit: dovrà esssere votata da Parlamento

Il Regno Unito è destinato a perdere punti di Pil dopo la Brexit, secondo un rapporto interno realizzato per conto dello stesso governo britannico e fatto trapelare nelle ultime ore da Buzzfeed, che ipotizza effetti negativi per tutti i settori dell’economia. Il documento stima una perdita di 8 punti di Pil entro 15 anni in caso di un “no deal” (mancato accordo con l’Ue), di 5 punti se si raggiungerà un’intesa di libero scambio e di 2 punti se il Regno resterà nel mercato unico e nell’unione doganale. Theresa May illustra i cinque principi che dovrebbero regolare i nuovi rapporti commerciali tra Regno Unito e Unione Europea. Per prima cosa, ha detto la premier nel discorso che sta tenendo alla Mansion House, a Londra, dovranno esserci «impegni reciproci e vincolanti per garantire una concorrenza equa e aperta». “Un passo decisivo, ma c’è ancora strada da fare” per arrivare al traguardo. Unione Europea e Gran Bretagna annunciano così di avere raggiunto un accordo di massima sul “periodo di transizione” in cui, al termine del negoziato sulla Brexit fissato entro il 29 marzo 2019, tutto resterà com’è ora fino al 31 dicembre 2020, ovvero per quasi altri due anni. In una conferenza stampa stamane a Bruxelles, il capo negoziatore europeo Michel Barnier e il suo collega britannico David Davis hanno ammesso che ci sono ancora questioni da risolvere nella trattativa, ma sono stati fatti “progressi” e un’intesa è “vicina”. Le due piazze della Brexit distano pochi metri, ma parlano due lingue completamente diverse. I maxi schermi che sono stati allestiti nella piazza degli europeisti, a due passi dal Parlamento, proiettano i volti placidi e distesi dei paladini della soft Brexit, che salgono sul palco e chiedono a gran voce di avere un secondo referendum dopo l’accordo con la Ue. Gli oratori non vengono tutti dalla stessa parrocchia, anzi. C’e Anna Soubry, deputato conservatore, che mercoledì scorso ha votato, contro le indicazioni del suo stesso partito, a favore di un emendamento che avrebbe lasciato il verdetto della Brexit nelle mani del Parlamento. Prima di lei, era salito sul palco David Lammy, storico volto di punta del Partito Laburista, già ministro nel governo Brown, che ha inveito contro il suo stesso leader: “Jeremy Corbyn, riesci a sentirmi?”.

Usa e Ue uniti contro la Russia. Espulsi oltre 100 diplomatici

Usa e Ue uniti contro la Russia. Espulsi oltre 100 diplomatici

Rullano i tamburi di guerra, anche se per ora è guerra di parole, fra Londra e Mosca sulla vicenda del tentato avvelenamento con un micidiale agente nervino, domenica 4 marzo a Salisbury, dell’ex spia russa Serghei Skripal e di sua figlia Yulia. Una vicenda che si colora di nuovi misteri, fra accuse incrociate, sospetti sempre più tenebrosi, minacce ormai incombenti di sanzioni e contro-sanzioni, ombre di rappresaglie diplomatiche e forse non solo. Mentre l’Occidente si ricompatta al fianco del Regno a colpi di dichiarazioni. Con una mossa senza precedenti, il mondo occidentale si compatta e lancia la sfida a Vladimir Putin, espellendo più di cento diplomatici del Cremlino. Gli Stati Uniti al fianco dell’Europa, a sua volta stretta attorno alla Gran Bretagna a tre settimane dall’attacco con il gas nervino avvenuto a Salisbury. È uno scenario che rievoca gli anni della Guerra Fredda. Per Mosca si tratta di «pura provocazione», alla quale intende rispondere a tono. E a quel punto sarà la Russia contro tutti.

