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Continua la preparazione alle presidenziali francesi anche in questo semestre. Il partito socialista francese tiene le proprie primarie e incorona l’ex ministro dell’istruzione Benoit Hamon. Sconfitto il grande favorito Manuel Valls, ex primo ministro. Durante la campagna elettorale Marine Le Pen, leader del Front National e candidata alla presidenza in Francia, ha minacciato di togliere la doppia cittadinanza agli ebrei francesi che possiedono anche nazionalità israeliana. L’annuncio è arrivato giovedì 9 febbraio 2017 nel corso di un dibattito televisivo trasmesso dal canale francese France 2, dove le Pen ha spiegato che in caso di vittoria alle presidenziali non permetterà a nessun francese di avere un altro passaporto di un paese che non appartiene all’Unione europea. Il risultati delle elezioni sono sorprendenti. Debacle per i due partiti che hanno determinato la vita politica della Francia. Vince Emmanuel Macron con il suo nuovo partito En Marche!; con lui va al ballottaggio Marine Le Pen del Front National. Il conservatore François Fillon è arrivato al terzo posto (19,91%) e Jean Luc Mélenchon, esponente dell’estrema sinistra al quarto, con un più che dignitoso 19,64%. Lontano il socialista Benoit Hamon, con un modesto 6%: una debacle completa per il partito che ha eletto François Hollande nel 2012. Macron è l’ottavo presidente di Francia. Nel ballottaggio per l’Eliseo ha battuto Marine le Pen con oltre il 66% dei voti contro il 34% di Le Pen.. Secondo le previsioni. A 39 anni, è il più giovane presidente francese, prima di lui solo Luigi Napoleone Bonaparte, il futuro imperatore Napoleone III, eletto a 40 anni nel 1848: “Oggi inizia una nuova era di speranza e fiducia per la Francia”.
Il dopo elezioni comincia con la francia in stato confuzionale per il risultato; ma con piena fiducia nel suo nuovo timoniere. Macron come primo provvedimento cambia il nome al suo partito che fa diventare ‘La Republique en Marche!”. Il Partito Socialista si riscopre con le ossa rotte, dopo il peggio risultato elettorale della sua storia e come se non bastasse due pezzi grossi del partito decidono di uscirne. Si tratta di Manuel Valls che si avvicina al partito di Macron e di Benoit Hamon che fonda un suo partito di estrema sinistra. Intanto Macron nomina il primo ministro Eduard Philippe e si prepara alle elezioni legislative. Pur avendo i numeri per governare da solo Macron ha deciso di includere pezzi di socialisti e di repubblicani nel suo governo. Philippe, infatti, è proprio un repubblicano dissidente. Dopo l’Eliseo, il terremoto macroniano scuote anche l’Assemblea Nazionale. Confermando quello che gli ultimi sondaggi davano ormai come una formalità, la République En Marche, il partito del presidente Emmanuel Macron, si aggiudica il primo turno delle elezioni legislative. Il partito dei marcheurs si attesterebbe al 32,2%, davanti ai Républicains (21,5%), e al Front National (14%). Fuori dai radar la sinistra, con la France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon al 14% e il Partito Socialista, maglia nera del gruppo dei grandi con il 9,7% delle preferenze. Emmanuel Macron fa l’en plein al secondo turno: conquistato l’Eliseo porta a casa anche l’Assemblée Nationale, con una maggioranza di seggi che si attesta a 350 su 577, ben oltre i 289 necessari per portare avanti la sua agenda di riforme senza ostacoli: a En Marche! vanno 308 seggi, all’alleato MoDem, 42. Numeri comunque lontani dall’attesa valanga di voti. Battuti e divisi, i Republicains restano in piedi con 130 deputati. Decimati i socialisti; solo 50. Male il Front National, ma Marine Le Pen agguanta per la prima volta il seggio. Astensione record al il 57,32%.
Si sono tenute le elezioni parlamentari anticipate in Bulgaria, indette dopo le dimissioni del primo ministro Boyko Borisov. Con il 90 per cento delle schede scrutinate, il partito di centro-destra “Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria” (GERB, la sigla in bulgaro) è in testa con il 32 per cento dei voti; al secondo posto c’è il Partito socialista bulgaro (BSP) con il 27 per cento, seguito dal fronte nazionalista dei Patrioti uniti con il 9 per cento. Il GERB, che è un partito filo-europeista, tornerà quindi al governo del paese, nonostante la crisi di consensi che sembrava averlo colpito dopo le elezioni presidenziali del novembre 2016, vinte dal candidato dei Socialisti. Per le forze politiche bulgare filo-europeiste – che si sono presentate al voto molto divise – il risultato delle elezioni è una notizia positiva. I Socialisti di Korneliya Ninova vengono considerati vicini al governo russo: chiedono la rimozione delle sanzioni approvate dall’Unione Europea per l’annessione russa della Crimea e appoggiano la costruzione di un gasdotto che avrebbe come conseguenza l’aumento della dipendenza dell’Europa dal gas russo. Una vittoria dei Socialisti, ha scritto il Wall Street Journal, avrebbe comportato un importante stravolgimento geopolitico in Europa. La Bulgaria sta diventando un paese sempre più importante per l’UE: sia perché condivide il suo confine con la Turchia, e i rapporti tra Turchia e Unione Europea sono una delle questioni più urgenti e complicate degli ultimi mesi; sia perché da gennaio a giugno 2018 terrà la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, l’organo dell’UE con potere legislativo formato dai ministri dei singoli paesi membri.
