Centrodestra

Bipolarismo all’italiana: un’esperienza conclusa

Bipolarismo all'italiana: un'esperienza conclusa

Bipolarismo all’italiana: un’esperienza conclusa

Mi piacerebbe leggere qualche considerazione su un fenomeno che non mi spiego. Tutti i Paesi dell’Europa occidentale hanno trovato il modo di mettere fuori gioco le loro frange estremiste e irresponsabili. Il destro Le Pen in Francia e il sinistro Lafontaine in Germania, tanfo per fare due esempi. Perché noi abbiamo la Lega a destra e i vari rosso-verdi a sinistra, capaci di condizionare pesantemente i governi? Se l’immagina Blair, la Merkel o Zapafero, messi in crisi da qualche parlamentare incosciente Luciano Roffi baudelaire51@ hotmail.com

Caro Roffi, i sistemi politici e il loro funzionamento sono il risultato delle regole costituzionali, delle leggi elettorali, delle circostanze e in buona misura di alcune decisive scelte individuali. Il nostro bipolarismo, con tutti gli inconvenienti da lei descritti, nacque nel momento in cui Silvio Berlusconi ritenne che la legge elettorale del 1993 e l’improvvisa liquefazione dell’intero schieramento centrista avrebbero regalato la vittoria alle sinistre. Convinto che quella vittoria sarebbe stata un male per il Paese e per i suoi interessi (il concetto di bene pubblico e quello di interesse personale formano molto spesso una matassa inestricabile), Berlusconi decise di riunire intorno alla sua persona le forze politiche che raccoglievano i loro consensi in settori ostili alla sinistra e formò due alleanze: al Nord con la Lega, al Sud con Alleanza nazionale. Il leader di Forza Italia vinse le elezioni del 1994 e dovette dimettersi quando fu abbandonato dalla Lega, pochi mesi dopo. Ma questo non impedì a Romano Prodi di giungere alla conclusione che occorreva, per battere l’avversario, imitarne la strategia. Anche Prodi, quindi, costruì una coalizione che si componeva di due parti: un patto confederale con alcuni partiti di centrosinistra e un’alleanza tattica con Rifondazione comunista. E anche il suo governo, come sappiamo, ebbe vita relativamente breve. Uno degli aspetti più interessanti della politica italiana è che i due avversar!, negli anni seguenti, continuarono a imitarsi. Ammaestrato dalla lezione del 1994, Berlusconi decise di stringere con Bossi un patto più saldo e gli offrì, per garantirsi da altri tradimenti, la riforma federale che era diventata ormai la ragione d’essere dalla Lega. Ammaestrato dalla lezione del 1998, Prodi costruì un centrosinistra più compatto sulla base di un programma che venne sottoscritto anche da Rifondazione. Le due coalizioni si dimostrarono tatticamente molto efficaci. Berlusconi ha vinto nel 2001 e Prodi, anche se con un margine estremamente modesto, pochi mesi fa. Ma ciascuno dei due campi presenta gli stessi inconvenienti. È nato per impedire al «nemico» di governare il Paese e da prova, nel momento della battaglia elettorale, di una considerevole unità. Ma si compone di forze politiche che hanno una diversa cultura, una diversa visione dei maggiori problemi nazionali e, molto spesso, interessi politici contrastanti. Ciascuno dei due è nato per vincere, non per governare. Grazie alla maggioranza di cui disponeva, Berlusconi riuscì a restare in sella per cinque anni, ma non riuscì ad affrontare, se non con qualche riforma parziale, i nodi da cui dipende il futuro del Paese: mercato del lavoro, privatizzazioni e liberalizzazioni, previdenza sociale, inefficienza della funzione pubblica, riduzione significativa del debito pubblico. Eletto con una maggioranza minuscola, Prodi potrebbe sopravvivere per un periodo più breve e sembra avere comunque difficoltà persino maggiori di quelle che il centrodestra ha trovato sulla sua strada. Temo che questo bipolarismo, caro Roffi, abbia esaurito ormai tutte le sue potenziali risorse e non sia più utile al Paese. Bisognerebbe che ciascuno dei due campi si sbarazzasse delle sue frange più radicali. Ma questo accadrà soltanto quando il desiderio di riformare il Paese sarà più forte dell’avversione per il «nemico».

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