Intesa Macedonia-Grecia sul nuovo nome dello stato di Fyrom

Zoran Zaev e Alexis Tsipras

Dopo circa otto ore di negoziato, l’Eurogruppo ha raggiunto un accordo di principio sull’uscita della Grecia dal programma di aiuti che contiene, tra l’altro, misure per alleggerire il debito. Secondo quanto si apprende, i ministri dell’Eurozona hanno poi deciso che l’ultima tranche di prestiti sarà di 15 miliardi di euro. In base all’accordo, la Grecia può posticipare di 10 anni il pagamento dei 110 miliardi di euro di prestiti ricevuti dal vecchio fondo salva-Stati Efsf, e viene esteso di ulteriori 10 anni il ‘periodo di grazia’ (cioè quello in cui non scattano sanzioni se non si ripaga il prestito). I 15 miliardi della tranche di aiuti finale daranno al Governo un buffer di capitale che coprirà tutti i bisogni finanziari del prossimo anno. “La Grecia lascia il programma di aiuti con un’economia più forte, ottenuta grazie alle riforme, ed è importante che prosegua nello sforzo di riforma”, si legge nel comunicato finale dell’Eurogruppo. Macedonia e Grecia hanno firmato ufficialmente l’accordo sul cambio di nome del Paese ex jugoslavo in Repubblica di Macedonia del nord. A siglare il documento d’intesa, in una cerimonia sul versante greco del Lago di Prespa, sono stati i due ministri degli esteri, il macedone Nikola Dimitrov e il greco Nikos Kotzias, alla presenza dei premier Zoran Zaev e Alexis Tsipras, del mediatore Onu Matthew Nimetz, dell’Alto rappresentante Ue Federica Mogherini e del commissario europeo all’allargamento Johannes Hahn. Anche con la Bulgaria ora le cose vanno meglio. Sofia ha sempre considerato la lingua macedone un dialetto di quella bulgara e non ha mai riconosciuto l’indipendenza della Chiesa ortodossa di Macedonia; così nel 2012 si era unita ad Atene sul veto all’entrata di Skopje nell’Unione. Ma di recente Fyrom e Bulgaria hanno stretto un accordo di buon vicinato che dovrebbe eliminare anche questo ostacolo. Infine, la scorsa primavera, con un atto di pragmatismo politico e di realismo storico, il governo socialdemocratico di Skopje ha riconosciuto l’albanese come seconda lingua nazionale, squarciando l’isolamento della minoranza schipetara, che vale circa un quarto della popolazione.

Merkel, Macron e May: "Stop ai dazi Usa o L'Europa si difenderà"

Emmanuel Macron, Theresa May e Angela Merkel

Angela Merkel calca il palcoscenico di Davos per la decima volta e lo fa mandando un messaggio molto chiaro a Donald Trump e a chi ne minimizza la deriva protezionistica. La cancelliera ha aperto la sua relazione davanti alla platea del Forum economico mondiale ricordando l’anniversario della fine della Prima guerra mondiale, quando l’Occidente protezionista – e qui la cancelliera cita un famoso libro sulla Grande guerra – scivolò “nottambulo” nel conflitto. Angela Merkel, Emmanuel Macron e Theresa May ammoniscono gli Usa: non impongano dazi alle merci dell’Ue o l’Unione si difenderà, a tutela dei propri interessi. La posizione comune, ha riferito un portavoce tedesco citato dai media internazionali, è stata concordata durante una telefonata tra i leader di Germania, Francia e Regno Unito: “Gli Usa non devono prendere alcuna misura commerciale contro l’Ue, altrimenti l’Ue sarà pronta a difendere i propri interessi nel quadro delle regole del commercio multilaterale”, ha affermato.

Nucleare Iran, Trump annuncia: Usa fuori da accordo. Le reazioni.

Donald Trump

Macron fa il duro, Merkel si sfila, Gentiloni la segue, May si mobilita. Le grandi manovre siriane, in attesa dell’attacco, confermano che l’Europa si muove in ordine sparso, senza una linea comune che non sia la condanna dell’uso di armi chimiche e l’esigenza di un disarmo di Damasco. Italia e Germania da una parte, Francia e Gran Bretagna dall’altra. Roma con Berlino si sfila da iniziative militari, Parigi con Londra prepara l’azione. Donald Trump ha annunciato che la sua amministrazione si ritira dall’accordo sul nucleare iraniano firmato nel 2015 con l’Iran e con i Paesi del Consiglio di sicurezza Onu più la Germania. Ma di più: Trump ha anche chiarito che la sua amministrazione farà partire al più presto nuove sanzioni molto dure contro l’Iran per scongiurare che “il regime che sostiene il terrorismo in tutto il Medio Oriente possa arrivare alla bomba nucleare”. Teheran “non abbandonerà l’accordo sul nucleare”, un’intesa che gli Usa “non hanno mai rispettato”, ha replicato a stretto giro il presidente iraniano Hassan Rouhani in diretta tv. Rouhani ha aggiunto che Teheran continuerà ad andare avanti sull’intesa con gli altri firmatari.