Nulla poterono i Panama Papers, né le ormai inevitabili “interferenze russe”. Joseph Muscat si è confermato più forte di tutto e tutti e ha guidato i laburisti alla vittoria nelle elezioni anticipate a Malta. Secondo i dati ufficiali il premier uscente e il suo partito hanno ottenuto il 55.04%, contro il 43.68% del partito nazionalista. Insomma, una vittoria netta, che in termini di voti assoluti significa 170.976 contro 135.696. È anche la prima volta in quarant’anni che il partito laburista ottiene due vittorie consecutive, come ha sottolineato in un tweet lo stesso Muscat, “umiliato” (ha scritto ironicamente) per la maggioranza in crescita rispetto all’ultima tornata elettorale. “Mi sembra chiaro che gli elettori hanno scelto di continuare su questa strada”, ha detto il primo ministro Joseph Muscat, 43 anni, al governo dal 2013 con ottimi risultati: nel 2015 la crescita era stata addirittura del 6,3 per cento, molto più avanti della media europea. Le elezioni anticipate erano state indette il primo maggio scorso sulla scorta delle accuse dicorruzione a sua moglie Michelle, uno scandalo legato ai Panama Papers con la complicità dell’Azerbaijan.
Nella campagnma elettorale per le elezioni legislative turche avviene uno scontro diplomatico tra il governo Rutte e la Turchia. Le autorità olandesi hanno respinto la ministra turca della Famiglia, Fatma Betul Sayin Kaya, e l’hanno scortata verso il confine con la Germania . Fatma Betul Sayin Kaya era in viaggio sulla sua auto dalla Germania verso Rotterdam, nel corso di una missione turca in Olanda, dopo che sabato scorso le autorità dell’Aia avevano negato al capo della diplomazia di Ankara, Mevlut Cavusoglu, di atterrare nel Paese. Il premier olandese Mark Rutte ha definito “irresponsabile” l’arrivo a Rotterdam della ministra turca della Famiglia. Nel corso di una dichiarazione, rilasciata alla Nos, Rutte ha precisato che la ministra era stata avvisata che il suo arrivo al consolato turco di Rotterdam era “indesiderato”. “Tuttavia ha deciso di viaggiare in Olanda”, ha aggiunto. Betul Sayin Kaya si era recata a Rotterdam dopo che il governo olandese aveva negato ieri l’atterraggio nel paese dell’aereo con a bordo il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Cavusoglu, che avrebbe dovuto tenere dei comizi per convincere la comunità turca residente in Olanda a votare ‘sì’ al referendum costituzionale del prossimo 16 aprile per decidere il passaggio della Turchia al sistema presidenziale. Secondo il governo olandese, i comizi avrebbero costituito rischi per la sicurezza e l’ordine pubblico nel Paese. Dopo il voto olandese, ha entusiasmato tanto, se si leggono bene le cifre, la “vittoria” dei liberali di destra che hanno perso dieci seggi, la sparizione o quasi dei laburisti che facevano parte della coalizione di governo passati da 38 a 9 seggi; la crescita impetuosa dei verdi di sinistra che ne hanno guadagnati dieci; e infine la “sconfitta” degli xenofobi di Geert Wilders passati da 15 a 19. Con tutta evidenza, i partiti di opposizione, di qualunque colore, avanzano, quelli al potere scendono o addirittura si schiantano. Ci si consola col fatto che Geert Wilders, il leader populista, xenofobo e anti-islamico, viene fermato sulla soglia del potere. Magra consolazione se, pur non sfondando, è proprio lui ad aver dettato l’agenda, imponendo i suoi temi e costringendo a rincorrerlo a destra tutti gli altri candidati. A cominciare dal premier uscente liberale Mark Rutte che, per arginarlo, ha dovuto spiegare agli immigrati che sono i benvenuti se condividono i valori olandesi oppure è meglio che se ne vadano.