Catalogna, interrogati Puigdemont e i suoi 4 ex ministri

Charles Puigdemont

Il gip del Tribunale Supremo di Madrid Pablo Llarena ha respinto la richiesta della procura di firmare un nuovo mandato di arresto europeo contro Carles Puigdemont che oggi è giunto dal Belgio in Danimarca per partecipare ad una conferenza sulla Catalogna. Puigdemont da 80 giorni era fuggito in Belgio per evitare l’arresto. Fu sempre lo stesso Pablo Llarena che il 5 dicembre scorso ritirò i mandati d’arresto internazionali a carico di Puigdemont e degli altri quattro ex ministri catalani destituiti che si trovano in Belgio, lasciando però in vigore il mandato d’arresto per la Spagna. Telecinco ha sbirciato i messaggini, molto pessimisti, del presidente catalano destituito a un ex consigliere del Parlamento: “Il piano della Moncloa trionfa, i nostri ci hanno scaricato. Stiamo vivendo gli ultimi giorni della Catalogna repubblicana”. Il leader indipendentista conferma la veridicità della chat e aggiunge: “E’ stata violata la mia privacy. Ma io non mollo”. I messaggi sono stati ripresi da una telecamera di Telecinco mentre Comín, deputato di Esquerra repubblicana partecipava ad una conferenza in Belgio. Li avrebbe inviati Puigdemont mentre a Barcellona migliaia di manifestanti protestavano ieri per il rinvio del voto al Parlamento. Il presidente deposto catalano, Carles Puigdemont, ha annunciato in un video diffuso attraverso le reti sociali che rinuncia “in maniera provvisoria” alla propria candidatura alla rielezione alla presidenza della Generalità ed ha proposto come candidato il numero due della sua lista JxCat, Jordi Sanchez, detenuto per presunta ‘ribellione’ a Madrid. Il leader indipendentista, Jordi Sanchez, in detenzione preventiva a Madrid da quattro mesi, ha formalmente rinunciato a essere candidato alla presidenza della Generalità. A renderlo pubblico il presidente del Parlamento catalano Roger Torrent, che ha anche annunciato che domani aprirà un nuovo giro di consultazioni con le forze politiche per individuare un nuovo candidato. Il passo indietro di Sanchez apre la strada ad un altro candidato che, secondo i media, potrebbe essere l’ex ministro regionale Jordi Turull. Per quanto indagato, Turull non si trova in carcere e potrebbe assumere l’incarico. Carcerazione preventiva per Jordi Turull, l’ex consellers del governo catalano indicato dai nazionalisti per sostituire Carles Puigdemont alla presidenza della Generalitat, e altri quattro esponenti della leadership che il 27 ottobre scorso dichiarò l’indipendenza unilaterale della Catalogna. Insieme a Turull vanno in carcere Raül Romeva, che era il ministro degli Esteri catalano, Carme Forcadell, che era la presidente del Parlamento, e altri due ex consellers, Josep Rull e Dolors Bassa. Mentre la segretaria generale di Esquerra repubblicanaMarta Rovira, ha evitato il carcere fuggendo ieri notte in esilio verso la Svizzera. È quello che ha deciso al termine di una giornata di interrogatori il giudice del Tribunale supremo, Pablo Llarena, su richiesta del procuratore dello Stato perché “ci sono il rischio di fuga e quello di una reiterazione del reato”.  L’ex-presidente catalano in esilio Carles Puigdemont contro il quale la Spagna ha emesso una nuova euro-richiesta di arresto ed estradizione, è stato fermato dalla polizia tedesca mentre attraversava in auto la frontiera fra la Danimarca e la Germania, proveniente dalla Finlandia e diretto in Belgio, dove risiede: lo ha indicato a Efe il suo avvocato Jaume Alonso- Cuevillas. Puigdemont è trattenuto in attesa di accertamenti. Puigdemont è stato fermato alle 11.19 su un’autostrada dello Schleswig Holstein mentre procedeva in direzione sud proveniente dalla frontiera danese, ha confermato alla Efe un portavoce della polizia tedesca. L’ex presidente catalano è trattenuto in un commissariato tedesco, ha detto il suo avvocato. Puigdemont, che ha lasciato venerdì sera la Finlandia, aveva intenzione di mettersi a disposizione delle autorità belghe non appena rientrato a Bruxelles. Un durissimo colpo da cuore dell’Europa al teorema accusatorio di Madrid contro i leader catalani: il tribunale tedesco dello Schleswig Holstein questa sera ha respinto l’accusa chiave di ‘ribellione’ contenuta nella richiesta di estradizione contro Carles Puigdemont e lo ha rimesso in libertà provvisoria fino al termine della procedura. Puigdemont può ancora essere estradato a Madrid, ma solo per il secondo reato, minore, che gli è stato contestato, quello di presunta ‘malversazione di fondi pubblicì per il finanziamento del referendum di indipendenza del 1 ottobre. Subito scintille fra Barcellona e Madrid all’indomani dell’elezione del nuovo presidente catalano, l’indipendentista Quim Torra. L’aria si è fatta incandescente con l’annuncio oggi della composizione del nuovo Governo, con 4 ministri su 13 in carcere a Madrid o in esilio, accusati di ‘ribellione’ dalla giustizia spagnola per avere portato avanti con il precedente presidente Carles Puigdemont il progetto politico dell’indipendenza.

Gentiloni-Macron-Merkel a Bruxelles, impegno comune su immigrazione e "per battere populismi"

Emmanuel Macron, Angela Merkel e Paolo Gentiloni

Il fenomeno migratorio ha interessato molti paesi europei in questo semestre, sopratutto quelli in campagna elettorale come l’Italia o l’Ungheria, o quelli che c’erano appena stati come l’Austria. Prima delle elezioni italiane in un vertice tra Gentiloni, Merkel e Macron si era raggiunta un’intesa di massima. La cooperazione e la collaborazione in Europa per un impegno in Africa e nel Sahel “è il modo in cui l’Europa lavora, lavora insieme ed è il modo migliore per battere le posizioni populiste e antieuropee”. Lo dice il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, al termine della conferenza del G5 Sahel, in una dichiazrione congiunta assieme alla cancelliera tedesca Angela Merkel e al presidente francese, Emmanuel Macron. Ma subito qualcosa non è funzionato. Il caso Bardonecchia piomba sulla politica italiana a pochi giorni dal primo giro di consultazioni, chiamando i leader a un inaspettato test di politica estera proprio durante il mini break pasquale. Agenti doganali francesi, in spregio a ogni intesa doganale, entrano armati in una sala della stazione dove operano volontari che assistono i migranti della rotta delle Alpi. Senza avvertire le autorità italiane né la polizia locale. La denuncia presentata dall’ong Rainbow4Africa, che collabora con il Comune di Bardonecchia per fornire assistenza ai migranti respinti dalla Francia e a quelli che tentano la traversata tra le montagne, alimenta ben presto un caso che è diplomatico e politico insieme. Diplomatico perché è subito la Farnesina, e con essa il governo italiano, a chiedere chiarimenti a Parigi convocando l’ambasciatore francese a Roma, per poi respingere la versione francese con un comunicato durissimo in cui si mette “in discussione la collaborazione transfrontaliera Italia-Francia”. E politico perché la questione tocca i nervi scoperti della società italiana, come è emerso dalle urne neanche un mese fa: l’immigrazione, da un lato, e l’insofferenza verso l’Europa dall’altro. Anche l’Austria fa una sua mossa contro i confini italiani. L’Italia protesta contro la decisione dell’Austria di aprire i propri consolati anche ai sudtirolesi. «Il progetto di legge austriaco sulla protezione consolare per gli altoatesini di lingua tedesca e ladina si configura come assolutamente non conforme alle norme Ue in materia di cittadinanza europea e in materia consolare e del tutto contrario al diritto internazionale. L’Austria apre i suoi consolati ai sudtirolesi di lingua tedesca e ladina. In caso di necessità all’estero, potranno rivolgersi a un consolato austriaco, anche se nel paese in cui si trovano esiste una rappresentanza italiana. Lo prevede un disegno di legge che il governo Kurz ha trasmesso al Parlamento per adeguarsi alle normative Ue. Come già avvenuto nel dibattito sul doppio passaporto, Vienna fa esplicitamente riferimento al gruppo linguistico tedesco e ladino, perché cadono sotto la «funzione tutrice» dell’Austria. L’Austria ha ritirato il disegno di legge per la protezione consolare degli altoatesini. Si è concluso così il braccio di ferro tra Roma e Vienna sui sudtirolesi di lingua tedesca e ladina. A darne notizia con “soddisfazione” è stato il ministro degli Esteri Angelino Alfano. L’iter del procedimento legislativo è stato bloccato e lo stop al testo, sottolinea Alfano, “è la giusta risposta all’impegno e alla solerzia con cui la Farnesina ha seguito la vicenda sin dall’inizio, fino ad arrivare a dare, proprio ieri, indicazioni precise – al nostro ambasciatore a Vienna – di resentare le giuste ragioni dell’Italia, presentando una formale lettera di protesta al governo austriaco”.