L’ex ministro degli Esteri della Germania Frank-Walter Steinmeier è stato eletto capo dello Stato. L’assemblea federale si è espressa in suo favore a maggioranza assoluta, 931 voti su 1253. Steinmeier, 61 anni, socialdemocratico, è il 12mo presidente della Repubblica federale, succede a Joachim Gauck. Rispettate, dunque, le previsioni che davano Steinmeier eletto già alla prima votazione, a maggioranza assoluta, grazie all’appoggio della grande coalizione di governo, oltre che dei Verdi e del Partito liberale (Fdp). Le funzioni del presidente in Germania sono per lo più di rappresentanza, un ruolo necessario secondo i padri costituenti per evitare che si crei un sistema presidenzialista che mini la democrazia parlamentare, come avvenuto durante la Repubblica di Weimar. A votare è l’Assemblea federale, composta dai 620 deputati del Bundestag e altri 620 delegati inviati dai gruppi parlamentari dei parlamenti regionali. Tra questi ultimi non ci sono solo politici, ma anche personalità di diversi ambiti della vita tedesca, dallo sport alla cultura. Nel frattempo Martin Schulz è riuscito a vincere le primarie del suo partito e a candidarsi così come candidato cancelliere alle elezioni tedesche del prossimo semestre. Nelle amministrative, intanto, la Cdu della cancelliera Merkel vince e convince. In Nordreno-Westfalia, il Land più popoloso della Germania, dove la Spd governa quasi ininterrottamente da mezzo secolo, la débacle dei socialdemocratici è pesante. La governatrice uscente, Hannelore Kraft, perde nove punti rispetto a quattro anni fa e precipita al 30%. È il peggior risultato della storia. Soprattutto: la Cdu sorpassa i socialdemocratici con oltre il 34% e potrà nominare nel Land di Konrad Adenauer il suo terzo governatore dalla fine della guerra, Armin Laschet. L’effetto Schulz sembra del tutto evaporato ma non è il caso di chiedersi, piuttosto, se sia in atto un “effetto Merkel”, una nuova luna di miele tra la Germania e la sua eterna cancelliera. Dalle elezioni di marzo in Saarland, passando per il voto in Schleswig-Holstein, all’appuntamento di oggi nella regione più popolosa della Germania, il successo della Cdu è crescente. La crisi dei profughi sembra alle spalle.
Janos Ader è diventato il nuovo presidente della Repubblica ungherese. Fa parte dello stesso partito del premier Viktor Orban, Fidesz. Áder non è riuscito a ottenere i due terzi dei voti richiesti nel primo turno del ballottaggio segreto: ha ricevuto 131 voti (il numero era uguale al numero di deputati filogovernativi). Majtényi ha ottenuto 44 voti, ovvero il numero totale di parlamentari dell’opposizione di sinistra, più i tre deputati indipendenti, che erano anche critici del governo. I 24 rappresentanti di Jobbik hanno boicottato le elezioni e non hanno raccolto le schede. Prima del secondo turno, i quattro parlamentari della coalizione democratica hanno annunciato che avrebbero boicottato anche le elezioni, dato che i partiti del governo erano ora in grado di eleggere unilateralmente il proprio candidato nel secondo turno. Áder ha ricevuto ancora 131 voti, mentre Majtényi ha ottenuto 39 voti. Oltre ai rappresentanti della Coalizione democratica, un altro parlamentare (eventualmente dell’opposizione o indipendente) non ha votato al secondo turno.
Due nuovi governi in Romania in un solo semestre. In seguito alla netta vittoria alle elezioni legislative rumene del dicembre 2016, il Partito Social Democratico (Psd) diede il via alle consultazioni interne per la scelta del primo ministro da proporre al presidente della repubblica Klaus Iohannis per la nomina del successore di Dacian Cioloș. Dopo il rifiuto del presidente di nominare Sevil Shhaideh, che sarebbe diventata la prima donna musulmana a ricoprire quella carica Il presidente non ha spiegato il perché del suo ‘no’. Fu sottoposta al vaglio presidenziale, quindi, la candidatura del quarantatreenne ex ministro delle comunicazioni del governo Ponta IV, già presidente del consiglio del distretto di Timiș, Sorin Grindeanu, che divenne prenmier. Nel giugno del 2017 emersero dei contrasti interni al Partito Social Democratico (PSD) tra il presidente del partito Liviu Dragnea e l’allora premier Sorin Grindeanu. Mentre Grindeanu perse l’appoggio del PSD, i ministri, su indicazione del partito, presentarono le proprie dimissioni in massa, in modo da spingere il primo ministro a ritirarsi dal suo ruolo. Il governo Grindeanu cadde il 21 giugno 2017, su una mozione di sfiducia presentata dallo stesso PSD. Mentre Dragnea non poté presentare direttamente la propria candidatura alla posizione di primo ministro per via di una condanna per frode elettorale, che stabiliva l’interdizione a tale carica, rifiutando l’idea delle elezioni anticipate, il 26 giugno 2017 il ministro dell’economia Mihai Tudose fu indicato dal comitato esecutivo del partito per rivestire l’incarico di nuovo primo ministro in sostituzione di Grindeanu.