Conte vanta il successo del vertice immigrazione, ma l'accordo si sfalda nel giro di una mattinata

Giuseppe Conte e Emmanuel Macron

Dopo le tensioni con la Tunisia, il ministro dell’Interno Matteo Salvini se la prende con Malta. Il botta e risposta inizia con Salvini che accusa Malta di “dire sempre di no a qualsiasi richiesta di intervento” per salvare i migranti. Segue la risposta di La Valletta, che bolla come false le accuse del neoministro italiano. Il quale contrattacca: “Gli amici maltesi ci dicano quante navi hanno attraccato nei loro porti nel 2018”.  Il primo ministro socialista Pedro Sanchez ha annunciato che la Spagna permetterà alla nave Aquarius con oltre 600 migranti a bordo di attraccare a Valencia. Lo ha fatto sapere la Moncloa. Poco prima dell’annuncio del premier spagnolo sia la sindaca di Barcellona, Ada Colau, che il sindaco di Valencia, Joan Ribo, si erano offerti di accogliere nelle rispettive città la nave con 629 migranti a bordo, unendosi così ai sindaci di numerosi porti italiani. “Non possiamo guardare dall’altra parte”, ha detto Colau al Forum di Nueva Economia, lanciando un appello a collaborare al nuovo governo spagnolo di Pedro Sanchez. Appello prontamente accolto dal premier. Lunga e cordiale telefonata nella notte tra il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte. Lo si apprende in ambienti di governo. A chiamare è stato il presidente francese. La soluzione al fenomeno migratorio deve essere europea. Al suo primo bilaterale italo-tedesco, Giuseppe Conte trova una certa sintonia con Angela Merkel, proprio nel momento in cui la Cancelliera ne ha estremo bisogno. Non era scontato, eppure è successo: frutto di interessi in comune. Lei cerca il sostegno italiano – come farà domani nel bilaterale con Emmanuel Macron a Berlino – per contenere il suo ministro degli Interni Horst Seehofer, autore di un duro piano di respingimenti dei profughi in arrivo in Germania. Lui, premier appena arrivato alla guida dell’inedito governo gialloverde, cerca di contenere Matteo Salvini, che ogni giorno continua a spararla grossa – anche sul “censimento dei rom” – mettendo sotto stress l’alleanza con i M5s, seppure senza segni di rottura. E’ impensabile che l’Italia, in questo momento, possa farsi carico dei cosiddetti movimenti secondari che sono negli altri Paesi europei, specie dopo che in più occasioni si è riconosciuto che il nostro Paese è quello più esposto ai flussi migratori. E’ questa, a quanto si apprende da fonti del governo, la posizione che il premier Giuseppe Conte ha espresso al presidente del Consiglio europeo nel corso del vertice di oggi a Palazzo Chigi. “Il nemico numero uno”. A poche ore dal vertice di Bruxelles che nelle intenzioni avrebbe dovuto aprire la strada a un accordo in vista del Consiglio Ue di fine mese, l’Italia si trova sempre più sola. Un ulteriore colpo alle speranze del governo è arrivato oggi da Parigi. “Chiediamo che non ci sia una gestione caso per caso, proporremo domani uno schema chiaro: che lo sbarco di migranti rispetti le regole e i principi umanitari di soccorso e che avvenga nel porto sicuro più vicino”. Un colloquio di 90 minuti per risolvere il caso della nave Lifeline. A quanto si apprende ieri il premier italiano Giuseppe Conte e il presidente della Repubblica francese, Emmanuele Macron, si sono incontrati a Roma per parlare di migranti. L’incontro si è svolto alla Casina Valadier, prima della visita del capo di Stato francese al Papa. “Vi invito ad accettare un fatto nuovo e inaccettabile per molti paesi fino a ieri sera: e cioè che ci fossero riferimenti ad ‘azioni condivise’ anche nel soccorso e nel salvataggio in mare, un principio mai affermato prima. Lo abbiamo affermato nei fatti con Aquarius e Lifeline, adesso è scritto: ‘shared actions and effort’”. Conferenza stampa di Giuseppe Conte al termine del consiglio europeo. Il premier italiano si sforza di esaltare i risultati ottenuti nel documento conclusivo. Ma questa è una storia di parole e contraddizioni, visibili sia nel documento stesso che nelle dichiarazioni dei leader a fine vertice. Solo parole, come spesso succede nei consigli europei, certo. Un po’ poco per un premier che chiedeva “fatti” al suo debutto a Bruxelles.