Leo Varadkar è ufficialmente il nuovo premier irlandese. Ha battuto la concorrenza del rivale Simon Coveney per la guida del Fine Gael, il partito di maggioranza. Enda Kenny, il premier uscente, è stato costretto a dimettersi per la mala gestione di uno scandalo all’interno della polizia. Kenny ha governato per 6 anni e lascia un paese in ripresa economica grazie al traino dell’export e degli investimenti delle multinazionali americane che vi hanno sede, ma profondamente diseguale e con un tasso di crescita degli affitti che somiglia sinistramente a quello della bolla immobiliare che ha contribuito alla crisi. Varadkar con i suoi 38 anni sarà il premier irlandese più giovane della storia. La sua elezione è finita sulle pagine dei giornali di tutto il mondo perché è gay dichiarato (ha fatto coming out durante la campagna referendaria che nel 2015 ha legalizzato i matrimoni omosessuali) e di origini indiane (il padre è un medico emigrato in Irlanda). Impensabile fino a pochi anni fa nella cattolicissima Irlanda, specie se si considera che la legge che criminalizzava l’omosessualità è stata abolita solo nel 1993.
Pedro Sanchez è tornato segretario dei socialisti spagnoli. Il leader defenestrato dai suoi colonnelli sette mesi fa ha vinto le primarie interne con il 50%. La sua potente avversaria, la presidente andalusa Susana Diaz si è fermata al 40%, 10% dei voti al basco Patxi López. Per il Psoe è una rivoluzione: Sanchez aveva contro tutto il gruppo dirigente del partito e gran parte dei mezzi di comunicazione. Ora si preannuncia una rivoluzione, non soltanto nei quadri dell’organizzazione, ma anche nella linea politica. Pedro infatti ha come parola d’ordine il no alla destra, un’ostinazione che gli è costato il posto, cacciato lui, infatti, il partito socialista scelse l’astensione per dare il via libera al governo Rajoy. Quella scelta è costata cara, dal giorno delle dimissioni di Sanchez, 1° ottobre 2016, il partito è stato guidato da un commissario. Nel frattempo Pedro, emarginato da tutti (a cominciare dai suoi collaboratori), organizzava la riscossa. Di conseguenza, quella di domenica notte è una brutta notizia per il governo di destra, in minoranza in parlamento, che ora troverà davanti a sé un Psoe molto più aggressivo.
In Estonia il Partito riformatore ha eletto Hanno Pevkur, vice presidente del partito e ex ministro degli interni, come nuovo presidente. L’ex primo ministro e presidente Taavi Rõivas aveva annunciato che avrebbe rinunciato dopo essere stato estromesso come primo ministro in un voto di sfiducia in parlamento nel novembre dello scorso anno. Il congresso del più grande partito di opposizione ha eletto il presidente Pevkur con 1.048 voti, contro 635 voti espressi per la candidata rivale Kristen Michal, capo del gruppo parlamentare del partito ed ex ministro degli affari economici e delle infrastrutture. Il numero di voti online era di 1.311, e il numero di voti espressi al congresso era 382, di cui due non validi.
A seguito della Brexit il partito conservatore inglese vorrebbe procedere col solo voto del referendum; ma la Corte suprema britannica ha affermato che la Brexit ci sarà solo se il Parlamento inglese si esprimerà in tal senso confermando il voto popolare nel referendum. Secondo la Corte invece non occorre l’approvazione delle assemblee di Scozia, Galles e Irlanda del Nord. Il governo sosteneva di poter avviare il processo dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea usando i cosiddetti poteri prerogativa, ossia la prerogativa reale (royal prerogative), secondo cui l’esecutivo opera sotto mandato della Corona. Il Parlamento inglese ha quindi votato per l’uscita dall’Unione Europea. “Questo è un momento storico, da cui non c’è ritorno. Il Regno Unito lascia l’Unione europea, prenderemo le nostre decisioni e scriveremo le nostre leggi, avremo il controllo delle cose che più ci importano. I giorni migliori sono davanti a noi”. Così la premier britannica, Theresa May, alla Camera dei Comuni, ha dato il via ufficiale alla Brexit. May ha sottolineato che Londra e Bruxelles dovranno “lavorare duro” per evitare un fallimento dei negoziati. Poi c’è il caso Scozia, che avendo rinunciato con un referendum ad uscire dal Regno Unito; ora che quest’ultimo vuole a sua volta uscire dall’Unione Europea riattiva la procedura di indipendenza. La consultazione si dovrebbe svolgere tra l’autunno del 2018 e la primavera del 2019, quindi proprio nella finestra temporale in cui è prevista l’uscita di Londra dall’Ue contro cui aveva votato il 62% degli scozzesi. Il premier scozzese Nicola Sturgeon ha criticato “il muro di intransigenza” eretto dal Regno Unito alla richiesta scozzese per un coinvolgimento nei negoziati e un “accordo differenziato” sulla Brexit, con il risultato che anche per la Scozia si profila un’uscita dal mercato unico europeo oltre che dall’Ue. “Ci meritiamo di scegliere il nostro futuro, l’opzione del ‘non cambiamento’ non è più disponibile”. A favore della Scozia c’è il fatto che la Spagna abbandona il suo proverbiale dissenso per ogni indipendenza. La Spagna, infatti dichiara, che se si creerà uno stato scozzese che rimarrà nell’Unione Europea; in contemporanea all’uscita da essa del resto del Regno Unito; lei non si opporrà all’ingresso nella Ue del nuovo stato scozzese. La camera alta del parlamento di Westminster, in seguito, vota 358 a 256 per concedere a tutti loro (compresi circa mezzo milione di italiani) il diritto incondizionato di rimanere a tempo indeterminato in questo paese anche dopo la Brexit. Anche il governo di Theresa May fa la stessa promessa, ma è appunto solo una promessa, condizionata alla concessione di un diritto analogo a oltre 1 milione di cittadini britannici residenti negli altri paesi dell’Unione Europea. In pratica, per Downing Street è un diritto da reciproco da regolare nel corso del negoziato di ‘divorzio’ fra Londra e Bruxelles che dovrebbe cominciare questo mese e durare due anni. I 27 stati della Ue approvano all’unanimità le linee guida per il negoziato con il Regno Unito per la Brexit; ma Theresa May risponde che queste sono accettabili.