Agenzia del farmaco, la Corte Ue: "Ricevuti i ricorsi dell'Italia e del Comune di Milano"

Agenzia del farmaco, la Corte Ue: “Ricevuti i ricorsi dell’Italia e del Comune di Milano”

La Corte di giustizia europea ha annunciato via Twitter che sono arrivati i due ricorsi per l’impugnazione dell’assegnazione dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) ad Amsterdam anziché a Milano: uno è del governo italiano alla Corte di giustizia dell’Ue con la richiesta di annullare la decisione del Consiglio Ue; e l’altro del Comune di Milano davanti al Tribunale dell’Ue, anche in questo caso con la richiesta di annullamento della decisione del Consiglio. Il ricorso presentato da Milano per sospendere la decisione di assegnare ad Amsterdam la sede Ema “è irricevibile” per due motivi: “Carenza di legittimazione passiva” e “difetto assoluto di giurisdizione del Tribunale a pronunciarsi sull’atto impugnato”. E’ quanto si legge nella memoria dell’Ufficio giuridico del Consiglio Ue, che propone al Tribunale dell’Unione europea di “rigettare la domanda di sospensione in via cautelare e di condannare il ricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento”. Il Parlamento europeo ha approvato la normativa che autorizza il trasferimento dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) da Londra ad Amsterdam, in seguito all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Riuniti in sessione plenaria, gli eurodeputati hanno tuttavia esortato la Commissione europea e le autorità olandesi affinché siano rispettate le scadenze per la consegna degli edifici adibiti alla nuova sede di Ema, al fine di consentire all’Agenzia di trasferirsi nella sede temporanea entro il primo gennaio 2019 e nella nuova sede permanente entro il 16 novembre 2019. La risoluzione è stata approvata con 507 voti in favore, 112 voti contrari e 37 astensioni. L’Europarlamento europeo ha chiesto inoltre al Consiglio e alla Commissione di essere incluso nel processo di decisione sull’assegnazione delle agenzie Ue dando così il via libera al cosiddetto “trilogo”. I deputati avvieranno infatti negoziati informali a tre con la presidenza del Consiglio e con la Commissione, al fine di raggiungere un accordo in prima lettura sulla nuova sede dell’Ema.

Irlanda, vincono i Sì all'aborto.

Irlanda, vincono i Sì all’aborto.