Il semestre inglese è difficile anche sul fronte attentati. A marzo c’è stato un attentato davanti al Parlamento di Westminister a Londra, che ha fatto cinque morti e decine di feriti. “È stato un soldato del Califfato“, ha annunciato Site, riprendendo l’agenzia di propaganda Amaq. L’attentatore non era mai stato condannato per terrorismo, ma era noto alle forze dell’ordine per possesso di armi, lesioni aggravate e disturbo della quiete pubblica. La prima condanna risale al 1983 per danni, l’ultima al 2003 per il possesso di un coltello. Secondo il Daily Mail, di recente risiedeva a Birmingham e lì avrebbe noleggiato il suv utilizzato per compiere l’attacco. Nel corso della giornata sono state arrestate otto persone in sei diversi indirizzi tra Londra e Birmingham: gli arrestati sono considerati fiancheggiatori, ma non complici. Poi, dopo l’annuncio del premier May di elezioni anticipate (fatte per ottenere più forza per le procedure di Brexit); c’è stato un nuovo attentato a poche settimane dalle elezioni. Un’esplosione, forse due, sono stati uditi al termine di un di un concerto di Ariana Grande alla Manchester Arena. Scopiato il panico, la folla è corsa fuori dall’edificio, invadendo le strade e la vicina stazione metro. Il bilancio è di 22 morti confermati e 59 i feriti. Non è ancora chiaro se a provocare alcuni di quei decessi sia stata l’accalcarsi della folla verso le uscite. Secondo alcuni media, a scoppiare potrebbe essere stata una bomba “farcita di chiodi” e l’attentatore sarebbe morto nell’attentato. Le testimonianze sono però ancora confuse e poche sono le certezze. Qualcuno ha parlato di esplosioni, altri di rumore di spari. Salman, Hashem, Ismail e Ramadan Abedi: una famiglia unita dal terrore. L’attentatore di Manchester non era un “lupo solitario”, è la convinzione di Ian Hopkins, capo della polizia inglese, ma faceva parte di un network più grande. Perché l’attacco che ho portato alla morte di 22 persone “è stato più sofisticato degli attacchi precedenti e sembra possibile che non Salman non abbia agito da solo”. E poi a nemmeno una settimana dalle elezioni un altro attentato a Londra. E’ di sette morti e 48 feriti il bilancio parziale del nuovo attacco terroristico che ha interessato la capitale britannica nel cuore della notte di sabato. Dei feriti, 21 sarebbero in “critical condition” (fonte Bbc). Un attacco simile a quello delWestminster Bridge dello scorso 22 marzo. Intanto le squadre speciali della Met hanno effettuato perquisizioni e compiuto una dozzina di arresti di individui che sarebbero collegati all’estremismo islamico. Perché tale è la matrice della strage: l’agenzia Amaq, organo di comunicazione dell’Isis, ha infatti rivendicato l’attacco, specificando che “secondo le sue fonti” è stato opera dei combattenti del Califfato. May e Corbyn, i due principali candidati, alla carica di premier hanno espresso entrambi contrasto al terrorismo e si sono fatti portavoce del Paese che non può più tollerare ma solo reagire e allora annuncia in caso di vittoria 10mila uomini delle forze dell’ordine in più. Altro attentato dopo le elezioni. A Londra dove un furgone ha falciato diversi pedoni all’esterno di una moschea nei pressi di Finsbury Park, la notte scorsa provocando almeno un morto e otto feriti. L’uomo alla guida, un 48enne, è stato arrestato dalla polizia che, secondo quanto ha dichiarato la premier Theresa May, indaga sull’accaduto come «potenziale attacco terroristico». L’arrestato, come spiegato dal viceministro Ben Wallace, non era noto ai servizi di sicurezza britannici.
Theresa May ha vinto le elezioni, ma ha perso la sua sfida. La premier britannica è uscita sconfitta dalle urne, con il partito conservatore schiacciato e senza aver ottenuto la maggioranza assoluta in Parlamento, ‘incassando’ solo 318 seggi. I Tory non sono riusciti a raggiungere i 326 seggi necessari ad assicurarsi la maggioranza assoluta aprendo la strada all”hung Parliament’, il Parlamento sospeso, in cui nessuno dei due partiti principali ha la maggioranza assoluta e quindi non è in grado di governare da solo. Buono il risultato del leader dei laburisti Jeremy Corbyn, che si è aggiudicato 262 seggi, invocando immediatamente le dimissioni della premier May: “Ha perso seggi, ha perso voti, ha perso sostegno e fiducia – ha detto il leader laburista – Tutto ciò è sufficiente per lasciare il posto a un governo veramente rappresentativo”. I Conservatori hanno perso alcuni seggi invece di conquistare la maggioranza ampia che speravano. La May non è la Thatcher intitolavano alcuni giornali. Possiamo dire, però, anche che Corbyn non è Blair, visto che anche i risultati dei Laburisti lasciano desiderare; visto che recuperano appena una manciata di seggi, non abbastanza per strappare la maggioranza. Certo, visto che Corbyn è un leader criticatissimo all’interno del suo partito, questa tenuta fa in modo di conservare ben salda la sua leadership. Nonostante resti all’opposizione. Non vincono nemmeno i nazionalisti scozzesi, andati peggio delle scorse elezioni. In Scozia si è creato uno strano fenomeno. Fino a prima delle precedenti elezioni politiche la Scozia era una terra di voto prevalentemente laburista con alcune regioni in cui riuscivano a macchia di leopardo a prevalere i nazionalisti. Nelle scorse elezioni i nazionalisti hanno fatto quasi en plein in Scozia, facendo perdere molti seggi ai laburisti e quindi facendo perdere le elezioni ad Ed Miliband, che si dimise. Ora, parte di quei seggi se i nazionalisti non riconquistano, non tornano ai laburisti; ben si vanno ai conservatori. Questo dimostra che il voto generale non è una mancata vittoria dei laburisti di Corbyn e che quest’ultimo ha beneficiato solo si una incapacità a ridosso delle elezioni della May di tranquillizzare sulla Brexit. May e Corbyn, insomma, sono due leader deboli che si danneggiano e si beneficiano a vicenda. Ma hanno tutti perso e nessuno passerà alla storia. Stazionari i Liberaldemocratici, rispetto, però ai risultati estremamente pessimi delle elezioni precedenti. E quindi nemmeno loro possono sorridere. Si segnala, invece, un buon risultato del Partito Democratico Unionista in Irlanda del Nord; che ha già offerto una stampella ai Conservatori per formare una maggioranza in parlamento. Ora i due partiti hanno la maggioranza assoluta. Per soli tre seggi. Se queste dovevano essere elezioni che dovevano dare un ampio margine di manovra per i trattati della Brexit; lo hanno invece ridotto di molto. Auguri signora May!
Altri attentati in tutta Europa. In Svezia un camion è piombato a tutta velocità tra i passanti nella zona dello shopping pedonale del centro facendo una strage. Il killer alla guida del mezzo è riuscito a dileguarsi ed è ancora in fuga. Quattro le vittime confermate e quindici i feriti (nove gravi) è il bilancio che la polizia ha dato in serata. Tra i feriti anche due bambini. E due uomini sono stati fermati e sono sospettati di essere collegati in qualche modo con l’incursione mortale del camion, anche se nessuno di loro viene ritenuto l’autista. Per il primo ministro svedese Stefan Lofven, “tutto indica che si è trattato di un attentato. La Svezia è stata attaccata con un terribile atto terroristico”. La Svezia non si piegherà agli “odiosi assassini”, ha aggiunto poi il premier in una conferenza stampa. “Oggi siamo stati vittime di un terribile attacco nel cuore della nostra capitale. Sappiamo che ci sono quattro morti, diversi feriti e tutto un Paese unito nel dolore, nell’ira e nella determinazione”, ha detto Lofven. In un breve messaggio alla nazione, il re Carlo XVI Gustavo di Svezia ha fatto sapere che la famiglia reale ha accolto con “sgomento” la notizia dell’attentato e ha inviato le sue condoglianze alle famiglie delle vittime. In Francia, un 39enne francese, Karim Cheurfi, ha ucciso con un kalashnikov un poliziotto sugli Champs-Elysees e ne ha feriti altri due. Poi ha provato a scappare, ma è stato ucciso dopo pochi metri. Diverse armi sono state ritrovate nell’auto del terrorista, un’Audi 4: un fucile a pompa e delle armi bianche, tra cui un coltello da cucina. Fin da subito si è diffusa la notizia di un probabile complice in fuga. Ma l’uomo di nazionalità belga, sospettato di essere complice del terrorista e ricercato dalle autorità