Non è servito nemmeno aspettare lo spoglio per sapere come è andata a finire. Gli exit poll avevano spianato la strada a chi combatteva per allegerire le norme sull’aborto vietato in Irlanda: quasi il 70% degli irlandesi è a favore dell’abrogazione dell’emendamento 8 (la campagna Repeal the 8), aprendo così la possibilità di una legge sull’aborto. Che arriverà entro l’anno dice ora il premier Leo Varadkar, poche ore dopo che gli antiabortisti hanno ammesso la sconfitta. Al termine di un’accesa campagna elettorale – in cui gli antiabortisti hanno puntato sull’Irlanda rurale e i sostenitori del ‘sì’ hanno incoraggiato i giovani a votare – circa 3,5 milioni di elettori erano chiamati a scegliere se abrogare l’8° emendamento della Costituzione, introdotto nel 1983, che vieta l’aborto in nome del diritto alla vita del nascituro, che viene definito “uguale a quello della madre”. Ciò che è successo, di fatto, è che negli ultimi 35 anni decine di migliaia di donne sono andate ad abortire all’estero. Respinto dalla Corte Suprema britannica il ricorso di una ong contro le restrizioni imposte all’interruzione di gravidanza in Irlanda del Nord, unica nazione del Regno Unito dove l’aborto è consentito solo se la donna è in pericolo di vita. Dopo che anche in Irlanda, con un referendum, l’aborto è stato legalizzato fino alla dodicesima settimana, molte donne nordirlandesi si sentono ora discriminate. Il parlamento svedese, invece, ha approvato a grande maggioranza una legge sulla violenza sessuale che inasprisce le pene ma, soprattutto, riconosce che il sesso senza consenso esplicito è stupro. La chiave della legge, che entrerà in vigore dal primo luglio è, appunto il consenso, che non può essere, per esempio, sottinteso o dedotto dalle circostanze, e neppure evinto dal un «atteggiamento passivo» di una delle parti in causa. Il parlamento danese, infine, ha approvato una proposta di legge che proibisce l’uso nei luoghi pubblici di indumenti che coprono il viso, come il burqa e il niqab e punisce in trasgressori con sanzioni economiche. La legge, approvata con 75 voti a favore e 30 contrari, entrerà in vigore il prossimo primo agosto e prevede che nei luoghi pubblici la polizia possa chiedere alle donne di togliere il velo che copre il viso o di tornare a casa.

Grecia, approvata legge per adozioni a coppie lgbt

Grecia, approvata legge per adozioni a coppie lgbt

Grecia. Dal 9 maggio le coppie omosessuali potranno avere bambini in affido. Certo, le adozioni sono ancora off-limits e questa possibilità è aperta solo alle coppie unite civilmente, ma resta comunque una decisione spartiacque. Il primo ministro greco, Alexis Tsipras ha accolto con soddisfazione l’esisto del voto del 9 maggio: 161 voti a favore e 103 contrari. Il suo partito, Syriza, è stato tra i sostenitori di questa nuova legge, nonostante l’opposizione di molti esponenti degli Indipendenti Greci (Anel), partito di destra interno alla coalizione. “L’affido è la strada per far sì che il bambino possa tornare dai suoi genitori naturali, coi quali deve mantenere un contatto durante il periodo dell’affido”, ha detto Tsipras all’agenzia Athens-Macedonian. “Non sarebbe un’esagerazione dire che l’affido sia un atto di altruismo e solidarietà da parte di chi decide di intraprendere questa strada”. Resto d’Europa. I ricercatori del Williams Institute dell’UCLA hanno analizzato i risultati di 11 diversi sondaggi per sviluppare il proprio LGBTQ Global Acceptance Index, che classifica il livello di accettazione sociale delle persone LGBTQ nei vari paesi mondiali (sono 196 i paesi riconosciuti dall’Onu). In 89 casi il livello riscontrato è risultato migliore al passato, in 46 è peggiorato. Da questo studio sono stati evidenziati i 10 paesi maggiormente omofobi e quelli più gay friendly, dove le persone omosessuali sono accettate e non discriminate. I 10 paesi più omofobi al mondo sono Azerbaigian, Georgia, Arabia Saudita, Bangladesh, Egitto, Ruanda, Senegal, Indonesia, Uganda e Guinea, mentre i 10 paesi più gay friendly al mondo sono Islanda, Olanda, Svezia, Danimarca, Andorra, Norvegia, Belgio, Spagna, Francia e Svizzera. L’Italia è presente al 26esimo posto (dietro Brasile #27, Namibia #25, Stati Uniti #23, Canada #17, Gran Bretagna #14, Germania #13 e Irlanda #11). In Repubblica Ceca che un nuovo sondaggio pubblicato dal Prague Daily Monitor ad indicare come il 75% dei cechi si dica convinta che le coppie dello stesso sesso dovrebbero essere messe nella condizione di potersi sposare. In costante diminuzione è la percentuale dei contrari, attualmente attestatasi al 19%. Non solo. Il 61% della popolazione ceca si dice convinto che le famiglie formate da persone dello stesso sesso dovrebbero poter adottare bambini.