in Belgio e Francia, si è presentato spontaneamente al commissariato di polizia di Anversa, come ha rivelato il portavoce del ministero degli Interni a Parigi. Inoltre, a quanto affermato dalla Procura federale belga, «Non c’è al momento nessun legame» tra l’attacco a Parigi e il Belgio. L’uomo presentatosi spontaneamente al commissariato ad Anversa, che ha un alibi e che nega ogni coinvolgimento nei fatti di Parigi, è noto per casi gravi di traffico di stupefacenti ma non ha legami con il terrorismo né è noto per essere radicalizzato, riferisce la Procura. L’uomo che si è presentato al commissariato di Anversa, Youssouf E.O., ieri sera era al lavoro in una stazione di servizio, secondo quanto ha riferito il suo avvocato – Nabil Riffi – citato dal quotidiano fiammingo Het Niewsblad. Ancora a Parigi. Un uomo si è schiantato volontariamente con la propria auto contro un furgone della gendarmeria sugli Champs-Elysées. L’incidente è da ritenersi concluso, anche se la zona resta transenata. L’attentatore, che era già noto alla polizia, è morto, ha annunciato il ministro dell’Interno, Gerard Collomb. Dopo lo schianto l’auto è esplosa perché aveva al suo interno bombole di gas. L’informazione è della tv BFM, presente sul posto. Secondo la stessa fonte, l’attentatore aveva «diverse armi e munizioni». L’uomo alla guida è nato nel 1985 ed è schedato S, sigla riservata per i sospetti radicalizzati. Lo riferisce il quotidiano Le Parisien. Secondo il quotidiano, il 31enne, nato ad Argenteuil (Val-d’Oise), vicino a Parigi, era «radicalizzato e armato». Infine a Bruxelles. Una piccola esplosione e alcuni colpi d’arma: su Bruxelles, intorno alle 21, nella stazione centrale è ripiombato l’incubo terrorismo, confermato dalle forze dell’ordine. Un uomo di circa 30, 35 anni ha provocato una deflagrazione all’interno della stazione centrale. Subito individuato e abbattuto dalle forze dell’ordine. Con sé, nella hall della Gare centrale, aveva esplosivo che ha fatto saltare ai piedi di una scalinata interna, ma non è chiaro se fosse in una cintura o nascosto dentro un trolley. Non c’è stato nessun ferito tra i civili. La detonazione sarebbe avvenuta quando l’uomo ha capito di essere stato individuato dai militari che poi gli hanno sparato. L’esplosione (ma alcuni testimoni parlano di due deflagrazioni) ha provocato panico, scene di terrore e molto fumo. Secondo alcune fonti, l’uomo prima di innescare l’esplosione avrebbe inneggiato ad Allah. Secondo altri testimoni avrebbe anche urlato: “I jihadisti esistono ancora”. Il sistema radio televisivo del Belgio (Rtbf) ha anche parlato di una o due persone in fuga, ma non ci sono mai state conferme ufficiali.
I sette leader del G7 hanno firmato la dichiarazione contro il terrorismo. “E’ un forte messaggio di amicizia, vicinanza e solidarietà alla Gran Bretagna” dopo quello che è accaduto nei giorni scorsi a Manchester, ha detto il premier Paolo Gentiloni. La premier britannica Theresa May ha ringraziato gli alleati per il sostegno: “Credo sia importante dimostrare questa determinazione di tutti i paesi per combattere il terrore”. Resta invece sospesa la questione dell’accordo di Parigi sul clima “rispetto al quale il presidente Trump ha in corso una riflessione interna di cui gli altri paesi hanno preso atto”, ha spiegato Gentiloni. La posizione di Macron è quella di essere esigente e convincente con Trump, ma non al prezzo di un indebolimento dell’accordo di Parigi, fa sapere l’Eliseo. Trump vuole prendere la “giusta decisione” sulla questione, affermano fonti della Casa Bianca. Dichiarazione finale sottoscritta all’unanimità ai lavori del G7 dei ministri dell’Ambiente, iniziato ieri a Bologna. Tre i temi di discussione: rifiuti in mare (marine litter), riciclo ed economia circolare, tassazione ambientale ed eliminazione dei sussidi dannosi all’ambiente. Gli Stati Uniti, dopo la partenza anticipata ieri pomeriggio del direttore dell’agenzia federale per l’Ambiente Epa, Scott Pruitt, erano rappresentati da un funzionario dell’Epa di seconda fila, Jane Nishida. Accordo sulla protezione dell’ambiente marino e costiero di una zona del Mare Mediterraneo (RAMOGE), tra Italia, Francia e Principato di Monaco, firmato a Monaco il 10/5/1976 ed emendato a Monaco il 27/11/2003. L’Accordo ha la finalità di tutelare l’ambiente marino e costiero e la relativa biodiversità quale componente essenziale del patrimonio naturale del Mediterraneo. La modifica del 2003 ha esteso la zona da salvaguardare, costituita dalle acque del mare territoriale e delle acque interne che costeggiano il litorale continentale di sovranità dei tre Stati contraenti, dal litorale continentale e dalle isole situate entro i limiti del mare territoriale.
Dopo l’ultimo attacco della cancelliera tedesca, Angela Merkel, che aveva detto che non si può più fare affidamento sugli Stati Uniti, era prevedibile la risposta del presidente Donald Trump, che ha ulteriormente alzato il tono dello scontro tra Washington e Berlino, inedito nella storia recente delle relazioni tra i due Paesi. Come di consueto, la risposta di Trump è apparsa su Twitter: “Abbiamo un deficit commerciale ENORME con la Germania, in più loro pagano MOLTO MENO di quello che dovrebbero per la Nato e le forze armate. Terribile per gli Stati Uniti. Questo cambierà”. Un’ora prima, Merkel, conosciuta per la sua attenzione per le parole da scegliere, aveva definito “estremamente importante”, per l’Europa, riuscire a rafforzare il suo ruolo di “attore” diplomatico. “I rapporti transatlantici sono di vitale importanza”, ma nell’attuale contesto “è ancora più importante che l’Europa prenda in mano il suo destino”. Più diretto l’attacco sferrato dal ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel, secondo cui la politica di Trump è contraria “agli interessi dell’Unione europea”.
Due avvenimenti hanno scosso la Germania in questo semestre. Il primo è la morte di Helmut Kohl. Si è spento all’etá di 87 anni Helmut Kohl, il cancelliere della riunificazione della Germania e uno dei principali artefici dell’Europa unita. “Helmut Kohl ha cambiato in modo decisivo anche la mia vita” ha dichiarato Angela Merkel, commentando la notizia. La cancelliera ha quindi aggiunto “Sono personalmente riconoscente a Kohl, tutti noi possiamo essergli riconoscenti per quello che in tanti anni ha fatto per noi tedeschi e il nostro Paese”. Poi, c’è stata lì’approvazione della legge sul matrimonio egualitario. Il Bundestag tedesco ha approvato un progetto di legge che istituisce il matrimonio omosessuale nel paese e che permette dunque alle persone dello stesso sesso di adottare dei bambini: 393 deputati hanno votato a favore, 226 contro e in quattro si sono astenuti. Il voto era palese e dalle immagini si vede che Angela Merkel ha votato no: il suo voto contrario è stato poi confermato in un comunicato stampa in cui la cancelliera dice che «Il matrimonio è tra un uomo e una donna» e che spera comunque che la nuova legge porterà a una maggiore coesione sociale. Il testo della proposta approvata dalla camera bassa stabilisce che «il matrimonio è stipulato a vita tra due persone di sesso diverso o dello stesso sesso» e prima di entrare in vigore – si prevede entro la fine dell’anno – dovrà essere confermato dalla camera alta del Parlamento.
In Italia La Camera approva in via definitiva la conversione in legge del decreto Minniti sui migranti (con 240 si, 176 no e 12 astenuti), Mdp vota contro. Il decreto prevede creazione di nuovi Centri di permanenza per il rimpatrio nelle Regioni (per un totale di 1600 posti), eliminazione di un grado di giudizio per i ricorsi, riduzione dei tempi per richiesta d’asilo e la possibilità per i richiedenti di svolgere lavori di pubblica utilità gratuiti e volontari. Stanziati 19 milioni per garantire l’esecuzione delle espulsioni. Il decreto prevede la creazione del Comitato metropolitano per l’analisi delle tematiche di sicurezza urbana relative alla città metropolitana, il daspo urbano, nuove norme contro spaccio stupefacenti, nuove norme contro parcheggiatori abusivi e la possibilità per il giudice di disporre l’obbligo di ripristino dei luoghi per chi agisce contro il decoro urbano.
Eurofestival 2017. Ha vinto quindi il Portogallo con Salvador Sobral in “Amor pelos dois” una canzone veramente terribile; al secondo posto un diciasettenne bulgaro, tal Kristian Kostov con “Beautiful Mess”, la cui canzone, però, era almeno carina. Due dei tre premi collaterali “Artistic awars” e “composer award” sono andati al Portogallo; mentre il solo premio della sala stampa “Press award” è stata una consolazione per il nostro Gabbani (che diciamolo, si è anche esibito bene). Buona prestazione dell’Italia con Francesco Gabbani in “Occidentali’s karma”.
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