La Polonia approva la controversa legge sui lager

La Polonia approva la controversa legge sui lager

Sì del Sejm, la Camera bassa del parlamento polacco, controllata dal partito di maggioranza Diritto e Giustizia (PiS) di destra ed euroscettico, alla legge sulla Corte suprema che di fatto cancella l’autonomia della magistratura: la controversa riforma, fortemente voluta dal governo di Varsavia e già posta sotto osservazione dall’Unione europea, che la considera come una nuova minaccia alla separazione dei poteri e all’indipendenza del potere giudiziario, è stata approvata.con 235 voti a favori su un totale di 460 deputati (192 contrari e 23 astenuti). Crisi diplomatica tra Polonia e Israele. Il testo della legge sulla Shoah approvata da un ramo del parlamento polacco “va cambiata”. La richiesta arriva dal premier Benyamin Netanyahu che avvisa: “non abbiamo alcuna tolleranza per la falsificazione della verità, per la riscrittura della storia o per la negazione dell’Olocausto”. Ma la Polonia ha risposto picche: “non cambieremo nulla nella legge sull’Istituto per la memoria nazionale – ha scritto su twitter la portavoce del partito al governo (Pis) e vice presidente del parlamento polacco Beata Mazurek – Basta con le accuse contro la Polonia e ai polacchi per i crimini tedeschi”. La Camera alta polacca ha approvato con 57 voti favorevoli contro 23 contrari e due astenuti la legge controversa sui campi di sterminio della Seconda guerra mondiale. La legge stabilisce pene fino a tre anni di carcere per chiunque si riferisca ai campi nazisti come campi «polacchi» o accusi la Polonia di complicità con i crimini della Germania nazista. Ora il provvedimento dovrà essere firmato dal presidente Andrzej Duda, che ha il potere di bloccarlo e imporre modifiche.

Accoltella passanti in pieno centro a Parigi: 2 morti e 8 feriti.

Accoltella passanti in pieno centro a Parigi: 2 morti e 8 feriti.

Ore di terrore nel sud della Francia. Alla fine il bilancio dell’attentato – fornito dallo stesso presidente Macron – è di tre morti e 16 feriti due dei quali gravi. E tra loro l’agente eroe che si è offerto come ostaggio al posto di una donna. L’assalitore, Redouane Lakdim, marocchino di 25 anni, ha preso in ostaggio numerose persone  all’interno di un supermercato a Trèbes, in Occitania ed è stato ucciso dopo circa quattro ore dalle teste di cuoio. Il sequestratore, che ha dichiarato la sua appartenenza all’Isis, chiedeva la liberazione di Salah Abdeslam, l’unico superstite degli attentati parigini del 13 novembre 2015, attualmente incarcerato in Francia. Una notte di paura nel cuore di Parigi. Un uomo armato di coltello attacca i passanti, prima di essere intercettato e ucciso dalla polizia. Il primo bilancio parla di due vittime: una donna e l’assalitore. È successo nel quartiere dell’Opéra, un sabato di fine primavera. Gente nelle strade, turisti, ristoranti pieni, vetrine illuminate. All’improvviso, intorno alle 21, tra le case ottocentesche di rue Monsigny all’angolo con rue Saint Augustin, parte l’attacco. Rivendicato dall’Isis attraverso il suo organo di propaganda Amaq.

Eurofestival 2018 il mio editoriale

Netta Barzilai

Eurofestival 2018. Ha vinto Netta Barzilai per Israele con la canzone “Toy”, un brano cantato sia in inglese, che in ebraico. Quarta vittoria per Israele. Tra l’altro la canzone vincitrice è la prima che la cantante ha inciso. Barzilai, infatti, si è presentata as fine 2017 alle audizioni di HaKokhav HaBa, il processo di selezione israeliano per l’Eurovision Song Contest, cantando Rude Boy di Rihanna e ottenendo l’approvazione da parte dell’82% del pubblico, nonché di tutti e quattro i giudici, qualificandosi per gli stadi successivi del programma. Dopo averlo vinto, garantendosi la qualificazione all’Eurofestival di quest’anno, le è stata confezionata su musura la canzone, scelta da una giuria di esperti selezionata dal nuovo ente televisivo israeliano Ipbc.

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